Final Fantasy Saga
In occasione dell'imminente arrivo del nuovo capitolo di una delle serie videoludiche piu' longeve e acclamate di sempre, siamo orgogliosi di proporvi questo speciale al fine di ripercorrere insieme, passo dopo passo, la storia di Final Fantasy, dalle origini piu' lontane ai giorni nostri. Lasciatevi trasportare dolcemente dalle onde magiche di questa opera artistica ventennale made in Japan. Seguiteci.
di: RedazioneCome le onde del mare.
Esse tornano sempre a lambire le rive e le coste. Le onde del mare, calmo e cristallino, hanno pur sempre alti e bassi. Smuovono il fango del fondale, hanno una leggerissima spuma che è la loro parte più bella. Le onde ti travolgono, e così sanno anche fare alcune opere artistiche, che in serie si abbattono su di te con il loro carico di emozioni fino a sommergerti e farti desiderare di continuare a naufragare nel loro mare.
Chi si avvicina a Final Fantasy per la prima volta raramente lo fa con la consapevolezza di entrare in un universo di consolidata grandezza videoludica, di innegabile storicità della serie nel genere JRPG, di sensazioni globali che prescindono tecnicismi e qualità del gioco in sé; ma si limita, generalizzando, a trovare il capitolo a cui ha magari estemporaneamente giocato “bellissimo”.
Come fronteggiare l’ingenuità tipica del fanciullo che vede solo il mondo che è alla sua altezza? Il vecchio e stanco maestro non ha che l’arma dell’insegnamento e del ricordo per trasmettere ai suoi discepoli una sapienza più antica prima che essa vada perduta.
Final Fantasy è per l’appunto qualcosa di antico, nell’ottica del giovane mondo dei videogiochi, e dopo oltre venti anni di successi e di emozioni sta andando scomparendo. Consci dell’ineluttabilità del declino, destino di rovina crudele ed inesorabile insito in ogni cosa di questa terra, lottiamo almeno contro l’oblio di quello che fu.
Final Fantasy è infatti da anni morto. O almeno morente.
Sepolto non tanto dalle sue primavere quanto dalla sua stessa mole, ha subito e sta subendo un’evoluzione malata e distorta che si ribella alla sua primigenia ragion d’essere. Un nucleo debolissimo e stanco che a stento pulsa sotto la bellezza decaduta di estetismi grafici sbalorditivi che si riflettono e moltiplicano l’un l’altro non foss’altro per il loro numero, rende estremamente potente, bello e malinconico un viaggio nel passato di questa saga, con la consapevolezza che nulla è per sempre.
Avventuriamoci a scoprire il giardino oltre i rovi camuffati da rose senza profumo che ci impediscono di vedere; non sarà mai troppo tardi per farlo.
Origin
Il giardino nacque con un fiore.
Square Co. si era appena resa indipendente, e gli esigui fondi presenti permettevano la produzione di un solo videogame, che dopo i mediocri predecessori avrebbe inesorabilmente decretato la rovina o la salvezza per la società.
Un uomo, a capo del progetto fatale: Hironobu Sakaguchi. Decise che la sua creazione finale, con cui si giocava il tutto e per tutto, sarebbe stata una fantasia, cioè un gioco di ruolo che riprendesse il meglio del famoso e di successo Dragon Quest, della Software House rivale Enix.
Il gesto ironico e quasi romantico di intitolare quel videogame, prima incursione della compagnia nel genere dei giochi di ruolo, “fantasia finale” è l’atto diremmo di amore paterno di un uomo verso la sua passione che vede messa in pericolo. La negazione annunciata nel titolo di un qualsiasi futuro esorcizza i timori del presente e conferisce a quella creazione lo spirito di un figlio: un gioco con l’anima. Ma è anche la qualità del prodotto che lo consegna di fatto alla storia: il successo di quell’avventura, così nuova e permeata della cupezza tolkeniana estranea ai canoni della spensieratezza quasi fine a se stessa del precedente panorama dei giochi di ruolo nipponici, segna non solo il risollevarsi di Squaresoft dal baratro, ma anche una profonda innovazione della concezione dell’RPG, che poteva ora venire incontro ai gusti di un pubblico che si era scoperto essere ben disposto ad avventure non del tutto lineari nel loro svolgimento nonché dalle profonde implicazioni. Final Fantasy (1987) spopola in Giappone sul Famicomputer a 8 bit di Nintendo, potendo sfoggiare tra l’altro una colonna sonora senza precedenti (la melodia “Cross the Bridge” ricorre in quasi tutti i capitoli successivi, abilmente nascosta) e un più che soddisfacente comparto grafico, pur negli ovvi limiti posti dall’hardware del tempo, e riuscendo nel tentativo disperato di salvare Square dalla bancarotta.
E non era che l’inizio.
L’onda del successo fu tale che, abbandonata ogni incertezza, non ci furono indugi nel proporre già un anno dopo Final Fantasy II (1988). Questo “seguito” proponeva una storia che non aveva legami con la precedente avventura: affrontava le vicende di un Impero del terrore e di uno sparuto gruppo di giovani scelti dal destino per fronteggiarlo. Gli elementi di raccordo con il prequel erano e sono strutturali, come il generale funzionamento delle battaglie, il nome di incantesimi o oggetti, e così via. Questa linea sarà tenuta per tutto lo svolgersi della saga nel corso dei venti (20!) anni successivi, permettendo di volta in volta un proseguire continuativo di fondamentali tematiche portanti in parallelo con innovazioni e contaminazioni varie sul sistema di gioco. Certamente un sistema vincente in grado di deliziare un grande pubblico.
Final Fantasy III (1990), l’ultimo ad uscire sul sistema ad 8 bit di potenza di casa Nintendo, riporta un po’ indietro le lancette dell’orologio: i nostri guerrieri tornano ad essere senza nome, che verrà scelto dal giocatore, e la trama resta meno improntata e avvincente rispetto al capitolo immediatamente precedente. Siamo sempre sui soliti standard per quanto riguarda i comparti grafico e sonoro, senza del resto avere la possibilità di particolari stravolgimenti data la piattaforma di sviluppo, ma il vero fiore all’occhiello di FF3 è il suo completissimo e variegato “Job System”, che da solo rende il titolo meritevole di esser giocato anche a tanti anni di distanza.
Legata in esclusiva alle piattaforme Nintendo, Squaresoft continua a produrre i suoi giochi anche per il celeberrimo Super Famicom, meglio noto in occidente come SNES, o Super Nintendo. La potenza di calcolo raddoppia con la nuova console e raggiunge i 16 bit, le vendite surclassano in Giappone la concorrenza SEGA. Parte del successo iniziale può a buon diritto anche andare a quel gioiello intorno a cui gravitavano aspettative e rumor con ben pochi precedenti. Ma Final Fantasy IV (1991) fa molto di più, stabilisce infatti un nuovo standard di eccellenza sotto ogni aspetto possibile, potendo contare su un’ottima grafica, una colonna sonora, tanto per cambiare, incredibile grazie agli sforzi di Nobuo Uematsu, nonché su un gameplay innovativo che introduceva il concetto di “Active Time Battle” (ATB) alla base di diversi altri capitoli della serie e non solo. FF4 può inoltre dirsi a buon diritto il primo, storico JRPG caratterizzato da una trama finalmente definita, cinematografica, coinvolgente e non lineare. L’unica seria pecca di questo capolavoro era la non eccelsa traduzione effettuata per la versione americana del gioco, lacuna che verrà colmata con la successiva versione per Game Boy Advance.
Il titolo era originalmente stato pensato per apparire su NES, ed il suo successore, FF5, sarebbe dovuto essere il primo capitolo della saga ad apparire su SNES. Tuttavia si decise, nel 1990, che così non doveva essere. Il risultato fu che Final Fantasy V (1992) fu un po’ messo in ombra, nonostante sia ancora più lungo, ben realizzato e ricco del suo predecessore; non raggiunse mai l’occidente prima del 1999 con la pubblicazione di Final Fantasy Anthology, porting per PS. C’è da dire che FF5 è l’ultimo capitolo che vede Sakaguchi nel ruolo di director, prima cioè del passaggio alla carica di produttore esecutivo, lasciando la regia nelle mani di Hiroyuki Ito.