Recensione Worldless
di: Simone CantiniUno degli aspetti più belli dei videogiochi risiede nella loro essenzialità, nel riuscire a creare un mondo sconfinato partendo solo da pochi e stilizzati elementi. Dai punti di Space Wars, passando per le barrette di Pong ed i primi sprite di Pac-Man e Super Mario, sino a giungere al fotorealismo dei giorni nostri, il medium è riuscito a raccontare ogni tipo di espressione grafica, sempre con un fascino senza uguali. Sono questi i motivi che mi hanno spinto ad avvicinarmi con curiosità a Worldless, peculiare metroidvania in grado di tratteggiare con una manciata di elementi un universo affascinante e carismatico, non senza rinunciare a coniugare il tutto con alcune intuizioni di gameplay sicuramente benvenute. Peccato solo per quella difficoltà schizofrenica, capace di rovinare in parte questo affresco minimalista.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Di punti e colori
Essenzialità pare essere la parola d’ordine di Worldless, capace di mettere in scena una criptica storia di nascita e guerra in pochissimi istanti. Giusto un paio di righe di testo, coadiuvate da una semplice animazione, sono sufficienti a gettare le fondamenta di un mondo in conflitto, in cui entità arancio ed azzurre sembrano essere destinate a lottare senza sosta tra di loro. E tra queste troviamo la nostra cerulea eroina, una figura resa semplicemente per mezzo di cinque punti luminosi, in grado però di trasmettere tutta la fisicità e la grazia di questa evanescente entità. E poco ci è dato sapere dei motivi che la spingeranno a muovere i primi passi in questo mondo fantastico, in cerca della propria nemesi che, da un certo punto della storia, porterà ad uno stravolgimento e ad un ampliamento del gameplay, in un modo che ricorda in parte l’immortale Symphony of the Night.
E così ci muoviamo all’interno di questo labirintico schema di biomi, in cerca di risposte che forse neppure ci interessa sapere, mossi semplicemente dal piacere della scoperta e dal fascino che permea Worldless. Peccato che orientarsi nelle aree di gioco, complesse ed ampie come vuole la tradizione dei metroidvania, sia reso inutilmente ostico da una mappa a tratti incomprensibile, situazione che rende farraginoso l’inevitabile backtracking che simili produzioni richiedono. Rivedibile anche il set di tutorial presenti nel gioco, assai stringati e talvolta non in grado di puntualizzare a dovere meccaniche di gioco cruciali.
Ad ognuno il suo
Simili difetti rappresentano un peccato, perché quando Worldless decide di mettere al centro della scena la sua natura ludica, le soddisfazioni ed il divertimento la fanno da padrone. Se la natura di metroidvania può vantare su di un level design complesso al punto giusto, oltre che dotato di architetture sempre convincenti, le novità più spiazzanti si intravedono quando entrano in campo i fisiologici combattimenti. Sposando in parte il mood del mai (da me) dimenticato Child of Light, non appena si rende necessario menare le mani, il titolo sviluppato da Noname Studios si trasforma in una sorta di jrpg a turni, in cui avremo la possibilità di alternare attacchi magici e fisici durante la nostra fase attiva, avendo accesso anche ad un vero e proprio moveset ottenibile tramite un corposo skill tree. Di volta in volta dovremo selezionare la tipologia di colpi a cui è sensibile la minaccia, così da poter poco alla volta riempire una sorta di indicatore che, al raggiungimento di una certa percentuale, ci permetterà di sconfiggere la minaccia, inserendo una combinazione di tasti da scoprire ogni volta. Farlo consentirà di mettere le mani sul cristallo madre della creatura, che verrà utilizzato per sbloccare le abilità presenti nello skill tree.
Una sorta di morra cinese che influenzerà anche i turni difensivi, in cui dovremo selezionare il tipo di parata corretta a seconda dell’indicatore legato all’attacco nemico. Momenti in cui anche il parry avrà un ruolo cruciale, dato che effettuare assorbimenti perfetti ci permetterà di riflettere parte del danno sull’avversario, oltre a preservare l’efficacia del nostro scudo. Il sistema di combattimento messo in piedi è dinamico e sfaccettato e si sposa con un tasso di difficoltà sempre ben ragionato, per lo meno fino a metà dall’avventura: da un certo punto in poi, difatti, Worldless subisce una brusca ed immotivata impennata della sua curva di approccio, gettandoci addosso scontri obbligatori snervanti e logoranti, con nemici che richiederanno di inanellare sequenze di colpi e parate perfette, il tutto mentre saremo soggetti ad assalti in grado di sconfiggerci con un solo colpo. Si tratta di uno scivolone non da poco, che finisce per azzoppare in modo sensibile la bontà della produzione che, fino a quel momento, si era dimostrata in grado di viaggiare in perfetto equilibrio. Già, perché anche le sezioni platform, in alcuni momenti simili a quelle viste in Ori in quanto a sistema di locomozione, sono piacevolissime e stimolanti al punto giusto, risultando impegnative senza essere frustranti e banali. Speriamo in qualche ritocco in ottica bilanciamento, altrimenti i meno pazienti potrebbero finire per abbandonare anzitempo il tutto.
Il potere dell’essenzialità
È sul fronte estetico/stilistico che Worldless si presenta all’appello senza il timore di essere criticato, grazie alla sua mesa in scena tanto essenziale nei suoi personaggi, quanto evocativa nell’ambientazione generale. La stilizzazione delle figure, impressionanti per come riescano ad essere espressive pur in assenza di corpi ben delineati, si accompagna ad un world building estremamente affascinante, in cui echi del già citato Ori si uniscono a Limbo e Shadow of the Beast. Un universo tanto bello da vedere, quanto piacevolissimo da giocare, al netto dei difetti evidenziati sino ad ora. Lo stesso accompagnamento sonoro contribuisce a rendere ancora più affascinante il tutto, grazie a melodie eteree e dilatate, maledettamente calzanti con le varie situazioni. E poi tutto è localizzato nella nostra a lingua a livello testuale, il che fa sempre piacere, soprattutto quando si tratta di piccole produzioni come questa.
Non nego che Worldless mi abbia fatto maledettamente arrabbiare, dato che in pochi secondi riesce a mandare in parte a gambe all’aria quanto di buono i ragazzi di Noname Studios sono riusciti ad imbastire. L’improvviso e inspiegabile innalzamento della difficoltà che si registra a metà gioco, difatti, finisce per mettere in parte in ombra l’ottimo level design e l’eccellente ed originale combat system, che fino ad allora erano riusciti ad accompagnare con efficacia il divertimento del giocatore. Al netto di ciò, però, Worldless rappresenta uno splendido metroidvania, in cui una progressione stimolante e mai banale si accompagna ad una direzione artistica di assoluto spesso, capace di rapire dopo una misera manciata di secondi. Un titolo che mi sento di consigliare senza riserve a tutti gli amanti del genere, che dovranno però scendere a compromessi con le pecche di cui sopra.