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Recensione Paper Beast

di: Simone Cantini

Inutile, se penso ad Eric Chahi non posso fare a meno di tornare giovincello, ai tempi del liceo, quando avere in casa un Amiga 500 ti rendeva il leader indiscusso dei tecnomani della scuola. Ed è proprio grazie alla macchina Commodore che potei incrociare per la prima volta il nome del geniale designer francese, che in un’epoca in cui erano ancora le idee a rendere grande un videogioco, piuttosto che una grafica spaccamascella, riuscì stregare migliaia di giocatori, grazie a quattro poligoni in croce e ad un’avventura indimenticabile chiamata Another World. Di tempo ne passato e, forse, il nome di Chahi non è più al centro della scena come una volta, ma quando ho saputo che dietro a Paper Beast si celavano lui ed il suo team, non ho pututo fare a meno di drizzare le antenne.

Un altro mondo

Proprio come nell’avventura di Lester, il protagonista dell’immortale lavoro di Chahi citato in apertura, il tutto prende il via da un esperimento scientifico, anche se stavolta non giunge una serie di fulmini a scombussolare i piani. In Paper Beast ci accingiamo ad avviare semplicemente una non meglio specificata simulazione, i cui scopi rimangono oscuri per tutta la durata complessiva del gioco. Sarà sufficiente rispondere ad una serie di domande, per ritrovarsi immersi in una sorta di juke box virtuale, un piccolo divertissement che ci permetterà di giocare per qualche minuto con l’audio posizionale del brano punk/pop nipponico che il team ha scelto per noi. Si tratta di una simpatica, quanto futile, digressione che servirà soltanto a rallentare un poco il nostro accesso al bizzarro universo oggetto della simulazione: una volta abbandonato il player musicale, difatti, ci ritroveremo catapultati in una landa desertica, abitata soltanto da bizzarri animali fatti interamente di carta, curiosi origami semoventi e senzienti, che fungeranno da guida e collante per gli enigmi di Paper Beast. La produzione Pixel Reef ci chiederà semplicemente di risolvere alcuni puzzle, interagendo con l’ambiente e la fauna che lo popola, il tutto tramite un piccolo device che replica in parte un pad. Tramite questo oggetto potremo spostarci, sfruttando il classico sistema basato sul teletrasporto e la rotazione ad angoli predefiniti, oltre a raccogliere per mezzo di una sorta di raggio i vari strumenti che troveremo negli stage. Saranno questi ultimi a ricoprire un’importanza fondamentale, dato che oltre ad esche, corde e ramoscelli, Paper Beast metterà sul piatto anche alcuni strumenti con i quali sarà possibile modificare fisicamente l’ambiente di gioco: non mancheranno sfere in grado di generare dune di sabbia, utilissime per bloccare o deviare il corso dei fiumi, oppure globi infuocati tramite i quali sciogliere i ghiacci, così da riempire di acqua delle voragini. La qualità e la quantità di elementi messa in campo è assai valida, così come intriganti ed intelligenti sono risultati gli enigmi, mai troppo caotici da comprendere, ma che poggiano comunque su soluzioni davvero ingegnose. Gli unici difetti che si avvertono in Paper Beast, nel corso delle circa 3-4 ore necessarie a giungere alla criptica conclusione, sono da ritrovare nell’assenza del movimento libero, che rende talvolta scomodo interagire con oggetti ed animali. Alcune perplessità, però, le ho ritrovate nel comparto narrativo, veramente oscuro e a tratti fine a sé stesso, utile soltanto ad inanellare una serie di sequenze ludiche apparentemente sconclusionate. Ed il finale non fa certo nulla per venire in soccorso al giocatore, anzi, se possibile lo lascia ancora più spiazzato.

Poesia di carta

Laddove Paper Beast non può certo lasciare spazio alla libera interpretazione, è senza dubbio per quanto concerne il comparto grafico/stilistico, capace di raggiungere vette espressive e creative davvero importanti. Il mondo tratteggiato da Chahi e soci, difatti, è visionario e sorretto da un design estremamente affascinante, capace di lasciare a bocca aperta in più di una situazione. Inutile sottolineare come siano le bestie di carta a rubare la scena, per il modo assai peculiare con cui sono state tratteggiate ed animate, che rende davvero impossibile non affezionarsi ad un paio di loro. Anche il mondo di gioco, per quanto per lo più desertico e dalle geometrie essenziali, non nega al giocatore scorci degni di nota, che sarà difficile non catturare tramite il tasto Share. Ottimo anche l’accompagnamento musicale, mai invasivo e assai puntuale nel sottolineare i vari snodi ludici. A completare il pacchetto, per coloro che apprezzano le esperienze del genere, è presente anche una modalità sandbox che, grazie ad elementi ed oggetti che è possibile reperire durante l’avventura, ci consentirà di dare vita al nostro peculiare ecosistema di carta, dei quali saremo le assolute divinità, grazie anche alla possibilità di agire direttamente sulla conformazione del terreno e gli eventi climatici.

Paper Beast è un’esperienza ludica assai particolare, figlia indiscussa di Eric Chahi, ma che pur riprendendo alcuni elementi tipici del suo modo di creare giochi (mondi fantastici su tutto) non riesce ad elevarsi al rango di produzione imperdibile. Per quanto sorretta da una serie di enigmi interessanti e ben costruiti, nonché calati in un contesto visivo affascinante, Paper Beast presenta alcuni piccoli problemini di progettazione che non gli consentono di spiccare il volo al pieno delle proprie possibilità: l’assenza di un’opzione di movimento libera è il difetto più evidente, dato che il teletrasporto e la rotazione ad angoli fissi rende talvolta più ostico del normale interagire con l’ambiente. Per quanto secondario, ho trovato sottotono l’aspetto narrativo, sin troppo fumoso e criptico, così come un po’ troppo risicata è la longevità dell’avventura principale. Al netto di ciò, soprattutto se amate anche le esperienze sandbox, Paper Beast è un titolo che merita una chance, visto il modo con cui sa rapidamente catapultare il giocatore in un mondo incredibile e peculiare.