Archivio Recensioni
di Daniele "SteelTurtle" Mancuso
E’ un po’ troppo facile pensare di liquidare Batman Arkham Origins – Blackgate come un dimenticabile spin-off per macchine portatili di una saga famosa; né sarebbe altrettanto giusto pensare ad esso come una semplice operazione commerciale di appoggio al capitolo Origins appena pubblicato per home console. Blackgate è molto, ma molto di più che questo...
Quasi subito dopo aver iniziato a giocare a Malicious Rebirth, mi sono ricordato di una intervista concessa ormai più di un anno or sono dal Direttore dei Sony
Japan Studios, Gavin Moore, ad un noto portale internazionale di videogiochi. Parlando della peculiarità tutta giapponese di riuscire a creare prodotti che -dal punto di vista dei risvolti stilistici e di gameplay- risultino talvolta alieni alla sensibilità del giocatore occidentale, Moore affermava senza mezzi termini che “il Giappone è l’unico posto al mondo dove gli sviluppatori abbiano abbastanza palle per sfidare tutte le convenzioni e gli standard tipici che ci si aspettino da un videogame per le masse”. Ovvero che, indipendentemente dal risultato finale, c’è qualcosa di unico nel modo in cui in Giappone ci si approccia alla creazione di prodotti videoludici, qualcosa che non è possibile trovare altrove.
Se già non riteneste strano che il nome del gioco di cui sto per parlarvi ha come protagonisti dei “Ninja Atomici” (e Dio solo sa che cosa siano dei guerrieri esperti in arti marziali impestati di uranio), potreste pensare che è ancora più assurdo che in Atomic Ninjas per PS Vita e PS3 i personaggi principali non siano effettivamente in grado di uccidere nessun avversario.Dei Ninja. Atomici. E abbastanza imbranati. Particolare, vero?
Quando giochi per la prima volta a Lone Survivor, ti chiedi se per caso il suo autore Jasper Byrne non abbia architettato l’intero progetto solo per prenderti in giro, mettendoti di fronte a delle disturbanti e criptiche situazioni che da un lato generano il dubbio di essere di fronte ad una puntata interattiva e in “pixelloso” 2D del vecchio Twin Peaks, dall’altra incutono quella fastidiosa e claustrofobica sensazione di “mio dio e adesso cosa succede?” trasmessa tipicamente dei migliori thriller psicologici della letteratura o della cinematografia.
Se dopo una ventina di minuti che avete iniziato a giocare a Dragon’s Crown qualcuno vi chiedesse a bruciapelo: “che genere di videogame è questo?”, sarebbe forte la tentazione di liquidarlo con la risposta più semplice e apparentemente intuitiva, e cioè: “è un clone dei due cari vecchi hack’n slash di Capcom, Dungeons’n Dragons: Shadow over Mystara e il suo sequel Tower of Doom, con una splendida scenografia costituita di personaggi e ambientazioni realizzati in tecniche olio e pastello, e interamente in 2D”.