Recensione The Evil Within
Lampi e tuoni che segnano il nostro cammino, muri imbrattati di sangue rappreso, echi urlanti che invocano aiuto insperato, esseri che non si abbandonano alla morte, la speranza di sopravvivere a questo e tanto altro ci attanagliano in un’avventura che abbiamo atteso a lungo: The Evil Within. Perché? La risposta è che a prenderci per mano c’è Shinji Mikami, la “mente” dietro ad una vera e propria opera d’arte del genere video ludico, la serie Resident Evil.
di: Giovanni MancaLampi e tuoni che segnano il nostro cammino, muri imbrattati di sangue rappreso, echi urlanti che invocano aiuto insperato, esseri che non si abbandonano alla morte, la speranza di sopravvivere a questo e tanto altro ci attanagliano in un’avventura che abbiamo atteso a lungo: The Evil Within. Perché? La risposta è che a prenderci per mano c’è Shinji Mikami, la “mente” dietro ad una vera e propria opera d’arte del genere video ludico, la serie Resident Evil.
Confusione di sangue
Non tutta la serie, ed è per questo che abbiamo parlato di una lunga attesa. Il percorso del visionario Mikami con la serie horror che lo rese celebre si interruppe nel 2005 con la pubblicazione di quello che viene considerato un capolavoro, sotto tutti i punti di vista: Resident Evil 4. The Evil Wihin è l’erede concettuale e spirituale, ne riprende molti elementi narrativi, stilistici e prettamente ludici.
Il protagonista della storia è il detective Sebastian Castellanos che, accompagnato dai suoi colleghi Joseph Oda e Julie Kidman, si reca nella terrificante scena del crimine al Beacon Mental Hospital: un vero e proprio massacro in un bagno si sangue in cui sembra essersi scatenata un forza misteriosa che non ha nulla di umano. Mentre indaga sulle morti, Sebastian scivola in una sorta di mondo parallelo in cui inizia la sua avventura “infernale”. Il canovaccio proposto di per se non è nulla di particolarmente originale e troveremo nel corso del nostro viaggio moltissimi clichè della letteratura horror, dai personaggi che via via si incontrano (zombie, cani zombie, boss con motosega, il dottore pazzo, fino a veri e propri “mostri” più alieni che terrestri) alle scenografie (ospedali, fattorie, il faro, magioni abbandonate). Fino a che punto tutto questo sia un problema, dipende dai punti di vista del giocatore: un grande appassionato dei grandi lavori di Mikami sarà estasiato nel ritrovare le sensazioni di un glorioso passato, come un viaggiatore che dopo tanto tempo ritorna a casa, grazie anche a delle location e dei cameo impagabili. Un giocatore che invece fa pesare sul piatto della bilancia l’esigenza di provare sempre qualcosa di nuovo e originale in grado di sorprenderlo, non troverà certo in The Evil Wihin quello che cerca. Va dato comunque atto a Mikami che se il suo obiettivo era creare una empatia fuori dal comune con il protagonista del gioco, dobbiamo ammettere che c’è riuscito. Come abbiamo accennato, Castellanos si ritrova improvvisamente in una sorta dimensione parallela, estremamente confuso, in quello che sembra un reparto ospedaliero: la confusione di Sebastian, la consapevolezza di non capire quello che gli sta succedendo e sta succedendo del mondo che lo circonda, è la stessa che ha il giocatore davanti allo schermo. Il gioco non ci da in questo senso nessuna informazione utile, le vicende si susseguono senza apparente logica narrativa, come se fossimo intrusi in una vicenda in cui non saremmo dovuti immischiare. Le note, i diari, gli oggetti che troveremo nei quindici capitoli sembrano quasi non appartenerci e solo nell’approssimarsi dell’epilogo riusciremo a capire qualcosa che va al di là della ricerca della sopravvivenza.
Stealth Survival
Dimenticate che le avventure “horror” moderne, spesso spacciate come appartenenti al genere “survival”, in cui dei vere proprie macchine da guerra fanno strage di poveri malcapitati nemici, che siano zombie o altro tipo di esseri. Con TEW si torna al passato, in cui non sempre quello che si trovava nel corso dell’avventura era sufficiente per difenderci in modo spavaldo ma esigeva un approccio intelligente e ben calcolato. Un essere umano, per quanto esperto nell’uso delle armi, contro orde di non morti resistenti, veloci e intelligenti al tal punto da cercare delle armi e usarle: non siamo invulnerabili, anzi, Sebastian all’inizio dell’avventura è poco resistente nella corsa, con poca energia vitale e impreciso nella mira, nascondersi negli armadi, sotto i letti, dietro un riparo occasionale è una tattica obbligata. Il giocatore è obbligato così a studiare con attenzione l’ambiente che lo circonda, individuare una possibile via di fuga, un riparo e i movimenti dei nemici, decidendo così il da farsi in quella precisa situazione: scappare oppure cercare di sorprendere il nemico alle spalle, magari dopo essersi nascosti nel buio ed averlo distratto lanciando un oggetto su un muro, e pugnalarlo. Un’intelligenza quella dei nemici spesso paradossale: capaci di avvistarci anche dopo aver spento la lampada, spararci contro, evitare in nostri colpi ma spesso bloccati da ostacoli invisibili o strutture della scenografia (come le staccionate, le scale, massi) che a volte scavalcano con agilità insospettata altre invece ci corrono contro all’infinito facendo da facile bersaglio. L’attenzione richiesta al giocatore è dunque notevole ma spesso e frustrata da dinamiche di gioco che non può in alcun modo controllare: bauli esplosivi e trappole esplosive non identificabili in tempo utile per salvarsi, nemici che miracolosamente non vengono colpiti da distanza molto ravvicinata per colpa di scene scriptate, visuale che si impalla in più di una circostanza. Spesso di procede accovacciati, un passo alla volta per non farsi sorprendere, ma questa posizione inspiegabilmente impedisce a Castellanos di usare le armi; spesso il sistema di controllo è impreciso, in particolare quando con lo stesso pulsante si possono fare più cose nella stessa situazione di gioco (inchinarsi, raccogliere, salire, disattivare, esaminare) o quando è complicato calcolare la distanza giusta per interagire con gli oggetti, dando la brutta sensazione che non tutto sia nel nostro pieno controllo. Un’altra scelta abbastanza azzardata è la mappatura di default del controller, dal momento che assegna alla pressione dello stick destro il menù di gioco: facile premerlo nei momenti più concitati e meno opportuni, ad esempio mentre si scappa ad un boss, tenendo conto anche del fatto che tale menù non mette in pausa il gioco, un po’ quanto avviene ad esempio nella serie Soul di From Software. Fortunatamente il sistema dei comandi si può modificare in qualsiasi momento e consigliamo vivamente di farlo.
Sia le caratteristiche fisiche del protagonista sia le armi in suo possesso sono caratterizzate da un processo di upgrade gestisto nell’HUB del nostro impavido detective, il reparto in cui si trova dopo l’incidente nel prologo nel Beacon Mental Hospital: ci si accede viaggiando attraverso gli specchi, dei veri e propri portali sparsi nella scenografia del gioco. La raccolta di punti esperienza sotto forma di una ignota sostanza chimica, rilasciati dai nemici o nascosti (più o meno) un po’ ovunque, ci permette cosi di migliorare l’efficienza delle armi (rateo di fuoco, ricarica, potenza, carico e cos’ via) e le “performance” atletiche di Sebastian (salute, resistenza e mira soprattutto), l’efficacia dei kit medici e dei farmaci che il detective è costretto ad iniettarsi per recuperare energia.
Cinemascope a singhiozzo
Partiamo dalle note positive: la caratterizzazione scenografica e la gran parte dei nemici è roba già vista sia nei videogiochi che nel cinema, ma TEW lo fa quasi sempre sempre alla grande, grazie ad uno stile curato e ricercato, riuscendo a coinvolgere il giocatore in delle atmosfere degli del genere horror.
La realizzazione tecnica purtroppo è un’altra cosa e il lavoro di Tango Gameworks può essere considerato solo mediocre, considerando l’hardware sui cui gira e il motore grafico più che discreto, il id Tech 5 di id Software (Wolfenstein: The New Order). Con molta difficoltà si tengono stabili i trenta fotogrammi al secondo, nelle scene più affollate o con qualche effetto speciale (come i lampi del cielo) si scende tranquillamente a venti, la visuale si impalla troppo spesso, soprattutto quando si cerca riparo, e tutto questo dopo aver installato la prima patch, disponibile al day one. Nel caso la vostra console non fosse connessa per scaricarla, beh, andate da un amico e fatelo, perché il gioco “liscio” è ancora peggio, con un frame rate a tratti scandaloso. Forse consapevoli dei problemi, il team di sviluppo ha scelto il formato 2.35:1 con la conseguenza che vedremo due invasive bande nere nello schermo durante le fasi di gioco, un formato che ben si adatta alle produzioni cinematografiche ma che in ambito video ludico sembra più una soluzione di comodo, poco funzionale, limitata e limitante. Pollice verso anche per le animazioni, e se da un lato si può chiudere un occhio per quelle che caratterizzano i nemici non possiamo fare la stessa cosa per quelle del protagonista, soprattutto quando corre o quando si deve spostare in posizione accovacciata indietro o lateralmente. Buoni gli effetti sonori e il doppiaggio in italiano.
Appuntamento al buio
Non siamo in presenza di un gioco per tutti e non crediamo neppure sia stato ideato per esserlo. E non ci riferiamo ad una realizzazione tecnica carente sotto molto punti di vista, davanti alla quale si dovrebbe avere molta tolleranza per sopportarne i difetti ma alla passione di una generazione nei confronti di un’opera e di un artista. Mikami in The Evil Wihitin è fortmente autocitazionista, sono numerosi i riferimenti alla trama, scenografia e gameplay dei suoi lavori precedenti e chi li ha amati, chi cerca ancora quelle emozioni e sansazioni, andrà sicuramente oltre i problemi che abbiamo più volte citati. Agli occhi di tutti gli altri, il nuovo titolo Tango Gameworks potrebbe apparire come un gioco vecchio, come concept e come realizzazione.