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Recensione Recensione di Dragon Age II

Recensione di Dragon Age II di Console Tribe

di: Redazione

Sviluppatori come BioWare non hanno certo bisogno di presentazioni. Reduce di una carriera di sfavillanti successi “ruolistici”, la software house canadese è anche l’artefice di uno dei più grandi universi narrativi mai concepiti negli ultimi anni: quello di Mass Effect. La “sperimentale” bellezza gli ha permesso, con soli due episodi, di entrare di prepotenza nell’immaginario collettivo dei videogiocatori moderni. Eppure, quando uscì Dragon Age: Origins, gran parte del mondo videoludico inarcò il proverbiale sopracciglio. Certo era che grazie allo sviluppo di titoli del calibro di Neverwinter Nights, a BioWare non mancasse l’esperienza per un RPG in salsa medieval-fantasy, tuttavia era ben chiaro che la sfida dello sviluppatore non era certo quella di cerare l’ennesimo RPG fantasy, quanto piuttosto di creare una nuova epica del videogame da affiancare al già noto Mass Effect. Una sfida ambiziosa, atta a creare i presupposti affinché anche la serie di Dragon Age si potesse imporre all’interno della cultura vidoeludica pop. Se con Origins BioWare poneva basi solidissime fatte di puro gameplay a tesi di questa “ambizione”, è con l’uscita dell’attesissimo sequel che BioWare tenta di allargare il suo bacino di utenza, spostando il perno del gameplay verso quell’azione che, a quanto pare, caratterizza tutti i “numeri 2” delle grandi saghe della software house. La domanda è: riuscirà questo Dragon Age II a rendere digeribile la saga anche a quei giocatori che avevano ignorato Origins? Ma soprattutto, sarà Dragon Age II capace di surclassare (o almeno competere) con il suo stimatissimo predecessore? Tiriamo l’iniziativa!

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The Champion’s Chronicles

Chi siede davanti a noi è Varric, un nano con la passione per le storie e la lingua abbastanza lunga per raccontarle. Chi gli sta di fronte, minacciandolo aspramente, è invece una donna, apparentemente una templare. Una “cacciatrice” alle calcagna nientemeno che del Campione! La leggenda di Kirkwall! L’eroe che salvò la città delle catene da anni di sciagure e sventura.
Questo è l’inizio del viaggio offertoci da Dragon Age II. Una lunghissima digressione, una serie di flashback raccontati per mezzo del carismatico Varric. Questi, amico e compagno dell’eroe Hawke (nome di battesimo – editabile – Garrett), racconterà a noi e alla cacciatrice l’intera vicenda, mostrandoci più di una volta le sue doti di irresistibile ciarlatano, e lasciandoci sino alla fine nel dubbio: quello che viviamo/giochiamo è la realtà? Hawke è un eroe? O le leggende, come spesso capita, hanno gonfiato la realtà? Starà a noi scoprirlo, e lo faremo grazie al vissuto di un lunghissimo arco della vita del nostro paladino che lo vedrà scappare via dal Ferelden ai tempi dell’inizio del Flagello assieme alla sua famiglia, cominciando parallelamente agli eventi di Dragon Age: Origins. Assediato assieme ai suoi cari dalle incessanti ondate di Prole Oscura, Hawke verrà infine salvato da una vecchia conoscenza e raggiungerà, grazie proprio a quest’ultima, la splendida città-stato di Kirkwall ove molti, come lui, stanno emigrando in cerca di salvezza dalla morte del Flagello. Qui comincerà l’avventura vera e propria, e non occorrerà andare oltre per capire, sin da subito, che la prima e fondamentale differenza con Origins sta proprio nell’ottimo plot, che fa del personaggio principale un vero protagonista, e non un semplice “fantoccio” in balia degli eventi della narrazione. Hawke ha degli obiettivi, dei sogni, dei desideri e, soprattutto, una personalità che, nonostante l’ampio set di risposte dei dialoghi a scelta del gioco (ora molto più simili a quelli di Mass Effect), non mancherà di venire fuori ad ogni risposta. In tal senso ci sentiamo di dire che non ci sono paragoni con Origins, Dragon Age II surclassa nettamente il suo illustre capostipite, regalando al giocatore non solo una storia molto profonda, ricca di riflessioni sul classismo e l’emarginazione sociale, ma anche un ottimo set di attori e sotto-trame, il tutto portato avanti secondo una logica narrativa che, almeno apparentemente, sembrava mancare ad Origins.

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Kirkwall si affida ad Hawke non perché “è il protagonista del gioco”, ma perché è il protagonista della sua vita. La sua vicenda lo porterà, non senza fatica, a conquistare un’ampia popolarità all’interno della città, cosa che lo porterà con gli anni a diventare una sorta di beniamino popolare. In questo contesto si trova un’ampia giustificazione alle richieste dei comprimari del mondo di gioco che, a differenza di Origins (e di tanti titoli simili), si affidano al protagonista non in virtù di motivi insulsi, ma grazie ad una meritatissima fiducia. Le vicende, limitate a Kirkwall e dintorni, trovano quindi una connotazione narrativa intensa e giustificata, molto meno dispersiva che in Origins ed assolutamente più definita. In tal senso si giustifica anche l’opinabile scelta di ambientare, a differenza del primo DA, l’intero gioco nella sola Kirkwall e luoghi limitrofi. La location, infatti, non è solo ricca di eventi ma è praticamente il cuore della narrazione e, nonostante le apparenze, sarà abbastanza ricca ed ampia da non far pesare sull’utente la necessità di doverla esplorare per tutta la durata dell’avventura. Dulcis in fundo, è stato ritmato e corretto il susseguirsi degli eventi di gioco, cosicché al giocatore non resti altro che incollarsi allo schermo senza essere preda della noia. Girare per il mondo alla ricerca di oggetti, risolvere missioni, intrattenere rapporti sociali, come da tradizione BioWare, è parte integrante del gioco e costituisce un’esperienza imprescindibile per chiunque voglia divenire parte del mondo che Ray Muzyka e soci hanno imbastito per i giocatori. Quaranta ore di gioco, quaranta ore di avventure che non mancheranno, tra uno scontro ed un altro, a trasformare l’avventura di Hawke nella nostra, personalissima, epopea fantasy.

!==PB==!
Il ritorno del Re (?)

Prima di introdurre il gameplay dell’ultima fatica BioWare è doverosa una piccola premessa. Tra le cose che avevano impressionato di più i giocatori del passato Dragon Age, c’era sicuramente il suo particolare sapore di RPG “vecchia scuola”. E non stiamo parlando di una pura ispirazione, di rimandi nel gameplay o qualsivoglia tentativo di rispecchiare il passato. Origins, come quasi diceva il nome, si giocava come quei titoli grandi e meravigliosi che hanno fatto la storia di questo medium. La battaglia contro la Prole Oscura e l’Arcidemone era costellata da ore ed ore di gioco, passate a migliorare il proprio personaggio e soprattutto a farsi entrare sotto pelle un sistema di combattimento profondo, tattico, piacevole e frustrante allo stesso tempo. Perché Dragon Age: Origins era difficile, davvero difficile. A dirla tutta andrebbe annoverato tra i titoli più impegnativi di questa generazione, affiancandolo a quel Demon’s Souls che ha triturato centinaia di giocatori. Certo, la maggiore libertà nel mondo di gioco, la possibilità di abbassare la difficoltà e la quantità di sub-quest da usare come diversivo nei momenti di difficoltà per un level-up, hanno contribuito ad abbassare il livello di sfida percepito. È inutile discutere cosa era lecito aspettarsi da questo secondo titolo, mentre è più utile e fruttuoso inquadrare la precisa operazione portata avanti da BioWare. Manovra strategica che peraltro abbiamo già visto con Mass Effect che, nel salto dal primo al secondo capitolo, ha guadagnato accessibilità e velocità, snellendo gran parte della propria struttura di gioco. Con Dragon Age II è avvenuta più o meno la stessa cosa, ed è facile intuirne le motivazioni. Origins aleggia ancora nelle bocche dei giocatori come un titolo di qualità e spessore conferendo forza e lustro al brand, spaventando però allo stesso tempo i più con il suo livello di difficoltà e con l’impegno necessario per portarlo a termine. Era quindi giunto il momento di sfruttare il successo, cercando di interessare una maggiore fetta di pubblico preservando la qualità. Un impegno ambizioso che BioWare ha però, come detto, dimostrato di essere capace d’affrontare. È bene premettere da subito che chi si aspetta la copia fedele del primo titolo rimarrà fortemente deluso.
Il Flagello è passato e questa è una nuova storia.

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Skinny Character

Se il primo capitolo era ispirato fortemente ai primi Baldur’s Gate, con la sua seconda incarnazione Dragon Age salta a piè pari sul carro degli RPG votati all’action, quindi meno chiacchiere e più azione, e non solo metaforicamente. Da subito ci si accorge che l’albero di dialogo è stato sfrondato per lasciare spazio a una selezione più dinamica delle risposte. Avremo le solite domande pre-confezionate tra cui scegliere, ma “colorate” dall’intenzione che vorremo infondere alle nostre parole. Potremo scegliere tra una risposta buona, ironica o cattiva. Un sistema che libera il giocatore da un fiume di lettere inutili per garantire la consueta profondità di dialogo propria dei titoli ruolistici. Il lavoro fatto da BioWare in questo senso è davvero eccellente, non facendo per nulla rimpiangere la ricca impostazione del passato. Stessa cosa per i menu che vengono gestiti tutti dal pulsante Start, garantendo velocità d’accesso alle statistiche del personaggio, all’accesso inventario e al Diario senza dover ricordare diversi tasti di scelta rapida. La “liposuzione” del sistema di gioco non si ferma qui ma si estende fin dentro le ossa della struttura di gioco. Come in ogni operazione chirurgica le complicazioni non mancano, soprattutto se si tende ad esagerare. Provate a dimagrire troppo e i vestiti non vi entreranno, esattamente come ai nostri compagni di viaggio! Il giocatore in questa nuova avventura dovrà preoccuparsi di equipaggiare esclusivamente armi ed accessori dei suoi comprimari, lasciando che i nostri amici scelgano da soli cosa indossare. Scelta che dapprima fa storcere il naso per poi svelare la sua logica nascosta. In fondo ad essere state cassate sono esclusivamente le armature per i comprimari che si riducono in numero ma lasciano spazio a potenziamenti runici che di fatto cambiano radicalmente le stats di ogni equip. Un modo come un altro per risparmiare tempo e fatica (anche ai modellatori…), senza dover rinunciare ad una profondità tattica. Il naso rimane comunque storto, ma tiriamo un sospiro di sollievo.

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La progressione delle classi è stata anch’essa asciugata per lasciare l’essenziale: avremo a disposizione per il nostro personaggio una serie di classi nelle quali selezionare le abilità per potenziare le nostre capacità di combattimento. A queste si aggiungono tre classi prestigio, due delle quali da scegliere a livello sette e quattordici specializzando ulteriormente il nostro eroe. La semplicità dell’albero abilità si dimostra tale sopratutto per i nostri compagni che riveleranno da subito le loro attitudini. Uno sguardo alle loro capacità combattive ci permetterà di riconoscere la loro “crescita naturale” per assecondarne le doti istintive sin dai primi livelli, evitando di trovarci di fronte a skill inutilizzate nel corso del gioco. Il numero stesso dei personaggi è stato aumentato, migliorando anche la varietà e il carattere di ciascun compagno. Alcuni si dimostreranno davvero indispensabili in battaglia e indimenticabili nelle conversazioni, entrando da protagonisti nelle discussioni e sbrogliando alcune situazioni particolarmente difficili grazie ad una interessante parlantina.

!==PB==!
Action replay

Abbiamo ampiamente esposto l’albero genealogico del primo capitolo che si distacca completamente dalla paternità di questo secondo. Se proprio dovessimo individuare qualche flebile similitudine, ci verrebbe da citare un misto tra Jade Empire e Knights of the Old Republic con qualche spruzzata di novità. In sostanza il menu a ruota di pausa rimane ancora un buon alleato per curare e gestire i comprimari, ma i veri protagonisti sono i tasti e il grilletto destro che ci permetteranno di affrontare con rapidità e precisione i nostri nemici. Le nuovi abilità sono sicuramente più dinamiche, performanti e affascinanti rispetto a quelle del passato, dando agli scontri una maggiore qualità coreografica e d’intrattenimento. Uno dei tasti sarà adibito all’attacco semplice mentre gli altri tre libereranno le skill di guerra che avremo opportunamente selezionato. Potremo accedere a sei abilità con richiamo rapido (tre più tre grazie alla pressione del grilletto), mentre le altre dovranno essere richiamate dalla ruota di pausa. Da questo punto di vista Dragon Age II si dimostra più piacevole ed interessante del suo predecessore, nonostante i combattimenti risultino in linea di massima tatticamente meno profondi e meno impegnativi. Anche se la quantità di quest primarie e secondarie seguono fondamentalmente quasi lo stesso pattern, è difficile stancarsi di combattere, anzi spesso l’eccitamento della battaglia ci porterà a lanciarci anche in scontri non richiesti. Affrontare un nutrito drappello di Qunari sfruttando la nostra capacità di fiondarci sul nemico, per poi dare vita a una ruota mortale conclusa con un colpo di maglio devastante, è uno dei numerosi piaceri che questo combat system rinnovato porta con sé. Inoltre è doveroso notare che, sebbene la difficoltà complessiva sia stata ridotta, le boss battle costituiscono il vero fiore all’occhiello, dimostrandosi sempre impegnative, tattiche ed emozionanti.
Discutibile invece la qualità dell’equip: è stato fatto davvero poco per caratterizzarlo e renderlo interessante; sono state sì aggiunte molte armi ma si è persa l’enorme varietà di corazze e accessori che impreziosivano il precedente capitolo. Spesso ci troveremo di fronte ad accessori diversi ma mai rinominati se non genericamente, che ci costringeranno a ripassarne di volta in volta le caratteristiche per capirne il funzionamento. Per fortuna un sistema di stelle ci permetterà di capire a colpo d’occhio quanto un determinato equip sia adatto al nostro livello. Una feature non solo utilissima ma addirittura fondamentale per effettuare alcune scelte strategiche. Impossibile non notare come sia stato anche snellito il sistema di creazione pozioni e veleni: ora basterà trovare la prima volta i materiali ed avere i soldi per farne richiesta presso i mercanti, senza doverci preoccupare di recuperare sufficienti risorse per ogni pozione da acquistare. L’intero sistema di crafting risulta però indebolito da questa riduzione che, con l’estrema accessibilità, toglie gran parte del piacere della ricerca per i materiali e la creazione dei prodotti alchemici.

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Tra le mura di Kirkwall

Dragon Age II non spicca certamente per bellezza sia del sonoro che dell’impatto visivo, nonostante il mondo di gioco sia stato fortemente ridotto costringendolo tra le mura della città di Kirkwall e i Liberi Confini che la circondano. Le mappe molto spesso si ripetono, anche quando non siamo costretti a ripercorrere luoghi già visitati per nuove missioni, e le stesse non risultano poi così dettagliate come ci saremmo aspettati. La stessa Kirkwall, divisa in quartieri come una città di un Neverwinter qualsiasi, non spicca per personalità, fascino ed interesse. Strade più o meno vuote si alternano a interni distanti qualche caricamento nei quali si affollano sparuti gruppetti di cittadini. Questo non vuol dire che Kirkwall sia una città fredda e inospitale, anzi un plauso va fatto agli sviluppatori per essere riusciti a renderla ricca di un sottobosco brulicante ed intrigante. Ci saremmo solo aspettati che questa complessità avesse avuto un corrispettivo visivo d’impatto e non una serie di texture low-res e una modellazione poligonale così sciatta e approssimativa che comunque ha qualche lampo di genio. È stata, infatti, fortemente migliorata la qualità dei visi del cast principale e di conseguenza le loro espressioni facciali, che finalmente danno lustro e spessore ai dialoghi. Meno è stato fatto per i comprimari e figure di riempimento che a stento sfiorano l’eccellenza. Rimangono tutti i difetti del precedente titolo che concorrono a rovinare paesaggi ispirati e ben realizzati: un leggero tearing e il massimo bad clipping degli oggetti all’orizzonte non permettono al giocatore di godere del colpo d’occhio ricordandogli ad ogni piè sospinto di trovarsi di fronte ad un cumulo di poligoni. Peccato mortale sopratutto per gli scorci cittadini, tra le enormi catene di Kirkwall, che dimostrano un potenziale d’immersione e rapimento completamente inespresso, se non castrato.

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New Era

Dragon Age II, come più volte ripetuto, non è un semplice sequel di Origins. Non a caso l’inizio di questa nuova avventura si sovrappone agli eventi del Campione di Farelden, quasi a sottolineare un nuovo e totalmente fresco inizio. I puristi difficilmente apprezzeranno una mossa del genere, che però fa guadagnare a BioWare una nuova fetta di proseliti, grazie ad un mondo affascinate, una storia intrigante ed un gameplay che crea dipendenza. Il sistema di progressione del personaggio innesca un meccanismo di ricompensa così soddisfacente che difficilmente il giocatore riesce a staccarsi, vivendosi tutto d’un fiato le trenta ore base della main quest; qualcuno sicuramente riuscirà a spingersi fino al doppio per completarlo nella sua totalità.
Dicono che i Draghi si siano estinti, forse hanno solo cambiato pelle…