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Recensione Dead Space Remake

di: Simone Cantini

Non sono mai stato un grandissimo fan dei remake, soprattutto se si limitano a ripercorrere in modo pedissequo le orme dell’originale (sì, dico a te The Last of Us), oppure qualora decidano di rimaneggiare alla buona produzioni sin troppo recenti, affatto bisognose di un moderno restyling. Certo, poi possono esistere anche quelle brave eccezioni, capaci di donare nuovo vigore a titoli che hanno più di qualche anno sulle spalle (mi auguro sia questo il caso del prossimo Silent Hill 2), oppure, più semplicemente, di donare una nuova e sicuramente più convincente veste estetica ad una grafica figlia del proprio tempo. È questo il caso del recentissimo Dead Space Remake, che ha visto i ragazzi di Motive tornare a percorrere, assieme al povero Isaak Clarke, i lugubri e letali corridoi metallici della USG Ishimura: saranno riusciti a convincermi della bontà del loro operato?

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L’orizzonte degli eventi

Se amate gli horror e magari non avete vissuto gli ultimi (quasi) 15 anni immersi in un sonno criogenico, sicuramente siete già al corrente degli eventi che hanno portato alla ribalta la figura di Isaak Clarke: Il nostro, un tempo, muto ed improvvisato eroe, aveva mosso i suoi primi passi digitali come semplice ingegnere minerario che, al soldo della Concordance Extraction Corporation, si ritrovava ad attraccare sulla USG Ishimura, una gigantesca nave incaricata dell’estrazione mineraria interplanetaria. Un semplice lavoro di routine, quello che aveva portato l’uomo ed i propri colleghi a rispondere ad una banale chiamata, ma che dopo pochi istanti avrebbe finito per tramutarsi in una spietata lotta per la sopravvivenza. Tra culti deliranti, presenze demoniache ed aberranti esperimenti genetici, il nostro sventurato Isaak finì ben presto intrappolato in un incubo senza fine, braccato da mortali creature e ricordi del proprio passato, in quello che, a quasi 15 anni di distanza dal debutto originario, si configura ancora oggi come uno dei survival horror più azzeccati mai comparsi sul mercato. E che Dead Space Remake omaggia in modo convincente, non stravolgendone affatto la struttura ludica, ancora oggi dannatamente accattivante ed attuale, ma limitandosi a piccoli interventi chirurgici, utili unicamente a rendere ancora più immersivo e convincente il mood generale della produzione che fu Visceral Games. Il tutto a partire dalle ritrovate corde vocali che accompagnano il nostro protagonista, finalmente non più muto oggetto di questo destino di morte ed orrore, ma adesso finalmente attore capace di assumere un rinnovato spessore recitativo, pur non andando così a snaturare la conosciuta evoluzione della sceneggiatura, ancora oggi non certo scevra dei cliché comunque apprezzati all’epoca, ma non certo memorabile in tutte le sue sfaccettature. E che tanto deve ad una pellicola di culto (che ho adorato alla follia a suo tempo) come Event Horizon, capace di rappresentare la vetta della cinematografia di Paul W. S. Anderson.

Ishimura dolce Ishimura

Con Dead Space Remake, i ragazzi di Motive hanno scelto saggiamente di operare migliorie a tratti impercettibili, in quanto ben amalgamate nel flow del gioco originale. In primis spicca la nuova costruzione della USG Ishimura, non più suddivisa in veri e propri compartimenti stagni, non connessi tra loro, situazione che obbligava il giocatore a ricorrere gioco forza alla monorotaia per spostarsi nel corso dell’avventura. Adesso una tale meccanica risulta decisamente più ammorbidita, dato il modo in cui la mappa di gioco dialoga in maniera continua, lasciando ogni zona esplorabile liberamente (e senza caricamenti) proprio in virtù di questa nuova modalità di avanzamento, strutturata all’interno di un unico, corposo ambiente. Questo elemento rende ancora più stimolante l’inevitabile bactracking reso necessario dalle esigenze di progressione, che però adesso si accompagna ad inedite, piccole subquest opzionali, utili per approfondire in minima parte la lore, ma anche per rimpolpare ulteriormente l’equipaggiamento di Isaak. Un espediente non certo invasivo, ma utile a tutti coloro che amano esplorare ogni minimo anfratto della letale Ishimura. Laddove Motive si è dimostrata ulteriormente rispettosa del lavoro originale, è nei confronti del gameplay della produzione, rimasto fortunatamente inalterato e, quindi, caratterizzato da quella apprezzabile pesantezza sperimentata in occasione del debutto su PS360. Un survival horror compassato e caratterizzato da un ritmo eccellente, in cui momenti sicuramente più dilatati e “tranquilli” vengono alternati da serrati combattimenti con le letali creature figlie del Marchio, in cui la celebre meccanica di smembramento rappresenta ancora oggi il focus principale. Sebbene le risorse a bordo del vascello non manchino, difatti, il gioco ci spinge ancora una volta a sfruttare il corposo equipaggiamento di Isaak in modo intelligente, puntando ad amputare gli arti delle minacce (quando ovviamente possibile), per avere rapidamente la meglio. Un’idea che esce ancor più corroborata dal rinnovato comparto estetico, capace di garantire un maggiore realismo alle varie mutilazioni, con conseguente appagamento di noi sadici giocatori. Tornano anche le sessioni in assenza di gravità, fortunatamente riviste nei controlli, così da garantire una giocabilità sicuramente maggiore rispetto a quella che ricordavamo: sicuramente un intervento azzeccato.

Migliorare il passato

Essendo trascorse 2 generazioni di hardware sin da quando Dead Space (non Remake) fece la sua comparsa sul mercato, non stupisce come sia il rinnovato comparto estetico a rappresentare l’elemento più caratterizzante del lavoro fatto da Motive. Bastano solo pochi istanti, difatti, per accorgersi dell’evidente boost estetico, capace di mettere in scena un mondo di gioco estremamente più curato e dettagliato, in grado di esaltare l’incedere claustrofobico che ricordavamo grazie anche ad un più incisivo uso dell’illuminazione ambientale. Modellazione e texture sono avanti anni luce rispetto a quanto visto nel lontano 2008, così come ancora più fluide ed amalgamate risultano le animazioni di Isaak e compagnia aberrante, sebbene non tutto sia oro quel che luccica. Nonostante l’assoluta bontà del restyling subito, difatti, un esame attento non può che evidenziare una certa sporcizia nelle varie superfici, non certo in grado di rappresentare lo stato dell’arte che sarebbe lecito riscontrare su PS5 e Series X. A mitigare tale sensazione, comunque, ci pensa la direzione artistica generale che, proprio in virtù dell’alternanza luce/ombra che permea il tutto, riesce a nascondere in modo tutto sommato efficace simili magagne (per quanto marginali, ci tengo a ribadire). Discorso analogo può essere fatto per le prestazioni del motore di gioco, che soprattutto in modalità qualità ed in presenza di VRR, causa qualche evidente perdita di frame, rispetto al target dei 30. Nessun problema, invece, per quanto concerne il settaggio prestazioni, grazie anche al ritmo di gioco, decisamente lontano dalla frenesia più spinta. Ottimo, oggi come allora, l’audio multicanale, in grado di avvolgere il giocatore all’interno di un mondo fatto di urla e gemiti, crepitii e rumori improvvisi, e a cui si accompagna un voice over nostrano finalmente degno di questo nome, lontano come è dagli orrori recitativi visti nell’originale.

Tutto molto bello e convincente, a leggere sino a qua, ma allora perchè in calce non svetta un bel perfect score? Sebbene sia innegabile l’impegno profuso nel realizzare Dead Space Remake, l’aspetto tecnico non esente da difetti e, soprattutto, il prezzo di commercializzazione non certo user frendly, ritengo debbano essere aspetti da non sottovalutare. Soprattutto sul fronte monetario, sono da sempre assai intransigente quando si parla di remake, dati gli sforzi produttivi non esattamente equiparabili a quelli di una produzione nata dal nulla. Proprio per questo ritengo il prezzo pieno un elemento da tenere in estrema considerazione, soprattutto per coloro che hanno già giocato in origine la prima avventura di Isaak. Unite il tutto ad un comparto tecnico che, per quanto sicuramente convincente, non lesina qualche piccola scivolone prestazionale, ed ecco che la promozione con il massimo dei voti rimane leggermente distante. Al netto di queste critiche, comunque, ci troviamo al cospetto di un lavoro lodevole, che deve comunque i propri riconoscimenti ad una base di partenza ancora oggi eccellente sotto tutti i punti di vista, sia ludici che di puro design. Peccato che in questa sede, mi senta più in dovere di giudicare l’esito dell’opera di ristrutturazione, sicuramente di alto livello, ma non priva di qualche sbavatura.