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Recensione Dragon’s Crown

Se dopo una ventina di minuti che avete iniziato a giocare a Dragon’s Crown qualcuno vi chiedesse a bruciapelo: “che genere di videogame è questo?”, sarebbe forte la tentazione di liquidarlo con la risposta più semplice e apparentemente intuitiva, e cioè: “è un clone dei due cari vecchi hack’n slash di CapcomDungeons’n Dragons: Shadow over Mystara e il suo sequel Tower of Doom, con una splendida scenografia costituita di personaggi e ambientazioni realizzati in tecniche olio e pastello, e interamente in 2D”.

di: Daniele "SteelTurtle" Mancuso

Se dopo una ventina di minuti che avete iniziato a giocare a Dragon’s Crown qualcuno vi chiedesse a bruciapelo: “che genere di videogame è questo?”, sarebbe forte la tentazione di liquidarlo con la risposta più semplice e apparentemente intuitiva, e cioè: “è un clone dei due cari vecchi hack’n slash di CapcomDungeons’n Dragons: Shadow over Mystara e il suo sequel Tower of Doom, con una splendida scenografia costituita di personaggi e ambientazioni realizzati in tecniche olio e pastello, e interamente in 2D”.
Facile, vero? Un po’ troppo direi, perché c’è molto, ma molto di più da dire sull’ultimo lavoro dei virtuosi Vanillaware, il team giapponese già ideatore di indimenticabili capolavori di genere come Oboro Muramasa e prima ancora Odin Sphere.
E’ da tanto tempo che si parla di Dragon’s Crown, e d’altronde si può dire con certezza -dopo averlo attentamente provato- che la qualità del risultato finale del lavoro degli sviluppatori rende giustizia ai quasi due anni e mezzo di attesa del gioco. A voler essere precisi il concept iniziale di questo action-RPG bidimensionale risale a moltissimo tempo fa, e i due arcade di Capcom sopracitati non sono tirati in ballo a caso. George Kamitami, il fondatore dei Vanillaware, è stato anche uno degli sviluppatori dei due capitoli di Dungeons’n Dragons, e per sua stessa ammissione Dragon’s Crown non sarebbe altro che una sorta di rivisitazione del mondo fantasy di quei giochi, il cui gameplay è però caratterizzato da una struttura tattica e gestionale molto più complessa e articolata degli originali. Il gioco, costato circa un milione di euro, è ad oggi il progetto più ambizioso mai intrapreso dai Vanillaware e mirato –nelle parole dei suoi ideatori- a creare un nuovo punto di riferimento per una tipologia di nicchia come i Brawler bidimensionali, genere che in questo periodo sta vivendo una sorta di seconda giovinezza.
Le premesse narrative di Dragon’s Crown non si discostano affatto dagli standard di altri milioni di RPG: si dice che, nelle Terre di Hydeland, una Lega di misteriosi e malvagi adepti di una antica Setta sia alla ricerca di un leggendario tesoro conosciuto come “La Corona del Drago”, tesoro che garantirebbe uno straordinario e inarrestabile potere a coloro che ne entrino in possesso. Ce n’è abbastanza, insomma, per convincere i legittimi Reggenti del Regno ad aver paura di una possibilità simile e a richiedere a tutti gli avventurieri e i mercenari disponibili sulla piazza di partire alla ricerca del Tesoro per impossessarsene prima che lo facciano le persone sbagliate, promettendo in cambio di tale servigio gloria e denari.

Cappa, Spada o Palle di Fuoco?

E’ proprio uno di questi guerrieri che il giocatore potrà impersonare, scegliendo all’inizio della storia di creare un personaggio a scelta tra sei differenti classi. Sarete forse un possente Nano, capace di maneggiare pesanti asce a una o due mani o anche afferrare e scagliare violentemente gli avversari sul campo di battaglia? O un’Elfa Arciere, che a dispetto dell’impossibilità di fronteggiare efficacemente i nemici nel corpo a corpo, è abilissima nel maneggiare armi a lungo raggio come balestre e archi magici? Magari potreste preferire il Guerriero, che oltre a possedere una serie ben bilanciata di attacchi è anche in grado di levare all’occorrenza uno scudo per parare i fendenti avversari o addirittura di attirare volontariamente l’attenzione dei mostri su di sé per salvare un alleato in difficoltà… O la prorompente Amazzone, che oltre ad essere in grado di maneggiare armamenti estremamente letali può anche entrare in una sorta di “modalità Berserk”, che moltiplica di fatto il danno inflitto ai nemici in maniera proporzionale ai colpi andati a segno in un determinato intervallo di tempo.
In alternativa, se avete sempre sognato di diventare dei provetti Harry Potter, potreste decidere di affrontare Dragon’s Crown da Stregoni o da Maghi. Benché all’apparenza queste due classi si somiglino molto in termini di peculiarità e statistiche di base, esse si discostano sostanzialmente rispetto alla tipologia di incantesimi utilizzabili, essendo la Stregona specializzata in magie di supporto e di potenziamento delle abilità, laddove invece il mago è decisamente più dotato nel numero di tecniche di attacco magico e di modifiche negative di status degli avversari.
Non tutti i personaggi di Dragon’s Crown sono adatti al giocatore principiante, ed anzi è il gioco stesso ad indicarvi fin dal principio che alcune classi sono più indicate di altre per coloro che non vogliano sudare le sette camicie per poter giungere fino alla fine dell’avventura. In questo sta comunque uno dei più grandi punti di forza della produzione: esiste una tangibile differenza di bilanciamento delle abilità tra le varie tipologie di personaggi, ed è certo che dopo aver concluso la campagna per il giocatore singolo con uno dei sei guerrieri a disposizione (approssimativamente in una quindicina di ore) avrete ben più di un valido motivo di ricominciare Dragon’s Crown con un nuovo personaggio, se non altro per mettere nuovamente alla prova la vostra bravura utilizzando tecniche di combattimento o evasione che vanno sostanzialmente modellate attorno ai pregi e i difetti del vostro protagonista di turno.
Non solo, in Dragon’s Crown è implementato un interessante sistema multiplayer –sia in rete che offline- il quale permetterà di inoltrarvi per i pericolosissimi dungeon del Regno di Hydeland, eventualmente in compagnia di fino a 3 altri giocatori trovati sul PSN. Ovviamente è possibile partire all’avventura con un party variabile da 1 a 4 personaggi anche nel caso in cui stiate giocando da soli; in tale circostanza sarà l’intelligenza artificiale del gioco a prendersi cura del controllo dei vostri compagni.

Dungeon Riders

Come in ogni RPG che si rispetti, mettere insieme un gruppo di guerrieri dalle competenze tra loro complementari e dai pregi e difetti opportunamente bilanciati è la chiave per uscire vivi da ogni stage. All’inizio della storia il vostro protagonista sarà solo, e per poter assoldare uno o più compagni di avventure tra le file del party sarà necessario dapprima recuperare le loro spoglie disseminate all’interno dei livelli di gioco, per poi recarsi all’interno di una chiesa e pagare oro sonante per la resurrezione tra i vivi del malcapitato o malcapitata. I resti dei guerrieri che troverete sparsi per le numerose ambientazioni del gioco non sono infatti altro che gli ossari di personaggi controllati da veri giocatori in rete e che proprio in determinati punti dell’avventura hanno avuto la sfortuna di morire… Come dite, sembra quasi un’ispirazione tratta da Dark Souls? Eh, beh, d’altronde i migliori fanno sempre scuola…
I livelli di gioco sono disseminati di segreti, stanze nascoste e forzieri, e colpisce molto positivamente la riuscita illusione di spazialità e di molteplicità di scelte che tale level-design riesce ad offrire. Di fatto, la vera anima del gameplay di Dragon’s Crownnon è tanto quella interamente riconducibile ad un moderno Golden Axe, ma piuttosto un qualcosa di più affine ad un dignitosissimo gioco di ruolo interamente votato ai familiari meccanismi di incremento progressivo del livello di esperienza e di capacità dei personaggi del vostro party, ma soprattutto improntato al “looting” più sfrenato. La quantità di oggetti collezionabili presenti nei vari stage è non per nulla valutabile in diverse centinaia, alcuni dei quali estremamente rari e rinvenibili solo a patto di riuscire prima a completare difficili side-quests. Tali missioni facoltative e parallele alla modalità storia (accettabili presso la locale gilda cittadina) costituiscono sia un incentivo per il fondamentale level-up dei vostri guerrieri, nonché rappresentano un gradevole excursus all’interno delle vicende proprie del folclore di gioco, spiegando meglio il contesto all’interno del quale prende vita l’intera storia di Dragon’s Crown e dando più solidità alla narrazione di base.
Proprio però in termini di dinamiche di gioco, è giusto citare quelli che a mio modo di vedere risultano i difetti principali della produzione. Uno di questi deriva indirettamente dal fatto che è pressoché obbligatorio perlustrare i vari dungeon -popolati di mostri progressivamente più ostici e resistenti- con l’aiuto della maggiore quantità di “manodopera” possibile. Ciò però significa anche che, nelle sequenze di combattimento più impegnative, in mezzo a rocambolesche animazioni di magie, palle di fuoco, e giganteschi opponenti, è piuttosto facile non riuscire più a capire chi stia colpendo cosa e soprattutto dove sia il vostro personaggio principale in mezzo all’ambaradan del campo di battaglia. Tale circostanza deriva implicitamente dalle notevoli dimensioni dei vari protagonisti in rapporto alla dimensione dello schermo di gioco, e più di qualche volta può risultare non esattamente piacevole ritrovarsi a fare del vero e proprio “button mashing” mentre si cerca di capire come recuperare il controllo della situazione.
Va poi notato come, sempre e soltanto nelle situazioni di gioco con un gran numero di personaggi sullo schermo, sono presenti percettibili perdite di fluidità nel frame-rate. Nulla di terribile, ovvio, ma tali occorrenze si aggiungono talvolta al già notevole caos del combattimento, non aiutando certo il giocatore.

Il legittimo Pretendente alla Corona del Drago

Piccole note di demerito a parte, non basterebbero tante altre parole per parlare bene del nuovo lavoro dei Vanillaware. Si può menzionare lo stupendo artwork del gioco, che opta per la rappresentazione di figure antropomorfe volutamente sproporzionate ma a loro modo stilisticamente uniche, o anche lodare le riuscitissime ambientazioni fantasy caratterizzate da vivide e gradevoli contrasti cromatici, i quali risultano ancora più d’impatto sullo schermo OLED di Playstation Vita.
Doverosa inoltre una nota di merito alla coinvolgente colonna sonora del maestro Hitoshi Sakimoto e alla voce narrante che scandisce nel corso dei vari stage gli sviluppi della storia, trasmettendo al giocatore un maggiore coinvolgimento emotivo.
Vista la qualità del prodotto, Dragon’s Crown è in buona sostanza uno dei titoli che non può mancare nella ludoteca di chi possegga una PS Vita (o una PS3, visto che il gioco è disponibile anche per la macchina casalinga di Sony), e ciò è ancor più vero se oltre ad amare gli action-RPG siate anche dei cultori del classico genere hack’n slash.
Se vi ritrovate in tali prerequisiti, questo è il gioco che fa per voi.