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Recensione The Centennial Case: A Shijima Story

di: Simone Cantini

Gli anni ’90 sono stati uno spartiacque molto importante per la storia del videogioco, dato che hanno fatto registrare il prepotente ingresso dei famigerati filmati in full motion video all’interno del medium. Dal seminale (e sin troppo sbilenco) Night Trap del 1992, passando per Under a Killing Moon e Phantasmagoria, questa voglia di trasformare sempre più il gaming in una sorta di cinema interattivo si è fatta sempre più marcata, seppur con i suoi bravi alti e bassi. Più i secondi che i primi, se andiamo ad analizzare l’evoluzione del genere che, però, pur dimostrandosi non sempre pronto ad accogliere la commistione, non ha mai abbandonato del tutto questa non troppo velata volontà. Come ci ricorda, nel bene e nel male, The Centennial Case: A Shijima Story.

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Scia di morte

Sviluppato come un vero e proprio film interattivo, realizzato assemblando tra di loro spezzoni girati da attori in carne ed ossa, la produzione firmata Square Enix ha indubbiamente il pregio di mettere in scena (nel vero senso della parola) una storia dai contorni mistery davvero intrigante. E questo, a scanso di equivoci, è bene chiarirlo subito. La protagonista dell’avventura sarà la popolare scrittrice di gialli Haruka Kagami, che dopo aver fatto la conoscenza del giovane rampollo della famiglia Shijima, Eiji, si ritroverà ad indagare su di un omicidio avvenuto un secolo prima all’interno dell’antica dimora della casata. Un viaggio che si dipanerà in tre distinte epoche e che, prendendo in prestito la fervida immaginazione della ragazza, vedrà i conoscenti della stessa vestire i panni dei protagonisti dei vari misteri che hanno costellato la storia della famiglia Shijima. Un progetto dalla struttura sicuramente interessante ed intrigante, realizzato seguendo i canoni della cinematografia nipponica, situazione questa che potrebbe tanto scontentare coloro che non ne apprezzano gli eccessi recitativi, così come stregare senza ritegno gli amanti delle produzioni dell’estremo oriente. Si tratta, comunque, di gusti puramente personali, sui quali è praticamente impossibile esprimere un giudizio. Nel complesso, i vari raccordi narrativi sono ben orchestrati e diretti e, seppur a tratti un po’ troppo prolissi, oltre che vittima di limiti di budget, si lasciano seguire con estremo interesse. Non è, pertanto, sotto l’aspetto cinematografico che The Centennial Case: A Shijima Story finisce per scricchiolare un poco, dato che le problematiche, ahinoi, vanno ad impattare principalmente sul fronte del puro gameplay.

Guidati all’obiettivo

Coniugare le velleità videoludiche con il cinema, come dimostrano i precedenti tentavi in tal senso, non è mai un processo semplice, ed i risultati non propriamente eccellenti dei videogame che hanno intrapreso questa tortuosa strada ne sono testimoni. E The Centennial Case: A Shijima Story, pur con qualche freccia al suo arco, finisce per inciampare lungo il suo cammino. Ciascun raccordo ludico si suddivide in tre distinte fasi: nella prima assisteremo alla presentazione degli eventi, con il player che potrà semplicemente interagire per mezzo di alcuni dialoghi a scelta multipla, il cui impatto sulla vicenda sarà comunque ridotto al minimo. In questa porzione sarà possibile anche raccogliere attivamente degli indizi, premendo con il giusto tempismo il pulsante del pad che comparirà sullo schermo, ma anche in questo caso l’attività sarà tutto sommato superflua, dato che ogni elemento verrà automaticamente aggiunto alla sezione successiva. Questa, ambientata nella mente di Haruka, ci chiederà di formulare le supposizioni utili alla risoluzione del caso, combinando tra loro gli indizi raccolti con le varie teorie presenti nella timeline della storia in oggetto: in soldoni dovremo far combaciare degli esagoni all’interno di una sorta di scacchiera. Si tratta di un processo non sempre intuitivo, almeno sfruttando la mera logica, ma che ci viene semplificato (oltre che da un set di aiuti) dalla presenza di alcuni disegni: sarà sufficiente abbinare tra loro i segni corrispondenti ed il gioco sarà fatto. Insomma, non proprio una scelta vincente, dato che parliamo di un giallo. A complicare un poco le cose, comunque, ci penserà il fatto che non tutte le teorie che potremo formulare si riveleranno corrette, e pertanto starà a noi cercare di imbastire una soluzione plausibile al caso di turno. Soluzione che poi potremo esplicitare nella terza ed ultima fase, momento in cui metteremo sul piatto le varie elucubrazioni. Anche in questo caso, comunque, lo schema non sarà mai troppo rigido, e proprio per mezzo del sistema di scelte multiple, potremo cambiare la nostra visione anche in corso d’opera. Insomma, quello che emerge, alla fine dell’analisi, è un gameplay sicuramente stimolante, che ben si sposa con la natura mistery della produzione, ma che finisce per sacrificare le fisiologiche esigenze deduttive in favore di un approccio più trial and error. Il che finisce per lasciare in bocca il sapore di occasione sprecata.

Cinema d’oriente

Trattandosi di un titolo che punta tutto sul FMV, esprimere un parere tecnico è praticamente impossibile, visto che ci troviamo in presenza di elementi girati da attori in carne ed ossa, in location reali (ad eccezione dello spazio mentale di Haruka). Come detto in apertura, gli eventuali limiti sono puramente soggettivi, e legati all’enfasi recitativa squisitamente nipponica. Si potrebbe obiettare su alcuni elementi che hanno un aspetto un po’ troppo cheap, ma parliamo comunque di una produzione videoludica e non di un kolossal destinato a raccogliere consensi a 360°. Ovviamente, pur essendo presente un doppiaggio inglese, il mio consiglio è quello di godersi l’espressività della recitazione originale, anche in virtù della localizzazione testuale in italiano.

 

The Centennial Case: A Shijima Story è l’ennesimo tentativo di fusione tra cinema e videogame, ma pur presentando una manciata di idee interessanti ed una realizzazione complessiva non proprio da buttare, non riesce a spazzare via con fermezza i decenni di pregiudizi che questa unione (apparentemente) contronatura si porta in dote. Se è vero che, nel complesso, l’amalgama finisce per funzionare, più per la bontà del canovaccio narrativo che del gameplay vero e proprio, a lasciare perplessi è il modo in cui il costrutto deduttivo, che la trama presuppone, si presenta sulla scena. Abbandonando qualsiasi reale velleità investigativa, il titolo Square Enix è risultato sin troppo permissivo e lineare, con l’apporto del giocatore ridotto veramente al lumicino, visto il modo in cui è semplice venire a capo delle varie deduzioni. Se sommiamo il tutto alla presenza di dialoghi a scelta multipla dall’impatto trascurabile, il quadro che ne emerge è quello di un titolo che, pur risultando comunque gradevole, non riesce a far compiere a questo genere ibrido il tanto sospirato passo in più.