Recensione Shadow of the Tomb Raider
di: Luca SaatiDopo anni di gloria, Lara non se l’è passata molto bene vivendo all’ombra di un altro cercatore di tesori che intanto ha conquistato tutti. È protetto con il desiderio di inseguire Nathan Drake che i ragazzi di Crystal Dynamics diedero vita nel 2013 al reboot di Tomb Raider con l’obiettivo di raccontare una storia di origini mostrandoci una Lara Croft alle prime armi. Il capitolo del 2013 fu un ottimo videogioco con Crystal Dynamics che riuscì ad ammodernare la serie proponendo una formula in grado di imitare la serie Uncharted di Naughty Dog e allo stesso tempo di differenziarsi grazie ad ambienti più aperti e una leggera componente survival. Per il sequel si è deciso di espandere proprio quest’ultime due componenti rendendo Rise of the Tomb Raider un ottimo successore della saga. A tre anni di distanza è arrivato il capitolo conclusivo di quella che Square Enix definisce trilogia prequel o delle origini di Lara Croft. Con Crystal Dynamics impegnata sul misterioso Project Avengers, lo sviluppo è stato affidato a Eidos Montreal, il team dietro gli ultimi due episodi di Deus Ex, che con Shadow of the Tomb Raider ha l’arduo compito di chiudere in modo onorevole la trilogia.
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Dia de Los Muertos
Ancora una volta Lara si trova ad affrontare la Trinità con la speranza di fermare questa organizzazione una volta per tutte. La storia di Shadow of the Tomb Raider inizia in Messico durante il Giorno dei Morti dove Lara scopre l’esistenza di una città nascosta in cui si trova una misteriosa reliquia. Trovato l’artefatto, Lara se ne impossessa per evitare che finisca nelle mani della Trinità. Questa mossa però scatena una serie di eventi apocalittici che culmineranno con la “morte del sole”, ovvero la fine del mondo. Inizia così la missione di Lara Croft, accompagnata dal fido Jonah, di fermare la profezia Maya e la Trinità.
Dalle premesse, in questo capitolo finale della trilogia delle origini di Tomb Raider dovevamo assistere all’ultima fase della crescita di Lara. La scrittura però non riesce a mettere in risalto questo aspetto come si deve, la crescita di Lara infatti avviene innanzitutto in modo troppo frettoloso e dopo una serie di lamenti da parte della protagonista che finiscono più per annoiare il giocatore piuttosto che a catturarlo, immergerlo nella psicologia del personaggio ed emozionarlo. Anche gli altri personaggi non brillano, anzi una volta arrivati ai titoli di coda finirete per dimenticarvi di tutti loro. Andando avanti comunque la situazione migliora con il ritmo che si fa più incalzante, e l’azione più frenetica, peccato che ormai sia troppo tardi. Insomma Shadow of the Tomb Raider ci ha lasciato poco o nulla dal punto di vista narrativo, non nascondiamo che arrivati al terzo episodio di questa saga reboot le nostre aspettative erano decisamente alte, ma siamo finiti con il restare particolarmente delusi.
Lara the Predator
Dove Shadow of the Tomb Raider dà il meglio di sé è con il gameplay. I ragazzi di Eidos Montreal non hanno rivoluzionato la formula, ma si sono limitati a migliorare quanto di buono fatto finora da Crystal Dynamics con i due precedenti episodi. L’esplorazione è una delle componenti fondamentali in Shadow of the Tomb Raider con ambienti più vasti e ricchi di elementi con cui interagire: dagli animali da cacciare, agli oggetti da raccogliere per il crafting e numerosi collezionabili. Precisiamo che Shadow of the Tomb Raider non è diventato un open world, ma la struttura molto più aperta degli ambienti elimina la linearità tipica di queste produzioni incentivando l’esplorazione dello scenario alla ricerca di bivi e strade secondarie in cui spesso troviamo tombe e cripte da profanare.
Proprio le tombe e le cripte sono uno dei pezzi forti della produzione con enigmi ambientali e fasi platform che si fanno via via sempre più complessi e divertenti da risolvere senza essere mai tediosi o noiosi. La novità di queste sessioni è che Lara può fare uso di un rampino per aggrapparsi alle pareti e alle sporgenze per raggiungere punti altrimenti inaccessibili. Proprio il grande focus sull’esplorazione ha portato gli sviluppatori a mettere un po’ in secondo piano i combattimenti che si presentano in numero piuttosto limitato, qualche scontro in più non guastava affatto. Lara in combattimento si trasforma in una letale predatrice con Eidos Montreal che ha espanso le abilità stealth: adesso è possibile utilizzare il fango per nascondersi sulle pareti fangose e tendere così degli agguati ai nemici; l’arco può vantare le frecce avvelenate in grado di impaurire gli avversari e di farli aizzare contro i loro compagni prima di morire. Le fasi stealth sono la parte migliore del gioco grazie a un level design particolarmente curato che si sviluppa molto anche in verticale, e dei nemici che, pur non brillando per intelligenza, risultano sempre attenti e pronti a prendere d’assalto Lara non appena esce allo scoperto. Proprio per questo è ai livelli di difficoltà più alta che Shadow of the Tomb Raider dà il meglio di sé spronando il giocatore a scegliere un approccio più silenzioso e discreto. Restano invece praticamente intatte le fasi shooter con un gunplay un po’ legnoso e non all’altezza degli altri esponenti del genere.
Come in passato, anche in Shadow of the Tomb Raider è possibile fermarsi negli accampamenti per acquisire nuove abilità in un apposito skill tree suddiviso in tre rami (Concentrazione, Stoicismo e Percezione) che consentono di sbloccare nuove mosse o di potenziare quelle già a disposizione, da sottolineare che alcune abilità si sbloccano solo dopo aver completato alcune cripte. Dall’accampamento possiamo anche potenziare le armi spendendo le apposite risorse che fabbricare nuovi abiti in grado di potenziare le abilità passive di Lara come i passi più silenziosi o una maggiore protezione dagli attacchi. Inoltre durante l’avventura ci troveremo a visitare delle città che fungono da hub in cui acquistare o vendere merci ai mercanti, o perché no parlare con gli abitanti per avviare le quest secondarie.
Il fascino dei Maya
Dal punto di vista grafico l’opera di Eidos Montreal si difende davvero bene. Già su Xbox One S il gioco sa regalare scorci davvero impressionanti, merito di una direzione artistica di primissimo livello, eccellenti effetti d’illuminazione e un’ottima conta poligonale. Le scene più spettacolari sono accompagnate da ottimi effetti particellari, peccato solo per un framerate non sempre solidissimo sui 30 fps, qualche calo c’è anche se non ha mai compromesso il gameplay. Dello stesso livello anche le cutscene grazie a un’ottima regia e un’ottima recitazione. Tra cotanta bellezza solo le animazioni non ci hanno fatto impazzire, in alcuni momenti infatti sembrano mancare quelle animazioni di raccordo tra un movimento e l’altro: lo si nota in particolar modo nei salti durante le fasi platform. Il comparto sonoro è all’altezza delle aspettative con una piacevolissima colonna sonora sempre e un buon doppiaggio in italiano, peccato solo per un sincronia del labiale non sempre perfetta.
Commento finale
Arrivati ai titoli di coda di Shadow of the Tomb Raider non possiamo nascondere di essere rimasti un pochino delusi. Chiariamolo, l’opera di Eidos Montreal non è un brutto videogioco ma arrivati alla terza avventura della nuova Lara Croft ci aspettavamo qualcosa in più, specie dalla narrativa che purtroppo fallisce nel mostrare la fase finale della crescita della celebre archeologa. Il gameplay invece è solido e soddisfacente soprattutto ai livelli di difficoltà più alti, ma anche in questo caso manca il coraggio di osare visto che Eidos Montreal si è limitato a fare il classico more of the same. Insomma i fan dei precedenti episodi di Tomb Raider sicuramente apprezzeranno anche questa nuova avventura, ma è indubbio che a questo punto era lecito aspettare quel decisivo passo avanti che Lara Croft avrebbe meritato.