Recensione Recensione di L.A. Noire
Recensione di L.A. Noire di Console Tribe
di: Pasquale "corax" SadaFree-roaming è stato per molti anni un concetto capace di aleggiare nell’aria. Etereo, inconsistente e forse troppo versatile, è riuscito ad appiccicarsi ai titoli più disparati, quasi confondendosi e mescolandosi con l’etichetta open world che più o meno negli stessi anni andava affermandosi. Ci ha pensato Rockstar coi suoi titoli a definirne le regole, a strapparlo dal limbo, per renderlo riconoscibile e inconfondibile. Il suo sigillo ora quasi si fonde con le creature partorite, in una forte associazione che lega creatore e creato. Rockstar è, in fin dei conti, il presente e il passato del free-roaming, con uno sguardo preciso al futuro che, però, conserva qualche sorpresa. Come tutte le creazioni, anche questa tenta di sfuggire al suo genitore per percorrere una via tutta sua, personale e diversa. Ecco quindi che negli ultimi anni, al fianco dei titoli con un forte carattere schiettamente sand-box, il marchio di fabbrica della “R” stellata lascia sulle linee guida della storia una forte libertà al giocatore; stanno prendendo sempre più piede titoli che, nell’estrema libertà di navigazione, costringono il giocatore a rimanere più stretto sulla storia, liberandolo dal piacere (o onere?) di perdersi in una miriade di attività secondarie. Allora quelle possibilità di interazione, quel viaggio libero, diventano parte integrante della narrazione per condensare e sintetizzare la vicenda del nostro eroe, favorendo l’immedesimazione in un mondo brulicante.
Lo spacco è evidente, ma non insanabile. L.A. Noire lo dimostra, figlio per metà di Rockstar, che l’ha salvato dalle acque, e per l’altra metà di Team Bondi, un gruppo di ragazzi che punta tutto sull’aspetto narrativo del titolo. È un caso difficile, per uomini duri. Infilate l’impermeabile perché nella Città degli Angeli tutto può uccidere.
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Noir
Il genere noir si è sviluppato intorno agli anni ’40, periodo d’oro di Hollywood che ha coinciso anche con uno sviluppo della società americana non propriamente votato al buon costume. Facendo leva proprio sull’anima sordida degli USA, questo tipo di cinema ha lanciato uno stile visivo ereditato dall’espressionismo tedesco che ben si fondeva con le storie di crimini a sfondo amoroso/sessuale, background delle sceneggiature. Lo stesso tipo di cinema è stato anche l’artefice dell’iconizzazione della figura del detective in impermeabile, scaltro e duro, che poi si è sviluppata negli action movie contemporanei. Se cercate il padre di Bruce Willis e compagni, probabilmente dovreste guardare alcuni dei film girati in questo periodo storico. La matrice derivata dalle novelle hardboiled è evidente e non lascia adito a dubbi. Su questo nucleo semplice e solido, che prevede un “osso duro” alle prese con il torbido, il cinema noir ha costruito la sua leggenda e la sua fortuna, ancora oggi per nulla indimenticata. Ambientazioni dai toni cupi, ritmo coinvolgente e background “sex & drug” ne fanno un punto di partenza perfetto per un videogame di successo. Strano che si sia dovuto aspettare il 2011 e Team Bondi per vederne una trasposizione degna di nota. Sin dalle prime battute è evidente come il percorso di ricerca storica si sia poi bilanciato con l’ispirazione genuina derivata da James Ellroy, unico vero esponente del noir moderno.
Cole Phelps è il classico agente di polizia con un passato turbolento da soldato. L’esperienza della seconda guerra mondiale l’ha segnato ed inaridito, tanto da farne un personaggio fin troppo granitico. Dopo le prime battute lente e di circostanza, L.A. Noire acquista passo e velocità trascinandoci nei vicoli bui e puzzolenti della Los Angeles per bene. Dietro le facciate, nelle case e tra i salotti “in”, si nasconde la feccia, la squallida malvagità del perbenismo, che metterà a dura prova il nostro eroe. Recitato divinamente, anche grazie alla tecnologia proprietaria di Team Bondi, doppiato magistralmente e diretto con competenza, L.A. Noire si pone all’apice degli esponenti narrativi del panorama videoludico, imponendosi come una pietra miliare, al fianco della quale il futuro dovrà per forza di cose passare. Encomiabile il lavoro fatto da Aaron Staanton per calarsi nei panni di Phelps, così come quello degli attori comprimari che sfiorano l’eccellenza. Al superbo recitato è stata associata una colonna sonora di tutto rispetto che insieme a pezzi di grande spessore storico, nei momenti più importanti propone anche musiche di sottofondo mai invasive e contestuali all’azione.
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Di grandissimo rilievo anche la ricostruzione della città e del sapore anni ’40 che pervade l’intero titolo, non solo nella presentazione artistica dei monumenti di L.A. ma anche nelle brevi cutscene che introducono i vari capitoli che riprendono lo stile dei vecchi noir sin dai titoli di testa. Difficilmente abbiamo visto tanta minuziosità e bravura nel riproporre un’epoca riproducendone non solo il carattere esteriore, quanto l’essenza che la pervade, perpetuandone il mito. Non chiudiamo con una lista di film da vedere per approfondire il genere, lasciandovi il piacere di costruirvela da soli. In L.A. Noire sono nascosti ben 50 rulli cinematografici con tanto di titoli sovrimpressi che vi permetteranno di aumentare la vostra conoscenza del genere noir. Il sottoscritto si è sempre ritenuto un esperto del genere, eppure è rimasto piacevolmente sorpreso in alcuni casi.
La città degli angeli
Affrontare il discorso free-roaming dopo Red Dead Redemption è come camminare sui carboni ardenti. L’epopea di John Marston è un’eccezione, assolutamente non la regola, soprattutto dal punto di vista grafico. Titoli del genere sono costretti a muovere una mole di poligoni davvero significativa, forzando gli sviluppatori a scendere a compromessi. RDR poteva avvalersi sostanzialmente di spazi ampi e desertici che hanno facilitato il lavoro di ottimizzazione, permettendo una maggiore resa in termini di dettaglio ed animazioni. Purtroppo L.A. Noire non ha avuto la stessa fortuna, dovendo gestire una città viva e brulicante, con un numero di autoveicoli considerevole, una buona quantità di passanti e una foresta di palazzi. Il lavoro fatto da Team Bondi nella restituzione della città è notevole, sopratutto se si tiene presente che riprende fedelmente la Los Angeles dell’epoca grazie ad una serie di scatti aerei recuperati dalla software house australiana. I problemi nascono quando ci si avvicina alle animazioni e all’ottimizzazione del motore Euphoria in generale: qualche scatto di troppo incornicia cicli di camminata non certamente naturali (soprattutto per quanto riguarda la rigida corsa di Cole) e movenze non del tutto credibili nei personaggi secondari. Il motion-scan si è dimostrato in questo senso un’arma a doppio taglio, autoconfinandosi per motivi tecnici nelle riprese del volto. Trentadue telecamere HD sono riuscite a riprodurre fedelmente una mimica facciale impressionante e coinvolgente che però fa risaltare il risultato approssimativo ottenuto per quanto riguarda il resto delle movenze corporee. Le cutscene sicuramente acquistano un carattere cinematografico che pochi altri possono vantare, mentre il resto purtroppo rimane vittima dell’asimmetrico salto tecnologico.
!==PB==!
Penna e calamaio
Se volete risolvere un caso è fondamentale saper analizzare le prove e saper acchiappare il colpevole. Per questo spaccheremo il gameplay di L.A. Noire in due tranche diverse. Il primo step è quello più investigativo, quasi da punta e clicca. Il nostro eroe, Cole, partirà dai piani bassi della scala gerarchica, cominciando ad occuparsi di casi legati alla sezione “Traffic”. Arrivato sul luogo del delitto potrà dedicarsi insieme al suo compagno di turno (che a dire il vero varia con le successive promozioni) all’analisi della scena del crimine. Meccaniche molto semplici ci permetteranno di raccogliere gli indizi sparsi per la scena del crimine. Basterà avvicinarsi ai vari oggetti e tenere saldamente tra le mani il pad per scoprire punti sensibili: una vibrazione ci avvertirà della presenza di oggetti analizzabili ai fini del caso e, pigiando un tasto, entreremo in modalità analisi per osservare il reperto più da vicino. Il più delle volte si tratterà di ruotare un oggetto alla ricerca di particolari che facciano progredire l’investigazione; qualora non riuscissimo a recuperare tutti gli indizi, allora potremo usare l’intuito. Non quello vostro, ma del protagonista. Cole, risolvendo i casi, otterrà una serie di punti esperienza che lo faranno salire di grado e gli conferiranno dei punti intuito. Aprendo il taccuino è possibile infatti utilizzare tali punti per svelare l’ubicazione degli oggetti più importanti e per eliminare delle possibili risposte dagli interrogatori. Più che un aiuto è una vera e propria mano dal cielo, che però distrugge totalmente il piacere dell’investigazione. Ci saremmo aspettati qualcosa di meno invasivo e che ci aiutasse a pensare, rispetto ad un tasto che ci fa sentire come quando sbirciamo le soluzioni in fondo alla settimana enigmistica. Contenti del risultato ma poco orgogliosi delle nostre azioni. Per fortuna, comunque, tale opzione è disattivabile, così come la vibrazione in presenza di oggetti utili al caso, riportando la difficoltà dell’investigazione su livelli finalmente competitivi.
Lo step successivo è la fase di raccolta delle testimonianze. È qui che il motion scan dà il meglio di sé. Phelps porrà alcune domande al sospettato o ai testimoni e, in base alle loro ragioni, movimenti corporei ed espressioni facciali, dovremo indovinare quanto ci stanno nascondendo. Un’operazione più difficile di quel che sembra, soprattutto per via delle meccaniche accusatorie. Potremo decidere se il soggetto dice la verità, ci nasconde qualcosa oppure se ci sta palesemente mentendo. In questo caso, seguendo la scia di Cluedo, dovremo circostanziare la nostra affermazione producendo delle prove che possono essere state raccolte attraverso altre testimonianze o dagli indizi. È in questo momento che si sente la totale mancanza di un doppiaggio italiano e i sottotitoli, più che aiutare, distraggono: è difficile decidere se guardare il video e perdersi parte del senso del discorso o, viceversa, seguire la traduzione, ignorando la mimica facciale. Una scelta dettata dalla mole dei testi che avrebbe ritardato troppo l’uscita nell’attesa delle varie traduzioni. Scelta comprensibile ma poco condivisibile per un titolo che punta quasi totalmente su questo aspetto.
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L’intera fase investigativa, nonostante un’ottima base, non ha quella spinta che ci si aspetta da un titolo del genere. Dopo qualche caso comincerà a farsi strada una certa insoddisfazione per mancanza di partecipazione. Non che i casi si risolvano da soli, ma non è presente quella necessità di collegare, combinare e ragionare sui fatti e sulle cose per arrivare alla soluzione. Per certi versi siamo molto lontani dalla profondità di alcune avventure grafiche che dopo una parte di raccolta indiziaria riservavano al giocatore la possibilità di scoprire da sé le dinamiche del caso, mettendo insieme parti di una storia ridotta in pezzi. Insomma, Phelps più che di Sherlock si troverà a vestire i panni di Magnum P.I..
Segua quella macchina! E quel tizio!
L.A. Noire, oltre ad essere un titolo investigativo, è anche un free-roaming come anticipavamo, ma di quella particolare categoria che potremmo definire story-driven (palese ossimoro). Il nostro Cole avrà una serie di casi da portare a termine, ma nel contempo può scorrazzare liberamente per la città in automobile o a piedi. Certo, non sono moltissimi i motivi per cui dovrebbe farlo se non per raccogliere qualche collezionabile, scoprire uno dei monumenti ricostruiti fedelmente da Team Bondi oppure seguire qualche caso secondario. Durante i viaggi in macchina, saremo chiamati su scene del crimine secondarie nelle quali ci confronteremo con situazioni particolari. L’eterogeneità di queste missioni costituiscono una delle parti più divertenti, adrenaliniche ed interessanti del gioco. A volte saremo semplicemente chiamati ad inseguire in macchina qualcuno per le strade di L.A. e cercando di sopportare il poco realistico ed approssimativo sistema di guida, a cui fa da compagno un sistema di danni non propriamente eccellente; altre volte, invece, dovremo lanciarci in folli corse a piedi per acciuffare malviventi meno pericolosi o semplicemente tanto scaltri da infilarsi in vicoli inaccessibili alle automobili. E’ in questi frangenti che il titolo di Team Bondi da il meglio di se, portandoci a veloci, divertenti ed adrenaliniche scorrazzate tra strade, negozi e perfino tetti. Molto spesso l’inseguimento si concluderà con una specie di duello in stile RDR dove dovremo colpire il fuggitivo con un colpo di pistola, evitando di uccidere o ferire l’ostaggio di turno. Qui purtroppo risaltano i limiti di un sistema di gioco non orientato verso l’azione: i corpi non sono sensibili a colpi precisi ma accettano solo ferite generiche ( eccetto il sempre funzionale headshot). Inoltre il sistema di copertura ereditato da GTA sembra aver perso qualcosa, mancando quella scivolata che conferiva prontezza nel ripararsi e risparmiava un bel po’ di lividi al nostro protagonista. Tutto sommato un divertissement giusto e sacrosanto dal percorso investigativo che rischiava di essere eccessivamente statico, ma non così fondamentale da costituire uno dei motivi per il quale avvicinarsi a L.A Noire.
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Case Solved
L.A. Noire è un altro di quei titoli particolari che richiedono i piedi di piombo. Difficile paragonarlo ad altro, e ognuno dovrebbe provarlo in prima persona per capire se fa al caso proprio. L’impegno profuso nello strutturare personaggi e storia si sente, mettendo l’accento sulla sua importanza come esempio di narrazione videoludica. Purtroppo, come altri titoli che hanno puntato sul narrato, anche L.A. Noire mostra delle sbavature sul versante del gameplay, ma niente di così preoccupante da intaccare il valore generale del titolo che, anzi, si dimostra trascinante e convincente come pochi. Le sue debolezze costituiscono anche la sua forza, dimostrando che un’idea genuina ed innovativa può superare ogni possibile difficoltà. È un titolo che va gustato tutto d’un fiato, lasciandosi completamente prendere dalle sue affascinanti atmosfere e, perché no, sospendendo il giudizio.
Afferrate cappello e pistola, L.A. è una città che non perdona.