Recensione Recensione di Front Mission Evolved
Recensione di Front Mission Evolved di Console Tribe
di: Claudio "Evil_Sephiroth" PerflerMecha e Giappone: un connubio che in Italia conosciamo dalla seconda metà degli anni ’70, precisamente da quando i “robottoni” provenienti dall’impero del Sol Levante ci invasero, o meglio, invasero le nostre televisioni. La limitata apertura mentale dell’epoca (e oggi?) riteneva l’animazione un prodotto per soli bambini, ed è per questo che dopo il periodo iniziale durante il quale il nostro paese era stato il primo acquirente al mondo di animazione nipponica, la scoperta di contenuti e argomenti “maturi” che erano normalmente trattati nei cartoni animati giapponesi, fece sì che praticamente tutta la produzione import venisse messa all’indice e considerata alla stregua di materiale diseducativo e da purgare. Progressivamente si perse quindi lo slancio iniziale e pochissime reti private continuarono a trasmettere l’animazione proveniente dal paese dei samurai (con pesantissime censure spesso insensate e mal realizzate). Nel frattempo in patria il mondo degli anime si era allargato a dismisura, contagiando il sempre più florido mercato dei videogame e arricchendo l’industria del merchandising e dei giocattoli. I campioni responsabili di cotanta espansione? Forse per i meno giovani è facile ricordare la loro identità, magari facendo mente locale all’infinità di figurini di plastica e metallo che affollavano i negozi e i propri cesti di giochi durante la propria infanzia. Esatto, i robottoni: componibili, smontabili, colorati e capaci di lanciare svariate armi grazie a molle e affini. Quelli che però per noi erano semplici giochi, nel loro paese di origine erano oramai una sorta di culto, capace di creare filoni narrativi con milioni e milioni di fan sfegatati, e di indirizzare e accompagnare generazioni diversissime, principalmente grazie a diversi livelli di lettura delle serie, in un paese che non relegava i cartoni animati a semplice intrattenimento per piccoli.
Va da sé che anche in Giappone, fra le mecha series vi fossero storie più o meno adatte a diverse fasce di età, tutte comunque in grado di dar vita a saghe della medesima importanza. Se quindi per i più giovani vi erano le classiche battaglie contro gli invasori alieni brutti e cattivi o comunque contro forze malvagie il cui unico obbiettivo era distruggere e annientare (Ufo Robot, Mazinga, in parte Macross, ecc.), nelle quali per lo spettatore non vi era quasi mai il dubbio su chi combattesse per il bene planetario, per le fasce di età seguenti i contenuti si facevano sicuramente più confusi e difficili. Il maggior esponente di questo ulteriore filone narrativo era ed è Gundam: dove, invece che l’abusata lotta fra bene e male, si faceva strada una situazione sicuramente più simile al mondo reale, con guerre civili e lotte fra differenti fazioni, sempre umane, ma con diversi ideali e condizioni economiche; situazioni durante le quali, non sempre, vi era una chiara differenziazione fra “bravi” o “malvagi”.
Chiaramente queste semplici divisioni non sono sempre valide, si tratta semplicemente della maggioranza dei casi: basta infatti volgere lo sguardo a un titolo come Neon Genesis Evangelion per trovare un possibile esponente della prima categoria che però difficilmente si presta ad un intrattenimento per piccoli.
Tornando alla nostra prima differenziazione, fermo restando che probabilmente tutti conoscono la saga del Mobile Suit bianco, quello che effettivamente pochi sapranno è che in Giappone esistono molti altri nomi in grado di avvicinarsi a Gundam in quanto a popolarità.
È il caso di Front Mission, serie di videogiochi che si è guadagnata la propria popolarità proprio grazie all’intrattenimento videoludico, ricevendo poi adattamenti quali serie animate, giochi e film (di fatto il percorso inverso di molti altri titoli).
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Mech lasciati senza manutenzione
Coloro che conoscono Front Mission dalla prima apparizione, lo ricorderanno quasi sicuramente come un titolo dal grande contenuto tattico e strategico.
In effetti la nascita e la maggioranza dei titoli appartenenti a tale saga sono GDR tattici a turni. Non mancano chiaramente spin off, come in ogni serie famosa, che spaziano tra strategici in tempo reale, sparatutto a scorrimento, MMO game e, nell’ultima incarnazione della saga, sparatutto in terza persona. Se fino ad oggi le varie incarnazioni hanno di norma continuato a narrare vicende inerenti al medesimo mondo immaginario, ma relative a periodi temporali anche molto lontani, con il nuovo Front Mission Evolved assistiamo ad un reboot che, come unico legame col passato, mantiene i Wanzer: i mecha di Front Mission appunto, alcune associazioni immaginarie presenti nel gioco e una trama fatta di lotte intestine fra esseri umani, spesso scatenate dai più avidi e bassi desideri di cui siamo capaci. Il passaggio ad un gameplay in tempo reale potrebbe far storcere il naso ai vecchi estimatori della saga, ma va detto che essendo questo un nuovo inizio, va vissuto proprio come un nuovo corso, ovviamente legato a gusti videoludici sicuramente diversi dal lontano 1995. Inoltre lo strappo col passato non deve causare inutili pregiudizi: un buon titolo lo è a prescindere dagli stravolgimenti che porta in una saga e potrebbe accadere che dietro a un’iniziale diffidenza si nasconda un nuovo amore.
Il perché abbiamo usato il condizionale è di facile spiegazione.
Iniziando ad analizzare il nuovo titolo Square Enix dalle fondamenta del gameplay, notiamo come i Wanzer rispondano in modo perfetto ai comandi, non risultando mai ostici o legnosi, ma chiaramente coerenti con le molteplici tonnellate di metallo che compongono i mecha, donando un senso di pesantezza che potremmo definire reale (se i robottoni esistessero). Anche il sistema di mira e di combattimento si comporta quasi sempre bene, risultando intuitivo ma non banale e mitigando un po’ quella sensazione di invincibilità che comandare un Wanzer ci trasmette: risulterà infatti quasi sempre necessario evitare scontri diretti alla rambo, complice anche una I.A. non sopraffina ma nemmeno ai livelli da demenza senile. La varietà di gioco risulterà però finta, infatti nonostante la presenza di sezioni in cui scenderemo dal nostro mezzo e ci troveremo a dover evitare totalmente lo scontro con nemici corazzati (siamo pur sempre umani fuori dalla nostra arma semovente), di fatto giocando una sorta di sottosezione stealth, la successione delle missioni sarà veramente ripetitiva e capace di stancare tutti i tipi di giocatori, offrendo di fatto percorsi obbligati e tappe fisse in cui eliminare nemici (inoltre essendo alcuni designati come obbiettivi primari è realmente obbligatorio fermarsi e combattere). Ad aggravare questo difetto concorre anche la pressoché totale assenza di interazione ambientale; certo, col nostro mecha potremmo schiacciare auto e semafori presenti nelle città ma si tratta di semplici orpelli arredativi: data la potenza delle nostre armi ci saremmo aspettati di poter abbattere almeno qualche palazzo, aprendoci vie inaspettate tramite le quali attaccare alle spalle i nemici, speranza subito cancellata da ambientazioni che paiono essere fatte in modo migliore dello stesso Wolverine, non solo indistruttibili, ma addirittura incapaci di subire alcun danno visibile.
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A risollevare in parte il comparto giocato di Front Mission Evolved concorre l’ottimo editor di Mecha. Dopo le prime fasi di gioco avremo accesso a un “hangar” in cui, sempre a patto di avere fondi e materiali, saremo in grado di modificare e potenziare il nostro viatico di morte e distruzione. Il sistema di editing è molto simile a quello di titoli come Mech Warrior e Armored Core, ma risulta sicuramente meno ingarbugliato e ostico: nonostante le minori parti a disposizione, la libertà creativa è garantita, e oltre ad armi e difese ci verrà data la possibilità di personalizzare totalmente l’estetica del nostro guerriero robotico (creare un Wanzer a pallini rosa potrebbe non avere prezzo). Chiaramente il gioco ci permetterà quasi qualunque combinazione, fermo restando che, equipaggiando molte armi e corazzature pesanti, la nostra mobilità sarà fortemente compromessa, e avere una potenza di fuoco degna dell’Arcadia di Capitan Harlock potrebbe non bastare a sopravvivere.
Alla luce del fatto che queste nostre creazioni saranno utilizzabili nel Multiplayer, potrebbe nascere la speranza che il comparto online sia finalmente un punto di forza di questo titolo, speranza subito smentita ovviamente. Le modalità a nostra disposizione sono quattro, tutte molto classiche e senza alcuna novità sostanziale. Deathmatch, Deathmatch a squadre, Dominazione e Supremazia non riescono a regalare alcuna emozione, e anche qui l’impossibilità di distruggere lo scenario, sorprendendo quindi un avversario nascosto, pesa moltissimo, rendendo una modalità dal potenziale molto alto una semplice riproposizione in salsa mecha di meccaniche che si vedevano in sparatutto di una o due generazioni fa, non accettabili attualmente.
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Modelli da esposizione, non da battaglia
Robottoni e altre “creature” futuristiche hanno da sempre dato, dal punto di vista grafico, la possibilità di esagerare e quindi di stupire, non avendo legami con la realtà che tutti conosciamo.
Nel caso di Front Mission Evolved ci troviamo nuovamente davanti ad un lavoro concluso a metà, con lati positivi e nagativi. Fra le piacevoli sorprese vi è la cura realizzativa del nostro Wanzer: buona e con enormi possibilità di personalizzazione. La medesima cura viene riservata anche ai mezzi alleati e nemici sui quali, anche zoomando con le armi a lunga gittata, è possibile scorgere scorgere le differenti parti meccaniche. Quello in cui però peccano le unità da noi non “elaborate” è la varietà, che rende gli avversari tutti troppo simili fra loro, ben realizzati ma privi di differenziazione artistica.
Passando alla realizzazione delle ambientazioni, la buona fattura di alcune di esse entra in contrasto in modo pesante con la totale assenza di interattività e capacità degli edifici di riportare graffi e danneggiamenti, spaccatura ulteriormente aggravata da altre componenti ambientali come auto e camion (sparsi un po’ ovunque) che tendono ad esplodere e distruggersi con grande facilità. Come se non bastasse il sistema di mira precedentemente citato, oltre a farci vedere da vicino gli avversari, contribuisce anche a far cadere l’occhio su un’abusata reiterazione di modelli poligonali, riutilizzati in molte zone e spesso conditi da texture non all’altezza e zone un po’ troppo spoglie. Nonostante questi alti e bassi, un piccolo plauso va agli sviluppatori per quanto riguarda la scarsa riscontrabilità di aliasing e di fenomeni di pop-up, che spesso flagellano titoli di questo genere, e in ultima analisi (ma non per importanza) per le cinematiche, ottimamente realizzate e in grado di coinvolgere il giocatore grazie ad uno stile grafico che pare strizzare l’occhio anche al pubblico occidentale.
Continuando a parlare degli intermezzi narrativi, non possiamo che continuare la piccola lista delle belle sorprese citando il doppiaggio, ben realizzato (sebbene in inglese) e interpretato, supportato da sottotitoli e menù in italiano ben tradotti e mai fuori luogo.
Le stesse voci degli intermezzi ci accompagnano anche durante il gioco vero e proprio mantenendo una buona espressività. Gli effetti di armi, propulsori, colpi inferti e ricevuti ed esplosioni (di cui il gioco è ricco) riescono ad essere “credibili” sebbene limitate come numero e varietà.
Analizzando il comparto audio nella sua componente più artistica, risulta particolarmente apprezzabile la colonna sonora, che contiene alcune tracce veramente ispirate e che, nei momenti più drammatici o nelle sequenze di battaglia più epiche, riescono a essere perfettamente integrate e coinvolgenti, arrivando in alcuni casi a trasmettere un brivido lungo la schiena, quasi a livello di brani come “Beyound The Bounds” presente in Zone of the Enders 2.
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Riparazioni costose e non raccomandate
Spesso, come abbiamo visto con annunci recenti riguardanti brand famosi, i reboot paiono all’ordine del giorno e molto spesso, prima ancora che i titoli arrivino sul mercato, tali decisioni vengono enormemente osteggiate dai fan. Questo Front Mission Evolved non pare soffrire troppo di questo nuovo corso, anzi le meccaniche da TPS funzionano molto bene, non risultando mai banali ma nemmeno troppo contorte, come invece accadeva per giochi come Armored Core. Ciò che però va a rovinare le iniziali buone impressioni ricavate da questo titolo è proprio la realizzazione generale: al di là del sonoro, qualunque altro comparto ha molte più ombre che luci, a partire dalla fase giocata che appare subito ripetitiva e lineare all’inverosimile, senza alcuna possibilità di evasione dai percorsi prestabiliti.
Il piccolo spiraglio di luce fornito dall’editor di mecha, utilizzabile anche online, viene subito oscurato dalla stessa modalità multigiocatore, incapace di proporre la minima novità o variazione sul tema rispetto a qualunque altro TPS o FPS (quasi sempre meglio realizzati). Inoltre la mancanza di distruttibilità degli scenari va a colpire con maggiore forza proprio dove un po’ più di incognite sarebbero state perfette, ovverosia contro avversari reali.
Square Enix pare non fallire solamente nella narrazione della storia e nelle cinematiche che, pur non essendo a livelli di capolavoro assoluto, godono di una notevole fattura da qualunque punto di vista.
Per chi potrebbe essere pensato dunque questo Front Mission? Difficilmente i vecchi estimatori della saga lo apprezzeranno, principalmente per la perdita di qualsivoglia background tattico o strategico; forse gli appassionati di mecha a cui la saga fosse sconosciuta (difficile) potrebbero trovare in questo reboot un piacevole passatempo su cui passare qualche scampolo di tempo, data anche la pressoché totale assenza di nuovi giochi appartenenti al genere.
Ad ogni modo, se pensate di far parte dell’ultima categoria, il nostro giudizio è quello di un gioco che non vale assolutamente il prezzo pieno; da procurarsi, semmai, usato o dopo un abbassamento di prezzo.