Recensione Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai
di: Simone CantiniA vedere la situazione attuale sembra quasi assurdo pensare come, solo qualche decennio fa, il mondo dei jrpg ruotasse attorno a due capisaldi del settore, legati ciascuno ad una propria casa produttrice. Erano gli anni in cui Final Fantasy e Dragon Quest la facevano da padrone, rimpinguando ad ogni uscita le casse di SquareSoft ed Enix, prima che i due colossi decidessero di deporre le armi in favore di una fusione quasi impensabile. Fortunatamente, pur con alti e bassi, una simile mossa non sancì la fine delle ostilità tra i due brand, che hanno continuato a fare la loro comparsa sul mercato grazie a numerose, nuove iterazioni. Spin-off compresi, soprattutto per quanto riguarda la serie di Yuji Horii, che tra videogames, anime e manga può contare su di un corposo quantitativo di uscite. E proprio dal mondo dei fumetti nipponici giunge oggi Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai, adattamento videoludico del celebre manga di Riki Sanjo e Koji Inada. Un gioco che, a dispetto del remoto passato della serie da cui prende spunto, ha deciso di non seguire i canoni di gameplay classici, ma ha optato per una struttura decisamente più action: sarà stata una scelta vincente?
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Coitus interruptus
Tie-in è una parola che ho sempre detestato quando si parla di produzioni videoludiche, dato che l’ho periodicamente vista associata a produzioni poco più che mediocri, salvo rarissime ed impensabili eccezioni. Generalmente, almeno nel periodo a cavallo tra gli anni 80 e 90, le riproposizioni ludiche di pellicole cinematografiche e anime che dir si voglia, nella stragrande maggioranza dei casi finivano per rivelarsi delle assolute porcherie, come ogni tanto ci pensa a ricordarmi la mia copia di Last Battle per C64. Proprio per questo motivo, nonostante il trend si sia in parte mitigato con il passare degli anni, mi sono avvicinato ad Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai con tutte le dovute cautele del caso, dato che il nuovo lavoro di casa Square Enix si propone come l’adattamento giocabile di una parte del manga omonimo. E già questo dovrebbe far scattare il primo campanello di allarme: la storia narrata, difatti, copra circa metà dell’arco narrativo della produzione originale, andando di fatto ad interrompersi bruscamente in seguito alla distruzione del Castello Rocca Sovrana. Una conclusione che giunge improvvisa, senza troppe spiegazioni, e che lascia in sospeso tutta la parte conclusiva delle avventure di Dai, Popp, Maam, Hyunckel e tutti gli altri. Una scelta assai bizzarra, dato che comunque parliamo di un racconto giunto al suo termine effettivo nel 1996, che lascia aperto il campo all’ipotesi di un seguito dedicato o, magari, ad un corposo DLC a pagamento. Due possibilità che, comunque si veda, saranno condizionate dal successo dell’iterazione in questione e che, considerando i suoi evidenti limiti strutturali, non darei proprio per scontato, per la gioia del CEO della compagnia nipponica.
Il che è davvero un peccato, data la bontà del materiale di partenza che, pur trattandosi di uno shonen caratterizzato da limiti ed ingenuità tipiche di un prodotto che vide la luce sul finire degli anni 80, può vantare un fascino davvero innegabile. La storia di Dai, difatti, è caratterizzata da una scrittura invero accattivante, oltre che impreziosita da un cast di personaggi ben caratterizzati e sfaccettati che, nonostante il protagonista eroe invincibile perché sì, riescono ad andare oltre l’essere dei meri comprimari sacrificabili. Un manga, quello ideato dal duo Sanjo/inada, che è stato riproposto in tempi recenti tramite una serie animata, i cui frammenti originali, accompagnati da alcune scene realizzate in-engine, sono utilizzati per dare vita alla parte narrativa di Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai. Il problema principale, per assurdo, è dato proprio dal loro abuso, visto che le varie porzioni in cui sono suddivisi i 7 capitoli che scandiscono l’esperienza vedono una sproporzione di segmenti in cui ci limiteremo ad osservare fotogrammi con annesso voice over in giapponese/inglese, che ci porteranno via minuti su minuti. Il tutto si traduce in una manciata risicata di momenti puramente giocabili, almeno per quanto concerne la main quest, al punto che nelle circa 15 ore necessarie ad arrivare alla conclusione, un buon 70% lo ho trascorso senza interagire con il pad. Insomma, se avessi voluto vedermi l’anime, mi sarei connesso gratuitamente a CruchyRoll…
Poche ma buone
Come detto in apertura, Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai non si presenta all’appello come un classico Dragon Quest a turni, ma opta per l’ennesima deviazione in salsa puramente action. Nel gioco avremo a disposizione, con l’incedere della sceneggiatura, sino a quattro personaggi giocabili (Dai, Popp, Maam e Hyunckel), dei quali ne potremo controllare direttamente uno, con la possibilità di switchare tra gli altri in qualsia momento. Il combat system è estremamente essenziale, e vedrà l’attacco base legato alla pressione del tasto Quadrato (su PS5, dove ho effettuato la prova), senza però che sia possibile dare vita ad alcun tipo di combo. A movimentare le cose ci pensano, pertanto, le tre skill accessorie che potremo legare ad altri tre pulsanti (Triangolo, Cerchio ed R1), il cui numero sarà destinato ad aumentare nel corso dell’avventura e che potremo potenziare spendendo le risorse ottenute. A completare il quadro ci pensano l’attacco unico speciale di ciascun personaggio (attivabile al riempimento di un apposito indicatore) e l’abilità di supporto, le cui condizioni di utilizzo variano a seconda dell’eroe che controlleremo. Saranno, inoltre, presenti una schivata ed una parata che, se effettuate al momento giusto, ci permetteranno di beneficiare di qualche frame di invulnerabilità. Tutto molto semplice ed essenziale, ma che comunque finisce con il funzionare una volta che saremo scesi sul campo di battaglia, anche se il design dei vari livelli si attesta sul minimo indispensabile per il genere: le missioni si divideranno in semplici schermi in cui dovremo liberarci di tutti i nemici, oppure in boss battle, in cui dovremo sbarazzarci dell’avversario di turno. Sono queste ultime a rappresentare i momenti più divertenti dell’intera esperienza, dato che oltre a godere di una buonissima caratterizzazione, i nemici elite possono contare su moveset assai vari e degni di qualche sforzo in più da parte nostra. Questo inno all’intuitività e all’immediatezza si ritrova anche nella componente di crescita ruolistica di Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai, che al canonico aumento automatico delle statistiche in fase di level up, accompagna la meccanica dei Bond Memories: si tratta di carte ottenibili nel gioco, che rappresentano i momenti chiave della storia e che garantiscono bonus accessori ai personaggi. Ne potremo equipaggiare sino a 6 contemporaneamente, dopo averne sbloccato le slot corrispondenti al raggiungimento di determinati livelli. Anche queste, come le skill attive, potranno essere potenziate per mezzo del Temple of Recollection, una modalità roguelike accessoria che ci permetterà di accumulare risorse e card uniche, tramite una serie di stanze generate in maniera casuale, in cui dovremo come sempre sbarazzarci dei nemici. Si tratta dell’unica feature in grado di garantire un po’ più di ore attive al titolo, ma che comunque non è foriera di una grande varietà di situazioni, dato che si limiterà a proporre boss già affrontati e minion già visti.
Guarda mamma, come l’anime!
E dire che a livello visivo, pur trattandosi di una produzione non certo a budget corposo, Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai è un vero piacere per gli occhi, grazie ad una pulizia generale davvero invidiabile. Vero è che il materiale di partenza non fa parte di quella schiera di manga iper dettagliati, preferendo linee più essenziali e personaggi tutto sommato molto semplici a caratterizzazioni più elaborate, ma il modo in cui il team è riuscito a trasporre in chiave digitali le atmosfere originali può ritenersi assai soddisfacente e fedele: il cel shading utilizzato per dare vita ai vari personaggi offre un colpo d’occhio convincente e gradevole, così come funzionali sono risultati essere gli stage che, per quanto non certo debordanti di dettagli, riescono a fornire un contesto credibile e coerente. Buono anche l’utilizzo delle immagini originali tratte dal manga e dall’anime, che grazie all’ottimo doppiaggio che vede coinvolti i doppiatori originali giapponesi della serie animata, riescono ad andare oltre la loro staticità in quanto a coinvolgimento. Convince anche il fronte puramente sonoro, grazie ad una serie di melodie calzanti e ben contestualizzate. Peccato che sia assente una qualsiasi localizzazione in italiano, limitando il tutto all’inglese.
Pur partendo da una base interessante e ben costruita, Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai non riesce ad andare oltre l’essere un mero e non proprio convincente compitino, il tutto a causa di alcune scelte di design davvero discutibili. Se si può passare sopra il suo interrompersi bruscamente a metà della storia originale, in ottica di futura espansione, discorso differente si deve fare se analizziamo il bilanciamento tra azione e fruizione passiva. La sovrabbondanza di momenti digressivi, capaci di erodere oltre metà del tempo di gioco effettivo (a patto di non trascorrere ore tra le stanze del Temple of Recollection), finisce per rendere l’esperienza quanto mai carente in quanto a coinvolgimento attivo del player, peccato non proprio veniale dato che parliamo di una produzione di stampo action. Il che è un vero dispiacere dato che, per quanto animato da meccaniche assai basilari, quando Dai e compagni scendono in campo il titolo Square Enix dimostra di poter divertire, oltre che di rendere giustizia sul fonte ludico all’opera di Sanjo e Inada. A bocce ferme, Infinity Strash: DRAGON QUEST The Adventure of Dai rappresenta l’ennesimo passo falso di Square Enix che, più che andare a recriminare sulla presenza di esclusive console, farebbe bene a valutare meglio le proprie produzioni minori prima di immetterle sul mercato. Altrimenti è assai difficile che i conti possano tornare alla fine di ogni anno fiscale.