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Recensione Recensione di Infinite Undiscovery

Recensione di Infinite Undiscovery di Console Tribe

di: Redazione
Ormai archiviati i commenti da un lato sensazionalistici e
dall’altro denigratori che infiammarono gli animi degli
appassionati in seguito all’apertura di Square-Enix alla console
bianca di Redmond, è tempo per i giocatori di iniziare a
raccogliere i frutti di quanto seminato già prima delle
scottanti dichiarazioni dello scorso E3.

La casa del chocobo è famosa per i suoi giochi di ruolo alla
giapponese, e per mano del team tri-Ace torna alla ribalta con un
action-RPG che è il primo di quel tris di titoli concessi in
esclusiva ad Xbox 360. La discussa line-up comprende l’ambiguo The Last Remnant, l’attesissimo prossimo capitolo di Star Ocean (The Last Hope) e l’oggetto di questa recensione, Infinite Undiscovery, che in ordine di tempo sancisce il debutto della software house nel mercato dei videogame di nuova generazione.

Andiamo a verificare se gli sviluppatori per la prima volta alle prese
col nuovo hardware hanno saputo creare qualcosa di degno delle loro
apprezzate saghe Star Ocean e Valkyrie Profile, oppure se si tratta di un esperimento di poche pretese.





Chained Melody



Lo sfondo della vicenda è un mondo “medievaleggiante” che ha per
anni vissuto in armonia con la natura. Il magico e benevolo potere
della Luna filtra nel creato la luce e l’amore degli dei
conferendo agli uomini capacità e talenti in funzione delle fasi
lunari al momento della nascita. Morte e malattie si stanno però
diffondendo a causa di una malvagia oligarchia che vuole imbrigliare il
potere del magico satellite per i suoi fini: a tale scopo ha eretto
enormi catene che legano la luna alla terra, ed intorno ad esse si
raccolgono mostri e prosperano dolore ed infelicità.

Al malefico Order of Chains si contrappone un gruppo di guerrieri che
tenta di porre fine a questo stato di cose con l’appoggio della
popolazione. Il capo dei ribelli è Sigmund il Liberatore,
l’unico eroe dotato del potere di spezzare le Catene.

Non è però lui che impersoneremo: prepariamoci ad
assumere il punto di vista di un giovane suonatore di flauto, schivo e
dalle origini sconosciute, che cerca quando possibile di non schierarsi
e restare fuori dai guai. Il suo nome è Capell, ed è il
perfetto sosia di Sigmund. Proprio per la somiglianza straordinaria con
il Liberatore, è scambiato per lui persino dalla bella
combattente Aya, che pure lotta contro l’Ordine. Dopo
l’evasione da una prigione nemica, Capell, con l’aiuto di
Aya, è costretto ad usare la spada per difendersi, rivelandosi
stranamente fin troppo abile. Il bardo è portato, un po’
controvoglia, a lottare per la causa della resistenza, ma questo
è solo l’inizio di una serie di eventi che lo porteranno a
fare luce su un passato di cui lui stesso non conserva memoria.



Prendete il consueto stereotipo dello scambio di persona, aggiungete il
classico alone di mistero che avvolge il vissuto del solito
protagonista “eroe-suo-malgrado” e mescolate con il tipico
ordine oppressivo della libertà delle umane genti. Otterrete una
trama godibile ma non particolarmente originale, che vi
accompagnerà per poco più di venti ore. Pur affrontando
le missioni secondarie disponibili nel corso dei due dvd che compongo
il gioco, tra cui quella del Seraphic Gate sbloccabile una volta
terminata l’avventura principale, la longevità di Infinite Undiscovery
si attesta su livelli medio-bassi, soprattutto in relazione ad altre
produzioni Square-Enix di ben altra corposità; non vi sono
peraltro modalità di gioco online per variare ulteriormente
l’esperienza ludica, ma questa è per ora la regola in
ambito JRPG, e Infinite Undiscovery non fa alcuna eccezione.

La scarsa longevità comporta una altrettanto scarsa
caratterizzazione dei molti protagonisti con cui avremo a che fare.
Ognuno dei 18 personaggi utilizzabili nel corso delle battaglie ha
pochissimo spazio per farsi conoscere: i ritmi spediti della non
lunghissima trama principale concedono loro risicati spazi
introspettivi, col risultato di farceli apparire perlopiù come
simpatiche macchiette.





Gameplay dinamico e prontezza di riflessi



Fin dall’inizio del gioco siamo posti al centro
dell’azione. Una volta terminata la breve sequenza introduttiva,
dovremo aiutare Capell e la bella Aya ad evadere da una prigione nemica
liberandoci delle guardie al servizio dell’Ordine a suon di
fendenti e colpi speciali.

I primissimi scontri sono preceduti da schermate opzionali atte ad
illustrarci le basi del sistema di battaglia. Rendiamoci conto prima di
tutto della necessità di premere il grilletto RT per estrarre la
spada dal fodero ed entrare in modalità da combattimento: solo
una volta impugnata la nostra arma potremo visualizzare il mirino su
schermo che individua il bersaglio corrente ingaggiato da Capell.
Quando avremo a che fare con più di un avversario, possiamo
scegliere quale selezionare servendoci del pulsante dorsale LB, e una
volta fatto questo avremo accesso alle informazioni generiche sullo
status del nostro avversario, in particolare il numero di HP rimanenti.

Avremo presto modo di familiarizzare col classico dualismo tra colpo di
spada agile e veloce (attivabile tramite pressione del tasto A del pad)
e colpo più lento e potente (tasto B), nonché con il
giusto timing necessario per effettuare una manovra di parata
(grilletto LT) e contrattacco e chiaramente con le diverse combinazioni
dei due tipi di attacchi, che danno adito ad un colpo finale diverso a
secondo della combo effettuata. Gli attacchi conclusivi hanno effetti
collaterali precisi: possono scagliare in aria l’avversario o
costringerlo a terra, stato in cui non potrà difendersi dai
nostri colpi. Questo ci permette di esibirci in virtuose combo aeree o
di attacchi bassi, e più offese di questo tipo concateniamo,
più riempiremo la barra AP visibile sul lato destro dello
schermo. Tale barra si riempie e si svuota a seconda del numero e
dell’efficacia dei colpi portati a segno, dei nemici sconfitti,
delle abilità utilizzate e del loro costo e in ragione del
fattore sorpresa, cioè se abbiamo colpito per primi senza che i
nemici notassero per tempo la nostra presenza, o se al contrario sono
stati loro a coglierci impreparati.



Il party di battaglia può contare fino ad un massimo di quattro
membri attivi ma il protagonista Capell è l’unico sotto il
diretto controllo del giocatore: movimenti ed attacchi dei comprimari
sono gestiti dalla CPU, in perfetto stile Star Ocean.
Se gli HP di Capell scendono troppo possiamo richiedere loro che
vengano utilizzate abilità o oggetti di recupero semplicemente
premendo Y, e quando possibile i nostri amici ci daranno una mano. l
loro pattern d’azione possono poi essere variati facendo scorrere
le frecce su e giù del pad lungo generici profili
comportamentali, per indicare alla squadra la nostra volontà di
concentrarsi su nemici diversi, realizzare altre combo, risparmiare
preziosi MP o altro. Nulla di troppo invasivo e dettagliato
però, ben lontano dalla precisione dei gambit visti in Final fantasy XII.



Oltre alle capacità di suonatore di Capell, che può
scegliere tra una rosa di melodie dagli svariati effetti magici, un
elemento di novità è costituito dall’inedito
sistema di “linking” tra il bardo scapestrato e i suoi
compagni di viaggio. Sia nel corso delle battaglie che nella
tranquillità dei villaggi possiamo premere RB e selezionare il
personaggio a cui “collegarci”, per poi accedere alle due
abilità peculiari a disposizione della persona scelta
(utilizzando i tasti X e Y del pad dopo che le avremo precedentemente
impostate via menù) oppure sfruttare le loro caratteristiche per
concreti aiuti sul campo. Alcuni hanno una forza sovrumana in grado di
frantumare ostacoli, altri possono parlare con gli animali e
quant’altro. Ulteriori abilità di crafting di oggetti e
potenziamento dei parametri sono accessibili dal menu principale se
abbiamo nel party gli amici adatti. Essere collegati alla persona
giusta al momento giusto può quindi influenzare in maniera
decisiva l’esplorazione degli ambienti o la risoluzione delle
missioni secondarie.



Ciò premesso, è da rilevare come nel corso della frenesia
dei vari combattimenti questo panorama piuttosto articolato subisca una
serie di interferenze, tutte abbastanza seccanti. L’utilizzo del
menu di sistema, ad esempio, non implica alcuna interruzione del flusso
del tempo di gioco: aprirlo nel corso di una battaglia per qualsiasi
motivo, che può essere l’uso di un oggetto curativo,
l’impostazione di una abilità di campo o di una
riallocazione dell’equipaggiamento, ci lascerà inermi ed
esposti agli attacchi dei nemici, che non avranno la cortesia di
attendere i nostri comodi. Se questa è una scelta precisa degli
sviluppatori, non si può non trovare irritante la non eccelsa
gestione del lock-on del bersaglio. La funzione è indispensabile
per portare a segno gli attacchi di Capell, ma essa è
particolarmente caotica se gestita manualmente e a volte imprecisa o
assente se impostata come automatica. Essere attorniati da un nugolo di
nemici e non riuscire ad agganciarne nessuno per diversi secondi,
lanciando quindi inefficaci attacchi al vuoto, non è piacevole e
rischia di vanificare il già scarso controllo del giocatore
sugli scontri più concitati. Ulteriore elemento di disturbo
è la continua necessità di estrarre e riporre la vostra
spada per potere interagire con personaggi non giocanti, porte o casse
del tesoro. Nei dungeon dove sono presenti sia elementi interattivi sia
nemici, potremmo ritrovarci ad essere attaccati senza pietà
mentre siamo costretti a riporre la spada per illuminare il luogo
tramite un interruttore, cosa obbligatoria se non vogliamo combattere
alla cieca contro i mostri che senza luce non saranno agganciati.





Il flauto magico



Proseguendo con l’avventura, non sarà raro ritrovarsi
totalmente spaesati e senza indicazioni su dove di preciso doversi
recare dopo un evento o una conversazione. Dovrete dedurre il vostro
obiettivo in base agli sviluppi della trama o grazie agli spunti
leggibili interrompendo il gioco col pulsante Start, ma in certe
occasioni il percorso da imboccare è letteralmente mimetizzato:
spetterà a Capell e alla sua magica melodia
“Percipere” renderlo palese, ad esempio rendendo visibile
una scalinata che prima era nascosta da un solido muro di mattoni.
Oppure potreste aver bisogno di un key-item che si ottiene unicamente
utilizzando le apposite abilità di forgiatura di oggetti. Prima
di arrivare a queste conclusioni potreste fare più di una volta
il giro del dungeon chiedendovi cosa fare, dove e quando farlo. Magari
anche con chi farlo, ricordando la variabile del
“collegamento” tra personaggi dotati di skill peculiari. Il
lato positivo sono i graditi punti esperienza extra che inevitabilmente
guadagnerete.

Anche a causa di alcune delle mappe più noiose e sconclusionate
che si siano viste di recente, il vagare a casaccio per alcune delle
vaste aree che visiterete può rivelarsi un’esperienza a
tratti irritante, che potreste vedere più come un male
necessario che come un diversivo stimolante. Ma la varietà per
fortuna non manca; pur con questi problemi, a cui farete il callo dopo
poche ore di gioco, il gameplay si mantiene abbastanza multiforme,
tanto nella quest principale quanto nelle missioni secondarie. Infinite Undiscovery
non inganna il giocatore con missioni diverse solo nel nome e che
consistono solo nel raggiungere e battere il boss di turno, cosa tra
l’altro comune a più d’un RPG recente: al contrario
propone sfide sempre piuttosto godibili e diversificate, che vanno
dallo scortare e proteggere un gruppo di pellegrini al dover
distruggere cristalli energetici, dall’avanzare di soppiatto nel
buio senza fare rumore all’assalto di una roccaforte, e via di
battaglia in battaglia e di minigioco in minigioco. Poiché gli
eventi si susseguono piuttosto velocemente potreste in effetti aver
problemi a capire subito cosa in queste occasioni è necessario
fare per proseguire, complice anche il perenne fastidio del doppio
status di interazione spada riposta/spada sguainata che potrebbe
indurvi a qualche game over poco simpatico. Tuttavia una volta capito
il giusto meccanismo ogni difficoltà è facilmente
superata con soddisfazione, come nei momenti in cui dovrete suddividere
la squadra in diversi party ben bilanciati per raggiungere
l’obiettivo grazie alla cooperazione e al supporto reciproco tra
la vostra truppa e quelle gestite dalla CPU.





Grafica e sonoro: ancora ambiguità



Il titolo tri-Ace è visivamente piacevole ma al contempo
distante dalle possibilità grafiche ottimali che la console
permetterebbe agevolmente.

Le ambientazioni sono quasi sempre ampie e luminose e in più di
un’occasione non potremo non apprezzare alcuni bellissimi orizzonti con
le minacciose catene che salgono fin su nel cielo a ghermire la Luna.
E’ un peccato però che il livello estetico globale delle
location non differisca sostanzialmente da quanto visto nei titoli
migliori della scorsa generazione, data la mancanza di dettagli. Questo
vale tanto per i luoghi aperti e più spaziosi come altopiani
desertici o pianure verdi, quanto per i centri abitati: i fili
d‘erba sono perlopiù solo disegnati sul terreno, i
villaggi e le città sono piccolissimi e non hanno quasi mai
strutture che non siano indispensabili allo shopping o
all’evolversi della trama. Anche le texture, sebbene siano
comunque funzionali e non soffrano in nessun caso di effetto pop-up,
non sono particolarmente elaborate. L’impressione generale
è quella di una certa noncuranza e mancanza di interesse per i
particolari. Il risultato non sarebbe stato deprecabile se il gioco
fosse uscito due anni fa, ma oggi è forse un po’ sotto gli
standard. Per contro, i caricamenti sono pochi e rapidi e non
influiscono negativamente sull’esperienza di gioco.

Molto gradevoli risultano i maestosi edifici che avremo modo di
esplorare: palazzi e roccaforti colpiscono esteriormente per le
notevoli architetture barocche e all’interno sono adornati da
elementi di buona fattura quali archi, cancellate e statue di marmo. Ad
ogni modo il level-design tende ad essere troppo labirintico e
dispersivo.



Il frame rate è sempre stabile salvo alcune rare incertezze che
si verificano solo nelle situazioni di battaglia più complesse e
con moltissimi elementi su schermo. Del resto i combattimenti sono i
momenti in cui maggiormente siamo positivamente colpiti dagli ottimi
effetti luminosi generati da colpi ed abilità speciali. Fiamme
che ardono, esplosioni multicolore e una convincente illuminazione
dinamica sono tra gli elementi grafici di maggior pregio che Infinite Undiscovery ha da offrire.



I modelli poligonali dei personaggi sono piuttosto ben riusciti e
dettagliati. Il character design curato dal semi-debuttante Yukihiro
Kajimoto non appare sgradevole ma sa decisamente di già visto,
coi suoi cavalieri bardati e gli adolescenti androgini dalla
pettinatura fashion. La resa finale è però apprezzabile
ed anche le animazioni sono quasi sempre naturali e ben realizzate,
anche se ancheggiamenti e piegamenti plastici si alternano talvolta a
movimenti estremamente legnosi o poco realistici, oltre che saltuarie,
scusabili, compenetrazioni tra poligoni. C’è
ambiguità anche riguardo l’espressività facciale
dei protagonisti durante le scene animate, poiché anche i
momenti di maggiore pathos comunicativo possono venir sminuiti da una
pessima resa della mobilità delle labbra.

Senza infamia e senza lode l’estetica dei personaggi non
giocanti: pur non dettagliati allo stesso livello dei protagonisti
dell’avventura essi sono sempre molti, affaccendati e
sufficientemente diversificati tra loro per popolare le città in
modo vivido e verosimile.



Parlando del comparto sonoro non possiamo non elogiare il nuovo ottimo
lavoro del compositore Motoi Sakuraba, all’ennesima proficua
collaborazione con tri-Ace. Lo stile a tratti epico e a tratti
spensierato dei brani, a partire dall’inconsueto assolo di piano
che possiamo apprezzare nella schermata del titolo, si mantiene vario e
sempre adatto alle situazioni vissute da Capell e company. Anche il
doppiaggio inglese è di solito soddisfacente: le recitazioni non
risultano fastidiose, seppur con qualche eccezione che cade nel
ridicolo come nel caso del nerboruto Balbagan o altri personaggi
secondari.

Non tutte le scene a cui assisteremo godono di dialoghi parlati,
infatti alcune saranno mute e vedremo i nostri protagonisti muovere la
bocca in maniera sconnessa, come già accennato. D’altronde
il risultato non è migliore nel caso essi parlino, poiché
il lip-sync tra doppiaggio e personaggi a schermo è davvero poco
riuscito. Altra notazione non troppo positiva è che Infinite Undiscovery
non gode di alcuna forma di localizzazione linguistica: né il
doppiaggio, né i sottotitoli, né i messaggi di campo,
menu o sistema sono disponibili in lingue diverse dall’inglese.





Domani sarà un giorno migliore



Pur essendo il primo titolo della scuderia Square-Enix ad uscire per
l’attuale, potente generazione di console casalinghe, Infinite Undiscovery non osa e non stupisce particolarmente sotto il profilo tecnico.

E’ chiaro come il titolo sia stato un buon banco di prova per gli
sviluppatori di tri-Ace per farsi le ossa in vista dell’imminente
Star Ocean: The Last Hope, capitolo dalle ben più importanti implicazioni commerciali.

Esteticamente passabile giacché né troppo datato
né all’avanguardia, il gioco non è esente da
imperfezioni, eccessive lungaggini e frangenti di facilità
risibile; non mancano però i bei momenti e il piacere di
prendere parte ad una storia dal buon potere di coinvolgimento.

Insomma, difficilmente potremmo considerare un crimine non provare
questo gioco. E’ perfetto però per tutti quegli
appassionati di giochi di ruolo che sono nell’attesa di altri
titoli più blasonati, come già successe col vecchio Enchated Arms prima del debutto di Mistwalker. Su Xbox 360 ci sono anche i JRPG tappabuchi: se questa non è scelta…