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Recensione Recensione di Tom Clancy’s Splinter Cell Double Agent

Recensione di Tom Clancy's Splinter Cell Double Agent di Console Tribe

di: Redazione
Senza alcun dubbio la serie Splinter Cell creata dal grande Tom Clancy
ha rappresentato uno dei maggiori successi videoludici degli ultimi
anni, rivoluzionando il gameplay classico dei giochi d’azione e
introducendo una solida componente stealth. Con l’avanzare degli
episodi questo genere ha visto la sua schiera di fan infoltirsi sempre
più e l’attesa per il debutto di Sam Fisher su console next-gen è stata
fremente. In questo nuovo episodio, a parte una modalità multiplayer
totalmente rivisitata, per quel che riguarda lo Story Mode sono pochi i
nuovi elementi apportati al gameplay e in generale si ha la sensazione
che si siano fatti passi lateralmente anzichè in avanti nello sviluppo
di questo aspetto. Tuttavia questo non è necessariamente da intendersi
come una nota negativa e i fan dei precedenti episodi potranno
aggiungere un nuovo entusiasmante capitolo alle loro avventure da spia.



Storia


Double Agent sin dalle prime battute ci cala in un’atmosfera che
strizza l’occhio alle più blasonate produzioni cinematografiche come il
trend delle ultime produzioni videoludiche vuole, soprattutto quelle
firmate Tom Clancy. Il passaggio al gioco vero e proprio avviene
attraverso una missione introduttiva che vede il nostro Sam e un suo
adepto infiltrarsi in una centrale elettrica in Islanda per una
semplice ricognizione. Gli elementi ci sono tutti, il lancio in mare
dall’elicottero, il passaggio dai condotti di scarico e poi mano al
coltello un’apertura nel ghiaccio per passare sulla terraferma. Quella
che inizialmente sembra essere una banale ricognizione però si rivela
essere una rischiosa operazione antinucleare. L’atmosfera diventa
subito rovente e sembra di continuare da dove avevamo lasciato nel
precedente capitolo ma ben altro ancora ci aspetta! Subito il colpo di
scena: terminata la missione e sventata la minaccia resta un resoconto
drastico a causa della morte del compagno e la situazione peggiora dopo
l’estrazione in elicottero quando Sam apprende della morte della
figlia. Da qui l’involuzione del personaggio sintetizzata in quella
straordinaria scena che vede Sam disfarsi del suo fantomatico visore a
tre ottiche che sprofonda lentamente nell’oceano. Partono i titoli di
testa, ora si comincia a fare sul serio! Spiazzante vedere Sam
ammanettato e scortato in prigione mentre Lambert (il suo superiore a
Third Echelon) sottolinea come la morte di sua figlia deve servire da
linfa vitale per affrontare la più ardua missione della sua carriera:
infiltrarsi nel gruppo terroristico John Brown’s Army (JBA).

D’ora in avanti SCDA mostrerà la sua vera natura: avrete a che fare con
una nuova meccanica di gioco, sicuramente la più grande novità
introdotta, che metterà alla prova il vostro istinto e vi condurrà alla
scoperta della vostra vera indole. Durante il gioco dovrete conseguire
degli obiettivi per rafforzare la fiducia riposta in voi, da una parte
dalla agenzia investigativa a cui appartenete (NSA) e dall’altra dal
gruppo terroristico in cui vi siete infiltrati (JBA). Il gioco pone Sam
e di conseguenza il videogiocatore ad un bivio tra il bene e il male
non con la classica scelta secca, non bisogna compiere missioni
svincolate per una o l’altra fazione ma, in un’unica soluzione
narrativa, le varie missioni includeranno obiettivi primari e secondari
da conseguire affinché le due parti continuino a credere in voi. Non
sempre però il perseguimento del risultato per una fazione risulterà
indifferente all’altra, spesso vi troverete a fare delle scelte morali
(uccidere un innocente per esempio) che influiranno sullo sviluppo del
gioco e sul tipo di missioni che andrete ad affrontare, in questo modo
quasi senza accorgervene la storia si svilupperà portandovi ad un
finale particolare (esistono tre finali differenti). Questa nuova
innovazione nella narrazione della trama non influenza solo il finale
della storia ma intacca in maniera preponderante anche il gameplay
lasciando al giocatore una certa libertà di scelta, aumentandone il
coinvolgimento e la longevità. Questo approccio all’avventura fa si che
la tensione e la suspence, già elevate per questo genere di gioco, si
spostino su un livello prettamente mentale. Alla classica azione
stealth si contrappone un gioco di nervi perché per la prima volta il
nostro eroe sarà veramente solo. A differenza dei precedenti episodi
non potrete contare costantemente su una salda organizzazione dietro di
voi, essere scoperti, da una o dall’altra parte, si traduce in un
inevitabile Game Over. Del resto, la forte personalizzazione che il
giocatore può imprimere all’evolversi della sua avventura di gioco è un
fattore intuibile già dal titolo. Double Agent indica proprio la doppia
personalità che ci troveremo a fronteggiare nella guida di Sam in
questo nuovo appassionante episodio della serie.



Gameplay


Non c’è dubbio, i giochi delle serie firmate da Tom Clancy sotto
l’aspetto del gameplay non deludono mai e riescono con piccoli passi a
migliorare soluzioni del sistema di controllo che sembrano già
perfette. Così è anche per SCDA, del resto stravolgere un sistema già
collaudato e di successo poteva rivelarsi controproducente. Ubisoft ha
saggiamente deciso di mantenere l’impostazione di base dei precedenti
episodi riuscendo allo stesso tempo nell’ardua impresa di integrare le
svariate novità sfruttando la versatilità del pad della PS3. Come
sempre passerete la maggior parte del tempo accovacciati alla ricerca
delle zone buie attraverso cui farvi strada con passo felpato ma non
basterà un singolo allarme a fermarvi, potrete risolvere comunque le
situazioni ricorrendo alle armi a prescindere dagli ordini ricevuti,
siete voi i padroni del vostro destino ma ricordate che ogni vostra
azione avrà una conseguenza sui livelli di fiducia. Il numero di
abilità a disposizione di Fisher si allarga ancora, queste però non si
rivelano mai inutili anche grazie alla maggiore libertà d’azione di cui
gode il personaggio nell’affrontare le diverse mappe di gioco in ogni
missione. Anche l’arsenale e i gadgets a disposizione della nostra spia
offrono non poche novità, tutte ad altissimo contenuto tecnologico.
Tramite queste risorse il giocatore potrà scegliere il modo migliore e
più vicino al proprio stile per portare a termine la missione
perseguendo i vari obiettivi. I livelli si susseguono con un bilanciato
incremento della difficoltà degli enigmi sempre coerenti con la trama
nonostante questa si evolva dinamicamente in base alle vostre scelte.
La storia, le missioni, l’atmosfera, tutto concorre a calare il
giocatore nel vivo dell’azione stealth e avanzare non risulta mai
ripetitivo se si usa il cervello. Non bisogna seguire un percorso
imposto ma bisogna anche qui scegliere i percorsi giusti oltre ai modi
giusti. Nonostante l’elevata flessibilità del sistema di in-game-help e
l’immediatezza del sistema di controllo che rendono la curva di
apprendimento abbastanza bilanciata, è indubbio come SCDA non sia
semplicemente l’ultimo episodio di una saga ma punta ad offrire
qualcosa in più anche ai più esperti fin dalle prime battute. Di
conseguenza il livello di difficoltà, in generale calibrato verso
l’alto, sicuramente soddisfa gli affezionati della serie ma potrebbe
scoraggiare chi è totalmente nuovo a questo genere. Il mio consiglio è
di non demordere. Anche i più piccoli errori si traducono in disfatta?
Prendere un nemico alle spalle è impresa ardua? La chiave di tutto sta
nell’acquisire una mentalità stealth ed è questa la vera forza di
questo episodio: le alternative sono varie e anche se il nemico
difficilmente perdona i più piccoli errori, mantenendo il sangue freddo
potremo subito recuperare l’invisibilità e placare gli allarmi senza
risolvere tutto con la forza, soluzione tra l’altro quasi mai efficace.
Le missioni presentano degli obiettivi primari necessari a concludere
il livello e altri obiettivi secondari ma fondamentali allo stesso modo
per tenere in pari il bilancio di fiducia di NSA e JBA. Un approccio al
gioco teso ad avanzare il più velocemente possibile inevitabilmente
implica il sorvolare di molti obiettivi e l’intera esperienza potrebbe
ridursi a una decina d’ore. Il vero modo però di giocare Splinter Cell
è completare ogni singolo step e non solo, la vera spia punta sempre a
fare quel che si dice “un lavoro pulito”. Alla fine oltre al resoconto
delle missioni completate e fallite avrete pure un sunto con l’elenco
delle vostre azioni, quante persone avete dovuto uccidere per
completare gli obiettivi, quante volte avete fatto scattare l’allarme,
quanti salvataggi vi sono serviti ecc. Il tutto fornirà un punteggio
percentuale alla vostra furtività, se riuscite a terminare tutti gli
obiettivi e raggiungere il 100% potrete seriamente prendere in
considerazione una carriera da spia.

Questo punteggio finale che viene dato ad ogni missione dovrebbe
servire a stimolare il giocatore ad un approccio stealth invece di uno
aggressivo tuttavia il rischio è che per fare tutto alla perfezione ci
si riduca a seguire un approccio “salva e prova” per poi ripartire
dall’ultimo punto di salvataggio già consapevoli di quel che ci aspetta
e di cosa fare per aggirare i problemi. Concludere tutti gli obiettivi
inoltre porta allo sblocco di vari gadgets che vi porteranno a
diventare una superspia nelle fasi finali dell’avventura. Per chi ama
sbloccare tutto e subito, salvare di continuo è una forte tentazione ma
il mio consiglio è di non operare in questo modo perché esula dallo
spirito stesso del gioco. L’opzione di salvataggio veloce non è
presente e per molti potrebbe essere un difetto ma credo che la cosa
sia voluta e a pensarci bene è un pregio. Per salvare i progressi di
gioco dovrete andare nella schermata apposita, questo in qualche modo
stimola a farne a meno per non spezzettare troppo la partita e
affrontare le missioni come una vera spia farebbe. Le mappe sono molto
varie e gli ambienti di gioco offrono varie soluzioni al giocatore,
soprattutto perdendo un po’ di tempo a studiare la situazione. La
varietà delle azioni che Sam Fisher può compiere aumentano maggiormente
il livello di interazione con l’ambiente, aumentando il divertimento e
abbattendo la paura di monotonia che potrebbe instaurarsi nel corso del
gioco. Il peggior nemico per una spia ovviamente è costituito da luci e
telecamere di sorveglianza pronte a dare l’allarme e a richiamare i
nemici in carne e ossa. Questi al minimo rumore sospetto entreranno in
uno stato di allerta e, torcia in mano, avvieranno la perlustrazione
della zona. Soddisfacente l’A.I. dei nemici e anche al livello
intermedio di difficoltà non basta mettersi in una zona d’ombra per
sentirsi al sicuro ma bisogna letteralmente sfuggire al nemico magari
ricorrendo a diversivi come il lancio di oggetti nella zona opposta
alla nostra per distogliere la loro attenzione. Al livello difficile
l’azione rasenta il realismo puro e anche a 5 metri un passo troppo
avventato può risultare fatale. In nostro aiuto per rilevare il grado
di esposizione avremo solo un piccolo indicatore luminoso sulla spalla
che varierà dal verde al rosso passando dal giallo in base a quanto
siamo visibili/udibili. Ad un primo impatto può sembrare che questa
scelta sia un passo indietro rispetto all’ultimo capitolo del gioco in
cui avevamo due sensori distinti che ci indicavano livello di
visibilità e di rumorosità, proseguendo nel gioco però ci si rende
conto ben presto che questa scelta è azzeccatissima, rende l’esperienza
più immediata e meno macchinosa e crea la giusta suspence ponendo il
giocatore nel giusto equilibrio tra il rischio e la cautela. Inoltre
questo alleggerisce l’interfaccia grafica e anche l’impatto visivo
assume un carattere cinematografico. Un più curato grado di interazione
è denotato anche dalla possibilità da parte del giocatore di “vivere”
anche quelle scene solitamente destinate alla semplice visione, come il
passaggio da una missione all’altra, guardandosi intorno e interagendo
con l’ambiente seppur in modo limitato rispetto al gioco vero e
proprio.



Grafica e sonoro


Certamente uno dei punti in cui il salto generazionale si fa più
sentire è quello che riguarda il settore grafico. Certamente PS3 è dal
potenziale enorme e le sue specifiche tecniche non fanno che confermare
questa affermazione. Purtroppo rendere giustizia a questo hardware che
forse strizza troppo l’occhio al futuro, non è cosa facile e lo stesso
SCDA ne dà conferma. Il comparto grafico realizzato per la console Sony
è all’avanguardia, indubbiamente, ma perde il confronto diretto con la
console di casa Microsoft. Le motivazioni sono molteplici e vanno dalla
difficoltà di programmare questa console, al poco tempo a disposizione
dei realizzatori per arrivare al core di questo gioiellino di
tecnologia. Chi ne paga le conseguenze sono sempre i videogiochi e i
giocatori in seconda battuta. L’impatto visivo, per quanto buono, è
stato “ripulito” dai tanti effetti di luce e ombra che c’erano nella
versione Xbox 360, rendendo l’esperienza di gioco leggermente più
scarna. Lo stesso è stato fatto con gli effetti particellari, in questa
occasione molto più approssimativi, per non dire quasi assenti. In
ambedue le versioni, il gioco gira a 30 fps (non il massimo), con una
fluidità complessiva decente. La versione PS3 purtroppo è gravata da
una serie di rallentamenti abbastanza frequente che potrebbero
infastidire non solo i più pignoli. Potete capire come in un gioco in
cui la fluidità dell’azione e il coinvolgimento emotivo sono una delle
caratteristiche fondamentali, certe sbavature tecniche non sono
assolutamente accettabili. Il level design si attesta su livelli alti
sia per la ricostruzione digitale degli ambienti sia per il concept
delle varie location, segno distintivo della serie.

Una buona colonna sonora segue le gesta del nostro eroe per tutta
l’avventura e contribuisce non poco all’immedesimazione nel ruolo del
personaggio variando di registro e di contenuti per sottolineare gli
avvenimenti presenti sullo schermo tuttavia non si connota come
indimenticabile. Gli effetti sonori, come da tradizione, sono su
standard elevati, considerando come i rumori giochino un ruolo
fondamentale nel gameplay stesso non è un aspetto da sottovalutare.
Questi non risultano mai approssimativi e sono ottimamente riprodotti.
Il doppiaggio del protagonista ha visto l’abbandono di Luca Ward, voce
storica di Sam Fisher. Personalmente non posso pensare a questo fattore
come un difetto da attribuire al gioco, ma resta il fatto che per i
patiti che hanno giocato i primi tre titoli lo stile e la
caratterizzazione del personaggio ha perso non poco. Sam ha comunque
una voce da duro, la cosa incomprensibile è come in alcuni frangenti,
ad esempio quando si deve scassinare una serratura, i commenti siano
affidati ad un secondo doppiatore, togliendo di fatto quel poco di
carattere che la nuova voce cerca di donare al protagonista del gioco.
Molto spesso l’aspetto sonoro è sottovalutato dal videogiocatore a
favore di quello grafico ma giocare un titolo come questo con un 5.1
porta l’esperienza ad un livello superiore ancor più di quanto avviene
in termini grafici grazie agli schermi ad alta risoluzione. Il gioco è
godibile anche con il comune stereo ma sfruttando il Dolby Digital
potrete veramente sentirvi al centro dell’azione e percepire la terza
dimensione.



Multiplayer


Dal secondo episodio della serie in poi è stata introdotta la modalità
multi giocatore, che in fin dei conti non è mai stata esplorata a fondo
dai realizzatori. Anche in questo caso, la modalità multiplayer ha poco
a che vedere con la modalità storia: la grafica è alleggerita, estetica
e abilità del personaggio sono differenti. Si abbandonano i panni da
duro per tornare alla vecchia e classica tenuta nera con visore. A tal
proposito è da sottolineare come anche nel multiplayer è stato
considerata l’opportunità di sbloccare diversi oggetti tra cui appunto
delle “skin” per il nostro personaggio ovvero tute diverse dalla
predefinita. A parte le differenze prettamente estetiche la modalità
multiplayer sembra un gioco a parte rispetto alla parte offline anche
per la diversa disposizione dei comandi e funzione dei tasti. Rispetto
alle precedenti versioni sono state apportate dei netti cambiamenti al
multiplayer versus. Qui gli sviluppatori hanno puntato a soddisfare
ogni classe di utenza e non solo i più navigati del genere, è possibile
giocare fino ad un massimo di 6 giocatori che si suddividono in due
squadre, una delle spie e una dei mercenari. Compito delle spie è
individuare dei computer e, infiltrandosi nelle strutture presenti
sulle diverse mappe, prelevarne i preziosi dati contenuti previo
intervento di hacking. L’azione è immediata e meno laboriosa dei
precedenti capitoli, diversi aiuti visivi vengono incontro al giocatore
ad indicare le varie strade alternative che gli si parano davanti per
raggiungere il suo obiettivo. Come detto però, non dovrete fronteggiare
solo gli ostacoli strutturali per conseguire l’hacking dei computer ma
a contrastarvi ci sarà la squadra avversaria dei mercenari. Lo scontro
ancora una volta vi vede dar sfoggio delle vostre qualità di spia ma
ora di fronte non avrete più una intelligenza artificiale bensì umana.
Viceversa nei panni dei mercenari dovrete impedire alle spie di portare
a termine l’opera di hacking e per farlo avrete a disposizione un pari
quantitativo di gadget antispia oltre ad un vero arsenale per lo
scontro a fuoco. Una cosa è certa, nei panni dei mercenari non dovrete
preoccuparvi di stare in silenzio per cui, mano al mitra, vi lancerete
alla perlustrazione delle zone chiave pronti a rilevare ogni movimento
sospetto. Da mercenario avrete una visuale in prima persona, scelta
dettata dalla necessità di perlustrare in tempo reale la zona e
affondare subito i colpi a differenza della spia che sfrutta l’ambiente
per mimetizzarsi e fa uso della terza persona.

Vediamo più nel dettaglio come si sviluppa l’esperienza multiplayer: in
ogni mappa esistono 4 computer contenenti i dati da prelevare
(segnalati dai colori Rosso, Blu, Verde e Giallo) e per vincere la
partita è sufficiente sabotarne 2. Le spie dotate di grandissima
agilità e velocità, sfruttano un dispositivo integrato sul braccio per
distruggere le luci, rompere i vetri, sabotare le porte chiuse,
“disturbare” i visori dei mercenari e, chiaramente scaricare i dati da
salvare. Potrete portare con voi un solo gadget per volta da scegliere
nel punto di rinascita dove troverete una cassa con all’interno i
seguenti gadget: granata fumogena, granata flash, siringa per curarsi o
curare un proprio compagno, disturbatore (per disorientare i
mercenari). Potrete sorprendere i Mercenari afferrandoli da dietro,
immobilizzandoli e decidere poi se stordirli o ucciderli spezzandogli
il collo, ma anche saltandogli addosso o tirandoli giù dalle
passerelle.

Quando si è mercenari si è molto meno agili però dalla vostra avrete
mitra con zoom e lanciagranate. Inoltre disporrete di un drone che può
essere mandato a perlustrare zone non accessibili ed eventualmente
farlo esplodere in prossimità di una spia uccidendola.

I territori di scontro presentano 8 mappe, 3 delle quali disponibili fin da subito e altre 5 sbloccabili vincendo alcune gare.

Per quel che riguarda la modalità cooperativa arrivano le note dolenti:
anche in coop la modalità di gioco resta solo quella dell’hacking dei
computer e manca la cosiddetta campagna in coop. Questo da una parte
risulta motivato dalle caratteristiche descritte del gioco offline per
cui si è soli contro tutti, ma resta comunque una mancanza notevole
soprattutto se confrontato con le missioni in coop effettuabili nel
precedente capitolo SC Chaos Theory.

Il multiplayer di Splinter Cell resta comunque unico nel panorama del
gioco online su PS3 per la sua originalità, già per il fatto che le due
parti che si scontrano non hanno stessi mezzi e obiettivi denota la
peculiarità del gioco. Finalmente anche in un gioco del genere
all’azione si aggiunge una componente frenetica che comunque non
snatura il concept del gioco grazie ad un’ottima realizzazione tecnica.
La nuova modalità 3 vs 3 e l’immediatezza di controllo conferita al
gioco online avvicinerà nuovi videogiocatori ma probabilmente i vecchi
amanti della modalità 2 vs 2 sentiranno un po’ la mancanza di quella
componente fortemente strategica e la difficoltà dei precedenti episodi.



Longevità


Seguire l’intera avventura di Sam Fisher nei panni di agente infiltrato
sarà un’impresa ardua e i minuti di gioco si accumuleranno come se
niente fosse. Inoltre, la possibilità di affrontare ogni missione in
maniera differente e la possibilità di portare a termine obiettivi
diversi in base allo sviluppo dinamico della storia con la presenza di
finali multipli, conferiscono all’esperienza di gioco una maggiore
longevità ma, se non siete patiti della serie e degli stealth game in
generale, difficilmente rigiocherete la storia in tutte le salse. Il
Multiplayer rivisto, corretto e ampliato a 6 giocatori da un lato
aumenta il valore del titolo, ma alla lunga risulta ripetitivo e
l’assenza di una Storia in Coop lascia davvero l’amaro in bocca.



Conclusioni


In definitiva SCDA si presenta come un gioco interessante, sotto molti
aspetti, che vanno da una buona realizzazione tecnica, a una grande
trama da seguire. Consigliato a tutti gli amanti della serie, che in
questo episodio conosceranno un Sam Fisher diverso dal solito, molto
più carismatico. L’introduzione dei doppi obiettivi contrastanti, con
le relative conseguenze, pesano molto sul gamplay che risulta rinnovato
nell’approccio e non mancherà di divertire chi con questa serie ha
passato interi pomeriggi ‘in missione’!



PRO
  • Grafica ben fatta con modelli poligonali consistenti e dettagliati;
  • story mode avvincente e poco ripetitivo;
  • giocabilità e libertà di azione ben collaudate;
  • colonna sonora coinvolgente e effetti sonori indovinati;
  • il sistema con percorsi e finali multipli offline conferiscono una discreta longevità.


CONTRO
  • Solo 30 fps con cali di frame rate un po’ troppo frequenti;
  • effetti di luce e particellari alleggeriti o assenti;
  • la nuova voce di Sam potrebbe deludere gli appassionati;
  • assenza di storia nelle missioni in cooperativa online;
  • multiplayer un po’ ripetitivo.