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Recensione Lone Survivor

Quando giochi per la prima volta a Lone Survivor, ti chiedi se per caso il suo autore Jasper Byrne non abbia architettato l’intero progetto solo per prenderti in giro, mettendoti di fronte a delle disturbanti e criptiche situazioni che da un lato generano il dubbio di essere di fronte ad una puntata interattiva e in “pixelloso” 2D del vecchio Twin Peaks, dall’altra incutono quella fastidiosa e claustrofobica sensazione di “mio dio e adesso cosa succede?” trasmessa tipicamente dei migliori thriller psicologici della letteratura o della cinematografia.

di: Daniele "SteelTurtle" Mancuso

Quando giochi per la prima volta a Lone Survivor, ti chiedi se per caso il suo autore Jasper Byrne non abbia architettato l’intero progetto solo per prenderti in giro, mettendoti di fronte a delle disturbanti e criptiche situazioni che da un lato generano il dubbio di essere di fronte ad una puntata interattiva e in “pixelloso” 2D del vecchio Twin Peaks, dall’altra incutono quella fastidiosa e claustrofobica sensazione di “mio dio e adesso cosa succede?” trasmessa tipicamente dei migliori thriller psicologici della letteratura o della cinematografia.
Il biglietto da visita di Lone Survivor, il suo incipit, suggerisce non a caso e in maniera lampante con che tipo di gioco si avrà a che fare da lì alle successive 3 o 4 ore. Un uomo senza nome e con indosso una maschera chirurgica, (che apprendiamo essere uno dei pochissimi sopravvissuti del pianeta ad una non meglio precisata epidemia responsabile della trasformazione del genere umano in uno sterminato branco di mostri), cammina lungo un corridoio il cui sfondo è un sipario blu. L’ambiente circostante è completamente buio, e l’uomo procede innanzi illuminato fievolmente solo dall’aura luminosa di una piccola torcia portatile.
D’improvviso egli si ritrova di fronte un tavolo su cui è posata una tazza di caffè, e accanto al tavolo c’è un uomo –con una scatola di cartone a nasconderne la testa- che si rifiuta di dire alcunché.
A quel punto al giocatore, già dubbioso di che razza di relazione ci possa essere tra un corridoio che sembra il backstage di un teatro, un tizio che pare vestito da operatore sanitario, un uomo-scatolone e un doppio espresso, viene chiesto di scegliere cosa fare. Se si decide di prendere un caffè, lo schermo improvvisamente comincia ad offuscarsi coperto da un suono di interferenza elettrica, e ci si ritrova di nuovo all’inizio del corridoio.
Posate un attimo la PS Vita, andate in cucina e preparatevi un doppio espresso; ne avrete bisogno di caffeina e sangue freddo per sopravvivere nello stranissimo mondo bidimensionale di Lone Survivor!

La lunga notte

Il protagonista senza nome di Lone Survivor, come scoprirete prestissimo dopo l’inizio del gioco, soffre di allucinazioni che lo riportano costantemente a rivivere presunti Flashback o situazioni di dejavu all’interno della storia. Dal punto di vista del gameplay, ciò possiede l’immediata utilità di suggerire al giocatore cosa fare e dove andare, in aggiunta al fatto che è comunque possibile richiamare in qualunque momento una mappa che evidenzia i punti di interesse da raggiungere per poter proseguire.
Nel mondo bidimensionale, angosciante e privo di una specifica identità scenografica di Lone Survivor, esiste un’unica forma di conforto: la piccola stanza dotata di letto e frigorifero che ospita dal principio il protagonista e che funziona da “hub” all’interno del quale è possibile salvare la partita, dormire e curarsi dalle ferite provocate negli scontri con gli orribili abomini che vagano per il mondo esterno.
Più che di scontri in realtà, si dovrebbe parlare di continui tentativi di fuga, e a buona ragione: Lone Survivor attinge a piene mani nella cultura e nelle meccaniche del survival horror, mettendo perennemente il giocatore nella situazione di netto svantaggio tattico nei confronti dei nemici, e per tale ragione suggerendo che nascondersi in anfratti attendendo che i mutanti siano passati oltre, o ancora meglio darsela a gambe levate, siano di gran lunga le soluzioni più adatte.
Il fatto è che, sì, troverete molto presto una pistola per difendervi dai mostri, ma la costante scarsità di munizioni e la difficoltà nel trovare rifornimenti esplorando l’ambiente di gioco vi metteranno subito di fronte alla necessità di usare i vostri proiettili con estrema parsimonia. Per non parlare del vostro altro strumento di sopravvivenza, ovvero la torcia elettrica, le cui batterie si scaricano rapidamente e che il cui uso va perciò dosato… Più facile a dirsi che a farsi, a dire il vero, ma è proprio in tali circostanze che Lone Survivor da il meglio di sé in termini di atmosfere e di “thrilling”: lo capirete quando d’improvviso la torcia si spegnerà nel mezzo dell’esplorazione, lasciandovi in balia delle tenebre e della consapevolezza che ad ogni passo verso qualunque direzione vi si potrebbe parare davanti qualche mostro.
Ah, e non dimenticatevi di raccogliere il cibo che trovate lungo la strada, esplorando stanze e corridoi dello stabile nel quale siete intrappolati. Nel gioco è infatti necessario sia sottrarsi allo stato di follia in cui il protagonista può cadere qualora vi scordiate di ritornare regolarmente nella “hub room” per riposare, quanto per fame e disidratazione per mancanza di pasti.
Se poi neppure mangiare e dormire dovessero essere sufficienti a raccogliere il coraggio per continuare a cercare gli altri sopravvissuti – ammesso che ce ne siano veramente- potreste decidere di mollare tutto e scappare da soli dalla cittadina maledetta nella quale vi siete risvegliati. Questo perché in Lone Survivor il giocatore può optare più o meno liberamente sia come condurre la propria lotta alla sopravvivenza contro i nemici (affrontandoli in maniera diretta o meno) sia pensare “egoisticamente” alla propria salvezza anziché fornire aiuto agli (strani) personaggi umani che si incontreranno.

Alone in The Dark

E’ lodevole la solidità della componente esplorativa di Lone Survivor, soprattutto considerata la sua natura bidimensionale che in teoria non permette in modo così facile di ricreare l’illusione di ambientazioni sviluppate spazialmente e ricche di situazioni con le quali interagire. I progressi del giocatore nell’esplorazione generano automaticamente nuove note sulla mappa, le quali spesso indicano specifici oggetti che è necessario raccogliere per poter sbloccare nuove situazioni della storia. Qualora non siate in grado di progredire velocemente nella vostra ricerca, vi accorgerete che diventerà sempre più difficile far fronte alla scarsità di risorse a vostra disposizione e al sempre minor lasso di tempo che vi separa da una triste fine. Ragionare in fretta è fondamentale per uscire vivi dall’incubo di Lone Survivor.
Girovagando per stanze e corridoi troverete talvolta degli specchi; se vi avvicinate per guardarli attentamente, il personaggio principale si ritroverà “teletrasportato” di fronte ad un altro specchio simile disseminato altrove nella mappa. Non voglio svelare troppo, ma tale utile meccanismo funge da una parte come facilitatore dell’esplorazione, essendo il “backtracking” una soluzione molto ricorrente nelle dinamiche di gioco, dall’altra getta in maniera credibile ed efficace una angusta luce sulle condizioni psichiche in continuo peggioramento del protagonista. Il dubbio che vi assalirà dopo neanche un’ora di gioco è proprio quello relativo a quante delle cose che state facendo e delle situazioni che si susseguono siano “reali”, e quante invece siano riconducibili alle allucinazioni e al degenerato stato mentale del vostro uomo con la maschera.

Un’altra perla nel catalogo di Playstation Vita

Lone Survivor giunge su PS Vita (e PS3) dopo più di un anno dal suo esordio sulla scena indie per PC, e dopo essere stato unanimemente riconosciuto come un piccolo capolavoro del genere (ormai di nicchia) del survival horror “puro”. Se anche non bastasse il dato delle quasi 800 mila copie distribuite fino ad oggi e delle numerose recensioni che hanno premiato questo terzo lavoro del giovane talento Jasper Byrne e dei suoi Superflat Games, non posso personalmente che raccomandare tale gioco a chiunque sia interessato ad un’esperienza videoludica breve ma molto intensa.
Commettiamo spesso, come giocatori ed anche come recensori, l’errore di credere che il prezzo di un prodotto debba essere giustificato in maniera direttamente proporzionale alla sua durata; se una decina di euro vi sembrano troppi per sperimentare le circa 4 ore di gioco di Lone Survivor, siete liberissimi di passare oltre. Sappiate però che vi state in tal modo privando di giocare ad uno dei più interessanti titoli della scena indie degli ultimi anni.