Recensione Recensione di Limbo
Recensione di Limbo di Console Tribe
di: Ivan CaregnatoStuck in Limbo
Scrivere la recensione di un gioco particolare come Limbo era l’ultima cosa che desideravo. Il destino ha però voluto che, in seguito a circostanze del tutto eccezionali e alquanto casuali, il codice che abbiamo ricevuto in anteprima da Microsoft venisse sbloccato con la mia Gamertag invece che con quella del buon Tyler che aveva scelto di occuparsene.
Eccomi quindi qui, perso nel Limbo…
Una foto in Bianco e Nero
Fin dalla sua prima comparsa alla Game Developers Conference (GDC) – dove vinse ben 2 Indipendent Games Festival Award – Limbo ha focalizzato su di sé le attenzioni di media e pubblico: il titolo, sviluppato dallo sconosciuto team danese dei PlayDead, apparve sin da subito troppo particolare nella sua grafica completamente in bianco e nero, decisamente minimalista, per passare inosservato, in netto contrasto con un’industria sempre più spinta all’eccesso.
Troppo strano il protagonista, una silhouette dalla quale spiccano due occhioni bianchi, unico barlume di vita in un luogo nero come la pece. Poi la storia…ma quale storia? Si sa solo che questo ragazzino è lì con un compito ben preciso: trovare la sorellina. Ma chi è costei? Perché si trova in questo strano posto? Queste sono domande a cui nessuno ha mai risposto, quindi non ci resta che vivere insieme questa avventura per far luce (è proprio il caso di dirlo) su questa storia.
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Bello sì ma… che gioco è?
Non avevo ben chiaro che gioco mi sarei trovato davanti; sapevo soltanto che era un platform atipico, e di questo ho trovato conferma. Sapevo che il motore fisico era abbastanza evoluto, ma questo non traspare assolutamente dai primi livelli di gioco. Mi aspettavo, e nello stesso tempo temevo, di trovarmi di fronte ad un Braid visto su di una TV vecchio modello, di quelle in voga negli anni ’70. Privo di colore sì, ma con un’anima dalle forti tinte horror. Mi sono trovato invece dinanzi ad un gioco che sfoggia una personalità tutta sua, più che un gioco un’esperienza da vivere. Limbo si sviluppa tra sequenze fondamentalmente platform, dove dovrete saltare buche, evitare ostacoli ed affrontare mostri di vario tipo, per poi impegnarvi in puzzle a volte ostici che richiedono qualche istante di riflessione per decidersi sul da farsi. Non siamo quindi ai livelli assurdi di Braid, ma neppure ai puzzle degli ultimi Tomb Raider… diciamo una via di mezzo che in alcuni casi mi hanno portato via sicuramente qualche minuto. Proseguendo lungo i 24 livelli, vi imbatterete poi in puzzle che sfrutteranno la fisica, splendidamente rappresentata e mossa da un motore decisamente funzionale al tipo di gioco; di quest’ultimi tuttavia non voglio anticiparvi nulla, a voi il piacere di scoprirli e viverli in prima persona.
Limbo, a dispetto del giovanissimo protagonista, è inoltre un gioco molto violento, e anche se la violenza di cui parlo non viene enfatizzata attraverso particolari dettagli grafici o dai più consueti fiumi di sangue, questa viene sempre lasciata immaginare al giocatore, anche grazie al sapiente utilizzo di effetti sonori inequivocabili.
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Mi sa che il nuovo LED 3D da 3000€ ha qualche problema!
Si finisce sempre per tornare a parlare del comparto tecnico di questo gioco, inutile nascondersi dietro ad un dito: se Limbo non avesse avuto questo aspetto particolare, molto probabilmente sarebbe passato in sordina e non avrebbe goduto degli echi delle varie convention mondiali. La cosa positiva è che questa grafica a tinte di grigi è comunque superbamente dipinta sullo schermo, con ambientazioni varie e mai fuori luogo. Il ragno che all’inizio del gioco perseguita il nostro alter-ego virtuale è realizzato e mosso divinamente e fa veramente terrore a chi, come me, soffre di aracnofobia. Non servono infatti dettagli per creare paura e sgomento… bastano delle ombre, anche stilizzate, proiettate su di una parete per creare nel subconscio dello spettatore la più terrificante delle visioni. Il sonoro si adegua allo stile minimale del titolo, presentando solo rumori, versi di animali e tralasciando qualsiasi tipo di musica per immedesimare il giocatore ed immergerlo completamente nell’avventura.
“Ma come tutte le più belle cose…”
“…vivesti solo un giorno come le rose” scrisse e musicò il buon Fabrizio. E se fosse riferito a Limbo piuttosto che a Marinella non si potrebbe dar lui torto. Limbo è, come detto poco sopra, più un’esperienza che un gioco.
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I 24 livelli di cui si compone non vi terranno assolutamente impegnati più di due giorni, senza contare che bastano tre orette per iniziarlo e completarlo una volta che vi sono chiare le soluzioni dei puzzle. Alcuni di essi potrebbero portarvi via ore intere per essere risolti… logicamente tutto sta alla vostra abilità e capacità logico-deduttive. Una volta completato, la vostra unica sfida sarà quella di rigiocarlo morendo il meno possibile, giusto per piazzarvi nelle zone alte di una classifica che al momento risulta essere un po’ complicata: ho completato infatti il gioco, morendo parecchie volte, per poi ritrovarmi ad un 82% di non-so-cosa, mentre il primo esibiva una percentuale pari al 102%.
Dopo l’oscurità venne la luce
Come ho scritto nell’introduzione, Limbo è fondamentalmente quel genere di gioco così strano e atipico che in genere divide il pubblico tra chi lo esalta e chi lo odia. Difficilmente ci si potrà trovare nel mezzo, perché ben si adatta a giudizi estremi nella loro formulazione. Personalmente è un’esperienza di gioco che mi sento di consigliare a tutti voi, cosciente però che viene offerto ad un prezzo (1200MP) non certo popolare, sopratutto alla luce di una longevità parecchio ridotta che non garantisce, salvo sorprese, grandi incentivi alla rigiocabilità.
Come Braid condivide la maledizione di essere un gioco così particolare da non essere per tutti. Entrambi però sono quei giochi che DEVONO assolutamente essere provati almeno una volta nella vita.