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Recensione Zombeer

Non è certo una novità che la parola zombie faccia rima con videogameQuesta volta tocca ai ragazzi di Padaone Games – con alle spalle Moonbite per la produzione – trovare un nuovo spunto su uno dei temi più abusati nel mondo videoludico moderno. Ce l’avranno fatta con Zombeer a creare qualcosa di originale, divertente e appassionante in soli 1,4GB disponibili su PSN? Console-Tribe è qui per dirvelo!

di: Marco "RizzK8" Rizzini

Non è certo una novità che la parola zombie faccia rima con videogame. Soprattutto negli ultimi anni, col proliferare di giochi in Digital Delivery e per smartphone, in cui gli sviluppatori possono sbizzarrirsi in molteplici varianti sul tema e senza l’assillo di dover sfornare un titolo tripla A per quanto riguarda la combinazione di trama, durata, gameplay e grafica. Se è vero che molte di queste produzioni sarebbero state tranquillamente evitabili, lo è altrettanto che all’annuncio di ogni nuovo titolo con protagonisti i non-morti il pubblico risponde con trepidazione e attesa sperando nel capolavoro.
Questa volta tocca ai ragazzi di Padaone Games – con alle spalle Moonbite per la produzione – trovare un nuovo spunto su uno dei temi più abusati nel mondo videoludico moderno. Ce l’avranno fatta con Zombeer a creare qualcosa di originale, divertente e appassionante in soli 1,4GB disponibili su PSN? Console-Tribe è qui per dirvelo!

Mmm… Birraaaaaaaa!

Motore, azione: subito ci troviamo in una bettola messicana – durante la più classica delle apocalissi zombie – ad impersonare K, un giovane fannullone ubriacone già a buon punto con la sua sbronza quotidiana. Fin dai primi passi che dovremo muovere ci accorgiamo del primo stravolgimento narrativo: la bevanda preferita da K per intorpidire i suoi sensi, la Zombeer, è anche la sua ancora di salvezza. Sul braccio il ragazzo ha un brutto morso, e il continuare ad assumere questa particolare birra combatte gli effetti della trasformazione in un mangia-cervelli, ovviamente a patto di una regolare e imprescindibile assunzione. Regolare sì, eccessiva assolutamente no: se non ne berrà abbastanza verrà inesorabilmente trasformato, se al contrario eccederà sperimenterà gli effetti malsani di dover combattere i famelici nemici in preda ai fumi dell’alcol senza nemmeno riuscire a mettere un passo davanti all’altro…

Dopo un breve tutorial – che ci porta a uscire dal bar con un dildo rosa come unica arma! – iniziamo ad addentrarci nella storia e a scoprire che la nostra missione è recuperare la fidanzata del protagonista. Ragazza non propriamente furba, che inizialmente aveva accettato le lusinghe del rettore della scuola per punire K causa l’aver saltato l’ennesimo appuntamento con lei per annaffiarsi di Zombeer, salvo poi chiedere aiuto al ragazzo una volta capite le intenzioni di Colon Duty – ebbene sì, il nome del rettore è davvero questo. Sulla trama non c’è molto altro da dire… Sul contorno invece sì. 
Come promesso dagli sviluppatori, fin dall’uscita del bar ci troviamo davanti ad una quantità astronomica di citazioni, provenienti da qualunque media possibile: fumetti, libri, serie tv, videogiochi, film e chi più ne ha più ne metta. Prima dell’uscita si è parlato di easter eggs… Termine poco azzeccato, visto che di solito un easter egg è qualcosa di molto nascosto, raro e difficilmente individuabile. In Zombeer la citazione è presente ovunque, sempre. Purtroppo in maniera del tutto fine a sé stessa, senza nessuna implicazione narrativa in una storia che avrebbe avuto bisogno di un po’ di vivacità, risultando invece piatta e abbastanza anonima. All’inizio è anche divertente riconoscere tutto: i tubi di SuperMario, il fumo nero di Lost che ci passa davanti nei condotti, il Necronomicon abbandonato nella hall della scuola, la testa sotto spirito del pupazzo di Jigsaw, il simbolo di Joker, i Ghostbusters… e la lista sarebbe molto più lunga. Dopo poco, però, la cosa stanca, essendo come detto assolutamente inutile alla nostra esperienza di gioco e dando la sensazione di voler distrarre il videogiocatore dalle carenze del gioco che ha acquistato.

Ubriacato o zombificato?

Passando al gameplay, la sensazione è che più che sulla tecnica la si sia buttata sulla confusione: i movimenti sono molto fluidi e veloci, ancor di più quelli dei nostri nemici rendendo de facto impossibile il sottrarsi allo scontro o aggirarli. Risulterebbe già così un po’ complicato sbarazzarsi degli zombie – quantomeno a livello medio o difficile -, se poi aggiungiamo il fatto che le bizzarre armi che troveremo di volta in volta non ci danno nessun tipo di feedback in caso di colpi a segno… E questo con ogni tipo di arma: dal dildo iniziale alla pistola spara puntine, perfino al fucile da cecchino. L’unica speranza è sparare e sparare, se ad un certo punto vedremo cadere i non-morti vuol dire che un numero sufficiente di colpi li abbiamo mandati a segno. L’I.A. non è pervenuta, i nemici come unico approccio useranno il rincorrerci senza soluzione di continuità. Quando poi, proseguendo nel gioco, troveremo dei nuovi zombie con poteri speciali – anche qui grande novità – la situazione non si farà certo migliore: senza nessuna variazione useranno i loro poteri ad intervalli regolari, ed a noi non resterà che attaccarli nei momenti in cui non lo stanno facendo, dopo aver fatto un’accurata pulizia di quelli “normali”. In tutto questo saremo sempre obbligati a tenere sott’occhio la barra di trasformazione, che ci dirà quanto tempo potremo stare senza assumere la Zombeer prima di mutare a nostra volta. L’idea non è male, ma fa un po’ storcere il naso che non si possa in alcuna maniera potenziarla e permettere al videogiocatore di allungare il tempo in cui poterne star senza. Anche perché il rischio di finire le scorte, in particolari momenti, è molto alto vista la limitata capacità di trasporto delle preziose bottiglie.

Per quanto riguarda il comparto video, si dimostra lacunoso almeno quanto quello narrativo. Su delle texture di bassa qualità si svolge un’azione in cui la resa grafica forse non era una priorità per il team di sviluppo. I colori visionari e psichedelici farebbero anche il loro gioco, ma evidenti quanto frequenti cali di frame rate e delle animazioni rendono vano il tutto.
La colonna sonora è nella media, non riuscendo ad elevarsi più di tanto dalla mediocrità del titolo. Se musiche, rumori di sottofondo e “doppiaggio” degli zombie possono essere giudicati decorosi, il modo in cui vengono integrati con gli avvenimenti del gioco non convince per niente. In situazioni identiche – come usare l’ascensore, aprire/chiudere le porte – a volte sentiamo i rumori di fondo e altre no. Difficile pensare che possa essere una cosa voluta.

No. Sul serio, no.

Alla fine Zombeer è un titolo con un’idea di fondo interessante – la birra che combatte la mutazione – ma sviluppata male, talmente male che non è stato facile portare a termine le 3-4 ore che il gioco richiede per il completamento. Se l’idea di Padaone era di creare un titolo tra trash ed exploitation, rendendolo accattivante ed eccessivo come può essere un House of the Dead: Overkill, possiamo dire che si è fallito su tutta la linea. Difficile trovare qualche aspetto positivo, visto che tutte le componenti del gioco presentano carenze più o meno gravi.
Le varie indie ci hanno regalato in passato moltissime perle, anche in tema zombie, ma non è proprio questo il caso. 14,99 € sono una cifra che potete spendere meglio. Molto meglio.