Recensione Recensione di Bulletstorm
Recensione di Bulletstorm di Console Tribe
di: Mariano "TylerDurden" AdamoRicordo che il cielo era terso quel giorno. Uno splendido paesaggio di calma e tranquillità. Tutto era tranquillo, sereno, nulla poteva turbare quella calma. Nulla, eccetto me. Un colpo squarcia il cielo e fa tremare gli animi. Una tempesta di proiettili si sta per abbattere nella vita degli uomini che sto per eliminare. Assassini, stupratori, dittatori: questi erano i miei obiettivi. A quell’epoca non sapevo guardare negli occhi degli uomini. Quando la verità ha iniziato a sfiorare la mia di vista, ho capito. Ho capito di aver sbagliato, che andavo punito. La vita mi ha insegnato che l’unica forma di redenzione è la morte, e il mandante di questi omicidi doveva morire.
Sarrano morirà. E quel giorno ci sarà una nuova tempesta di proiettili e morte.
Il panorama videoludico, soprattutto in quest’ultima generazione, ha visto la nascita di numerosissimi first person shooter. Ogni titolo, salvo piccole varianti, ripropone uno schema di gioco classico e, il più delle volte, poco innovativo. In un mercato così saturo è difficile affermarsi: c’è chi punta sulla grafica, chi sul multiplayer e chi, invece, su trama e ambientazioni. In quest’ottica non sempre è facile stabilire con quali mezzi conquistare il giocatore. Il trio Electronic Arts, Epic Games e People Can Fly ha deciso di lanciarsi nella mischia proponendo uno schema di gioco semplice ma efficace: Kill with Skill. In poche parole al giocatore è data la possibilità di sperimentare qualunque tipo di uccisione e, ovviamente, le più spettacolari saranno premiate.
Riuscirà Bulletstorm a spadroneggiare su titoli come Halo, Killzone e Call of Duty? Gli sviluppatori di Epic Games, famosi per aver creato Gears of War, hanno tutta l’intenzione di non finire nel dimenticatoio. Scopriamo insieme chi dispone dell’arma più efficace…
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Cicatrice
Questa è la storia di Grayson Hunt. Il suo nome è leggenda tra le reclute della squadra Final Echo. Prima glorioso comandante dei Dead Echo, poi pirata spaziale sulla cui testa pende una taglia di mezzo milione di dollari. A Gray non importa del suo passato, delle sue gesta e persino del suo futuro, tutto quello che vuole è vendetta. La storia di Gray è macchiata di sangue innocente e tutto questo a causa del comandante Sarrano, leader spietato che per perseguire i suoi scopi è pronto a tradire e manipolare perfino i compagni più fidati. A dispetto dell’arroganza e della sbruffoneria, il cuore di Gray è segnato dalle vite che ha spezzato, e per questo combatte. Per questo sacrifica la sua stessa nave e precipita su un pianeta inospitale alla ricerca della sua personale vendetta.
Bulletstorm ci narra di come un uomo sia pronto a rischiare tutto per raggiungere i suoi obiettivi; di come la vita può apparire tremendamente breve e insignificante davanti a una pistola pronta a sparare. Gray, spietato e inesorabile, ha sempre la battuta pronta, come nei più classici film americani dove il protagonista, fiero e spavaldo, spara a zero su compagni e nemici, senza dimenticarsi di inserire qualche espressione volgare qua e là, proprio come piace a noi “uomini duri”.
Ci sarebbe anche da citare Ishi, il nostro compagno mezzo uomo e mezzo cyborg con manie omicide e sdoppiamento della personalità. E come non parlare della bella – e sculettante – Trishka sempre pronta a minare l’autostima di Gray, cosa in cui fallisce miseramente tra l’altro. Potremo anche parlare della totale mancanza di personalità di Sarrano, che fa di un basco militare e qualche frase acida e spocchiosa le sue doti migliori.
Potremo dire queste e tante altre cose ma, non vogliamo essere superflui e ridondanti. Bulletstorm piace proprio per la sua poca serietà, per estremizzare battute volgari e pretenziose, per essere comunque tremendamente appagante. Non siamo qui per piangere e commuoverci, questa non è una storia strappalacrime, non è un racconto per donnicciole.
Uccidere è una forma d’arte
Perché amiamo tanto i first person shooter? Da Call of Duty a Killzone, fino ad arrivare ad Halo, questa tipologia di gioco è accomunata da due cose: guerra e violenza. Nella vita reale, dove ci comportiamo da persone perfettamente integrate nella società, se venissimo interrogati su questi argomenti risponderemo grossomodo tutti così: “La violenza, per certi versi, è insita nell’animo umano e proprio per questo anche oggigiorno ci sono tante guerre, tuttavia l’uomo è un essere dotato di coscienza, pertanto deve imparare che usare la violenza, in qualunque forma, è un’azione di bassa lega da non ripetere e, soprattutto, da condannare”. Parole esatte, eppure pad alla mano guerra e violenza sono tremendamente divertenti: impalare nemici, bruciarli, compiere un headshot d’antologia… ci piace, eccome se ci piace!
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Questo preambolo serve per introdurre il concetto che sta alla base di Bulletstorm. In qualunque FPS ci troviamo con la nostra bella visuale in prima persona, il nostro campo di battaglia e i nostri cerebrolesi nemici pronti a farci qualche foro di proiettile; qualunque sia il gioco, lo scopo è “vincere la guerra”. Il divertimento che ne scaturisce è indiretto. Uccidere ed eliminare i nemici ci diverte ma, con molta probabilità, il gesto, nel mondo immaginario in cui ci troviamo, è condannato così come avviene in quello reale. Possiamo divertirci come vogliamo, essere delle macchine assassine letali e potenti ma, in qualunque titolo, nessuno sembrerà notare o comunque ricompensare questa cosa. Bulletstorm fa proprio questo, pone il divertimento sul ludico piacere che si ha nel crivellare di colpi i malcapitati nemici, creando una sorta di gioco nel gioco. Se in un normale FPS si gioca e ci si diverte semplicemente facendosi strada tra i nemici, in Bulletstorm si fa la stessa identica cosa ma, contemporaneamente, si è ricompensati e premiati proprio per come i nemici li eliminiamo. Pochi passi nel mondo creato dai People Can Fly e ci troviamo catapultati in una sorta di sadico tiro al piattello umano. Tralasciando il concetto di gioco in sé, Bulletstorm resta un normale sparatutto con il solito sistema di comandi e ci fa vivere un’avventura dinamica, fatta di sparatorie, scontri con alcuni boss e qualche sezione on rails. Proprio per questo è doveroso spiegare il sistema di tiri abilità, pubblicizzato a dovere con il motto Kill with skill.
Uccidere è una forma d’arte in Bulletstorm. Ogni possibile situazione letale viene premiata. Gray, oltre che di armi più o meno canoniche, dispone di un cappio elettronico e stivali gravitazionali. Questi due strumenti da soli creano un mix unico, da cui scaturisce un feeling di gioco davvero particolare. Il cappio, vero protagonista del gioco, quasi come una frusta è capace di tirare a sé nemici ed oggetti, sia per avvicinarli e colpirli meglio sia per scaraventarli dove più ci piace, e dove fa più male aggiungeremmo. Gli stivali gravitazionali fanno sì che ogni nemico colpito fluttui per un po’ di tempo per aria, permettendoci di fare quello che vogliamo del malcapitato. Prendete questi due elementi, aggiungete bocche da fuoco davvero potenti e capirete da soli che le soluzioni sono tante: possiamo prendere un nemico col cappio, attirarlo a noi e poi scaraventarlo giù da un dirupo; oppure dargli un calcio e sparargli dritto alla testa o, ancora, prendere un avversario al cappio e usarlo per proteggerci dal fuoco nemico. Il limite è la nostra stessa fantasia. Le scene più gore ci vengono offerte da armi esplosive e potenti e soprattutto dalla possibilità, tramite un sistema di potenziamenti, di utilizzare un fuoco secondario che sblocca la vera essenza dell’arma stessa. Fucili che bruciano più nemici contemporaneamente, cento colpi condensati, proiettili teleguidati; insomma, utilizzare i colpi secondari ci apre le porte di un mondo ancora più sanguinolento.
Purtroppo per fare in modo che il giocatore possa sperimentare le sue fantasie più perverse sui nemici, il livello di difficoltà e l’intelligenza artificiale sono clamorosamente spostate verso il basso. Le sagome viventi, che siamo costretti a chiamare nemici, si lanceranno contro di noi in maniera irruenta e confusionale, proprio per permetterci di cimentarci nel tiro abilità che preferiamo. Questi suicidi di massa rendono il gioco divertente e semplice ma, allo stesso tempo, poco impegnativo ed appagante. Le soddisfazioni ci vengono regalate unicamente quando eliminiamo un nemico in modo particolare, ma se per un motivo o per un altro vogliamo superare una determinata fase di gioco velocemente, ci basta anche sparare a caso, tanti saranno i nemici ad intercettare la traiettoria del proiettile. Bulletstorm è anche questo, non è tanto paragonabile ad altri first person shooter per solidità e profondità ma, piuttosto, è da considerarsi uno sparatutto dall’animo tremendamente arcade.
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Quanto dura una vita?
Parlando di longevità, Bulletstorm non ha nulla da invidiare ad altre produzioni. La campagna principale, composta da sette atti, dura circa otto ore al primo playtrough. La durata aumenta se prendiamo in considerazione tutti i collezionabili da scovare come alcune farfalle fluorescenti, bottiglie e giornali-robot sparsi per le varie ambientazioni. I tiri abilità stessi fanno sì che Bulletstorm goda di nuova vita ogni volta che lo si inserisce nella console; portare a termine tutti questi aspetti secondari richiede grande pazienza e devozione.
Terminata l’avventura principale, potremo cimentarci nella modalità Echo, una sorta di campagna a tempo. In ogni stage affronteremo delle brevi sessioni, purtroppo identiche a quanto visto nella modalità storia, in cui dobbiamo accumulare punti in meno tempo possibile. A sessione ultimata ci verranno forniti i risultati delle nostre prestazioni, direttamente confrontabili con quelli dei nostri amici attraverso una classifica generale. La modalità Echo regala sì qualche ora di gioco in più ma non offre emozioni che la storia non avesse già regalato.
Il pianeta dei morti imminenti
Il futuro, quali mondi sconosciuti di regalerà? Bulletstorm risponde a questa domanda portandoci in un modo evocativo e avveniristico. Il pianeta in cui si svolgono i fatti è ricco di scorci paesaggistici davvero ben realizzati. Deserti, dighe, falde acquifere, grotte, cavità naturali, città distrutte e palazzi diroccati regalano un’esperienza intensa e profonda. Ogni scenario gode di punti artistici propri ma allo stesso tempo riesce ad amalgamarsi alla perfezione con tutti gli altri elementi, al fine di creare un mondo non solo bello a vedersi ma anche coerente per quanto riguarda le scelte stilistiche. Passando dal lato artistico a quello tecnico ci troviamo per l’ennesima volta di fronte all’Unreal Engine. Gli Epic Games, proprietari del prodotto, con Bulletstorm hanno quasi voluto dimostrare che il motore da loro progettato non è per nulla datato. Bulletstorm è una gioia per gli occhi: personaggi ed ambientazioni sono ottimizzati finemente dall’Unreal Engine. Con questo non vogliamo dire che Bulletstorm sia perfetto, anche alla luce dei risultati raggiunti da Killzone 3. In ogni caso il comparto grafico è pulito e ben curato. Buona la modellazione poligonale dei personaggi che, grazie ad animazioni fluide e precise, si muovono sullo schermo in maniera realistica e credibile. Ci sarebbe da obiettare per alcune scelte cromatiche e per delle texture ambientali un po’ altalenanti, ma nulla di eccessivo.
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Il tutto è accompagnato da un sonoro che svolge adeguatamente il suo compito. Il doppiaggio, interamente in italiano, è ben riuscito, grazie ad un cast di doppiatori professionale e piacevole da ascoltare. Le musiche di sottofondo paiono invece non troppo incisive, relegate unicamente a quei momenti di enfasi che avvengono durante lo svolgimento della storia. Sono ottimi invece gli effetti sonori, sia quelli ambientali che quelli delle armi.
Kill with friends
Schiena contro schiena, a fuoco incrociato. Una vera squadra si spalleggia. La morte è un’espressione artistica del nostro modo di combattere, del nostro modo di cooperare. La nostra squadra, composta rigorosamente da quattro membri, si destreggia nelle battaglie più dure, ondata dopo ondata. Gloria, fama e speranza: queste cose proprio non ci interessano. La nostra è una mattanza ludica e spietata. Nessuna salvezza, nessun buon proposito, solo raffiche di colpi e “chi si è visto, si è visto”. La chiamano Anarchia: i duellanti, entrando nell’arena, ne accettano automaticamente le regole. Guerrieri come noi non hanno bisogno di manuali complicati. I fattori che entrano in gioco sono pochi ma tutti ben studiati. Lo scopo è apparentemente quello di eliminare gli avversari controllati dal computer. Uccidere a noi non basta. Vogliamo di più, dobbiamo fare di più. Noi siamo capaci di eliminare gli avversari con stile. È proprio questo lo scopo del gioco: in ogni stage bisogna raggiungere un determinato punteggio, più siamo sadici, più punti accumuliamo. Una vera squadra, tuttavia, coopera anche in questo e, infatti, eliminare un avversario utilizzando tattiche combinate, frutterà ancora più punti. Da un lato della mappa spedisco un nemico lontano con un calcio; da un altro lato, invece, uno dei miei compagni lancia un barilotto esplosivo nella stessa direzione: avete già capito come tutto questo andrà a finire.
Anarchia premia le prodezze del singolo ma soprattutto i gesti folli e avventati effettuati cooperando con gli amici che prendono parte al match. Questo concept si concretizza all’interno di alcune sfide in cui, con l’aiuto dei nostri partner, dobbiamo eliminare un determinato avversario utilizzando un tiro abilità specifico. Divertente, appagante e tremendamente caotico: la modalità Anarchia si rivela tanto soddisfacente quanto frustante: la confusione creata dal numero di nemici e la grandezza della mappa spesso fanno sì che sia difficile coordinarsi in maniera opportuna, facendo risultare alcune sfide più complesse e snervanti di quanto non lo siano in realtà.
Per aumentare l’immedesimazione sono disponibili tutta una serie di collezionabili e personalizzazioni per il nostro alter-ego, per sbloccarli bisogna accumulare i punti esperienza che si ottengono match dopo match. In questo senso, complici classifiche e statistiche, il multiplayer ci regala anche una discreta componente competitiva.
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Giocatori si nasce, sadici si diventa
L’approccio che Bulletstorm propone si distingue molto dagli altri shooter usciti negli ultimi anni. I ragazzi di People Can Fly si sono posti l’obiettivo di rendere più vario e divertente il normale incedere nelle diverse ambientazioni, il risultato è uno stile di gioco piuttosto singolare, che vede nei tiri abilità il punto focale dell’azione. Il giocatore può sbizzarrirsi nell’eliminare i nemici come meglio crede, sperimentando di volta in volta forme sempre più estreme di violenza. Terminata l’eccitazione iniziale per questa impostazione, Bulletstorm si mostra come un titolo sì divertente ma anche troppo semplice e poco profondo. Le esigenze dei giocatori tendono a creare interesse verso prodotti sempre più complessi e appassionanti, mentre il titolo distribuito da EA tenta solo di regalare, in una forma decisamente arcade, frangenti di guerra e scene insensatamente violente. Nel complesso il risultato è comunque ottimo: trama non troppo profonda ma divertente, multiplayer cooperativo coinvolgente ed appagante e un Unreal Engine in stato di grazia.
Uccidere è una forma d’arte, sta a noi decidere quanto ci sentiamo artisti.