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Recensione Wild Hearts

di: Donato Marchisiello

Approcciando alla recensione di Wild Hearts, titolo sviluppato da Omega Force (Toukiden, Dinasty Warriors) ed edito da EA Originals e Koei Tecmo, tutti gli appassionati del settore si saranno, anche indirettamente o “inconsciamente”, posti un quesito: il trono (indiscusso) di Monster Hunter è giunto al termine? Una domanda la cui risposta è difficile per svariati motivi. Innanzitutto perché, storicamente, il gioco Koei Tecmo è probabilmente il primo, reale “sfidante” in due decadi, proponendo un sistema di gioco piuttosto speculare ma con dei “twist” in grado di differenziarlo sotto certi aspetti. E ancora, una domanda cruciale anche e soprattutto per il tipo di sfida che Wild Hearts, silentemente, pone sul tavolo: un attacco diretto al trono, non solo per una certa ed evidente specularità concettuale con la leggenda targata Capcom, ma anche per il tentativo altrettanto chiaro di “alterare”, nell’immaginario comune, il significato ormai assodato di “hunting game”. Una domanda, dicevamo, complessa e a cui cercheremo, in questa sede, di rispondere raccontando cos’è Wild Hearts. Anche perché, come accade spesso, un titolo seminale come quello targato Capcom, in grado di creare un genere ed ispirarne tanti altri, non è facile da spodestare: Wild Hearts riuscirà almeno a mettere in discussione il padre degli hunting game?

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Wild Hearts è un gioco d’azione in terza persona, con svariati elementi ruolistici ed un focus incentrato sui combattimenti, “pesanti” e tattici, contro animali giganteschi e dai poteri devastanti. Così come già anticipato nella breve introduzione, il titolo di Koei Tecmo assorbe la lezione impartita venti anni fa da Monster Hunter e la fa sua, proponendo una propria prospettiva sul genere seppur poggiandosi ampiamente sui dettami che da decadi il prodotto Capcom di ben saldato al “terreno”. I punti di contatto con quest’ultimo infatti sono notevoli, a partire da una narrativa presente ma piuttosto banalotta e scontata (tra le altre cose, molto simile alla storyline di Monster Hunter 3 Ultimate, uscito nel 2013). Nel gioco, impersoneremo un imprecisato viandante, talentuoso guerriero, che suo malgrado si trova invischiato nella lotta per la sopravvivenza della stirpe umana in atto ad Azuma, terra immaginaria visibilmente ispirata al Giappone feudale. Il cuore pulsante dell’intera sequenza narrativa sarà, però, la natura stessa, sottoforma di enormi e agguerriti mostri che, come anticipato, sciamano le terre di Azuma devastando ed uccidendo. La linea narrativa ci porterà a dialogare con diversi personaggi, quasi tutti piuttosto piatti e sostanzialmente fondati sui classici archetipi manga, addirittura destreggiandoci, ogni tanto, con risposte multiple che, però, ci porteranno sempre alla stessa “rigida” conclusione.

Nonostante, come già sottolineato, una certa scontatezza narrativa generale, Wild Hearts cerca (riuscendosi solo parzialmente), di creare un legame concettuale a doppio filo (è il caso di dirlo!) tra l’aggressività dei mostri, nel gioco chiamati Kemono, e il ruolo dell’uomo nell’ecosistema fittizio di Azuma. Cacciare e “aggredire”, sia per l’uomo che per i kemono, è una irreversibile necessità e lo scontro tra le due forze è intriso di una “nipponicissima” tristezza esistenziale che emerge da tanti piccoli colpi di classe, come l’inchino automatico che il nostro protagonista farà non appena “estinto” l’avversario. Una trama lineare e banale negli eventi narrati, dunque, ma che nasconde un intento (un parallelo con la nostra realtà?) più serio e profondo. Senza contare che, a far da sfondo alle vicende narrate, vi è una non meglio precisata nazione sconvolta da anni di guerre fratricide che, in modo più o meno netto, hanno portato diversi personaggi del gioco a trovar rifugio, dopo aver perso tutto, nelle devastate terre di Azuma. Dunque, rispetto al “leggero pericolo” che è un po’ il leitmotiv di Monster Hunter, Wild Hearts propone una visione più cupa e malinconica del tema hunting: un lavoro riuscito solo in parte, ma sicuramente apprezzabile.

Naturalmente, un gioco di caccia “monsterhunterlike” ha al suo centro l’esperienza meccanica in sé legata all’abbattimento degli enormi e bestiali avversari che troveremo innanzi. Concettualmente, Wild Hearts funziona esattamente come il titolo targato Capcom ma, sulla carta, in modo più vicino alla tradizione ruolistica occidentale. Il modus del titolo EA Originals è piuttosto classico: affronteremo missioni di caccia, con al centro l’abbattimento dei kemono, ottenendo da essi materiali preziosi con cui fabbricare del nuovo equipaggiamento. Il gioco ci svelerà molto velocemente una mappa piuttosto vasta, unica e accessibile man mano che si progredirà con la linea narrativa principale. Un unicum spezzettato in differenti biomi con altrettanti differenti risorse ottenibili e mostri “iconici” che li rappresenteranno. Le aree di gioco, piuttosto intricate e ben congegnate, nasconderanno diversi “segreti” , comprendendo aree nascoste e oggetti collezionabili secondari che differenti funzioni. Strutturalmente parlando, Wild Hearts ci darà in pasto missioni principali e secondarie che, però, saranno sempre sostanzialmente legate all’abbattimento di un singolo o più avversari: una ripetitività canonica per il settore che il titolo non riesce, per ovvie ragioni “essenziali”, ad evitare nemmeno “esteticamente”. Conclusa la trama principale, il gioco ci farà accedere a cacce più “complicate”, aventi protagonisti gli stessi, caratteristici avversari ma in forma più coriacea ed aggressiva, al fine di ottenere materiali preziosi e speciali utili per creare il top dell’equipaggiamento. Come tradizione, avremo a disposizione un hub principale, la meravigliosa (ma forse un po’ troppo tentacolare e vasta) città di Minato, che ci consentirà di accedere a tutta una serie di servizi, missioni e “chiacchiere” di varia natura.

Sin qui, nulla di nuovo: ma appena, concretamente, metteremo il naso fuori dalle sicure (ma non troppo) mura di Minato, Wild Hearts spiegherà le sue ali. Il sistema di combattimento parte da una base simile a Monster Hunter, quindi piuttosto pesante, ragionato e fondato sull’impossibilità di interrompere un’azione una volta iniziata, seppur sarà quanto meno possibile modificare in corso d’opera la “direzione” delle combo. Tutto sarà governato dalla stamina, che ci consentirà di correre, schivare e utilizzare al meglio i nostri strumenti di morte. A proposito d’essi, così come in Monster Hunter, anche nel titolo sviluppato da Omega Force avremo a disposizione una serie di armi, una decina in tutto, con cui poter affrontare i titanici avversari. In generale, ognuna d’esse offrirà una strategia d’attacco differente: la katana, ad esempio, sarà piuttosto veloce e ci consentirà un mordi e fuggi continuo, mentre il nodachi (uno spadone) ed il martello, sopperiranno alla loro proverbiale lentezza con danni notevoli. Vi saranno anche armi a distanza, come l’arco ed un cannone, e altre speciali, come il fenomenale bastone karakuri in grado di mutar forma e tipo di attacco continuamente. Una buona varietà, integrata da una certa semplicità di utilizzo (ogni arma avrà poche combo/meccaniche da memorizzare) minata però da un certo sbilanciamento: la katana, ad esempio, sarà probabilmente l’arma più performante nell’ottica danni inferti/mobilità, mentre altre soluzioni saranno più complicate e meno utilizzate (come ad esempio il particolarissimo wagasa, sorta di ombrello con lame, o lo stesso bastone karakuri il cui utilizzo in battaglia, a piena potenza, è davvero complicato). Il cuore meccanico del gioco, però, giace nei karakuri: un po’ hi-tech, un po’ magia, i karakuri sono dei costrutti cruciali per l’abbattimento dei nemici. Essi forniranno un ineguagliabile supporto in battaglia: avremo dei karakuri in grado di creare dei muri resistenti, altri in grado di curarci o di creare martelli giganti o fuochi d’artificio utili a confondere i nemici.

Potremo “evocare” i karakuri accedendo ad un menù rapido attivabile con una combinazione di tasti: in generale, disporremo di alcuni karakuri basici e, combinandoli in varie forme, riusciremo ad evocarne altri di più complessi e potenti. È questo il vero e proprio cuore pulsante di Wild Hearts: le “trappole” aggiungeranno una dimensione suggestiva ai combattimenti, modificando la strategia d’approccio che evaderà (è il caso di dirlo!) dal semplice spam delle combo. Nonostante ciò, il sistema dei karakuri è ancora lontano dalla perfezione: sarà piuttosto facile sbagliare combinazione durante le fasi più concitate della battaglia, anche perché l’evocazione dei karakuri avverrà nella direzione in cui il nostro personaggio punta. Considerata la complessità evocativa di alcune trappole (alcune richiederanno, ad esempio, due fila di karakuri evocati vicini), basterà un piano di appoggio un po’ più irregolare oppure l’attacco non visto di una bestiola “minore”, per spostarci quel tanto che basta da far fallire l’evocazione. Se si considera che, per poter evocare karakuri, avremo necessità di accumulare delle risorse limitate sparse sulla mappa e che, spesso, esse non saranno sempre disponibili in enormi quantità nelle aree di combattimento, ciò porta ad un certo grado di frustrazione, soprattutto negli scontri più ostici dove i karakuri saranno cruciali.

Connesse ai karakuri, Wild Hearts consente anche un certo grado di “personalizzazione” della propria mappa di gioco: oltre alle trappole utili al combattimento, avremo a disposizione anche degli utilissimi costrutti “alternativi” da poter piazzare in giro per la mappa. Ad esempio, potremo creare una tenda che fungerà da teleport, oppure una comoda torre karakuri in grado di “scovare” dove sono posizionati i nemici. La costruzione di questi karakurialternativi” sarà limitata dallo sblocco dei dragon pit, sorta di “stazioni magiche” che dovremo attivare e potenziare. Ogni costrutto statico consumerà delle specifiche statistiche connesse ai dragon pit, quindi non potremo costruire qualsiasi cosa in ogni dove (ad esempio, “spammando” teleport ad ogni angolo). Una limitazione che ci costringe all’utilizzo di tutti i karakuri, per velocizzare i nostri spostamenti nelle intricate e tentacolari mappe di gioco. Ovviamente, co-protagonisti del gioco saranno i kemono: tendenzialmente ben concepiti e disegnati, i nostri temibili avversari ci forniranno un grado di sfida mediamente elevato. Non solamente per la loro buona caratterizzazione relativa ai pattern d’attacco (ogni nemico avrà uno stato “normale” ed uno di “rabbia” così come in Monster Hunter) e alle loro caratteristiche “elementali”, ma anche a causa di alcune “falle” concettuali e tecniche ad essi correlati.

Ad esempio, è fortissima la sensazione che molte delle aree in cui si svolgono i combattimenti, siano probabilmente un po’ piccole e un po’ troppo intricate per ospitare alcuni nemici: capiterà, ad esempio, nelle battute iniziali di affrontare un titanico pseudo-cinghiale al quale, anche a causa di una telecamera lontana dall’essere dinamicamente perfetta, spesso “entreremo all’interno” come “reazione” al trovarsi schiacciati tra la sua enorme mole e i “muri invisibili” che delimitano l’arena. Così come accade in Monster Hunter, i nemici avranno resistenze e debolezze fisiche ed elementali specifiche, così come in base all’area del loro corpo danneggiata ci doneranno differenti materiali da accumulare. Un’altra limitazione tecnica connessa ai combattimenti, è la continua presenza di “muri invisibili” legati ad oggetti “scenici” che i nemici, anche a causa della loro mole mediamente enorme, riusciranno ad “attraversare”: capiterà spesso, ad esempio, d’esser raggiunti da colpi devastanti mentre si è ben al riparo dietro enormi massi o titanici alberi. A coadiuvarci nella caccia, vi saranno delle simpatiche sfere robotiche, chiamate tsukumo, in grado di attaccare, distrarre ed “evocare” fontane curative durante la battaglia: essi potranno esser addirittura potenziati cercando altri tsukumo per la mappa, posizionati in stile “collezionabili“. Aumentando il potere dei nostri simpatici aiutanti sferici, al contempo aumenteremo anche la quantità di risorse ottenibili per l’evocazione dei karakuri in battaglia. A rendere più piacevole la caccia, vi sarà la possibilità di affrontare l’intera campagna di gioco in cooperativo online per un massimo di tre giocatori, anche se nonostante un generale buon funzionamento ed una certa praticità (vi si accederà da comodi portali sulla mappa oppure si potrà creare una stanza dall’accampamento), anche in questa sede vi saranno limiti. Ad esempio, gli “ospiti” di una istanza non potranno interagire con i karakuri “alternativi” pre-impostati dal “proprietario” della partita (probabilmente, una misura anti-griefing). Al contempo, bisognerà procedere di pari passo con le missioni: se non ci si troverà allo stesso, identico punto dell’intreccio narrativo, il titolo non salverà i progressi fatti.

Tecnicamente parlando, Wild Hearts è un’opera artisticamente pregevole e ispirata, ma limitata da un comparto tecnico ben lungi dall’essere perfetto. Il titolo Koei Tecmo, almeno nei suoi primi giorni di “esistenza commerciale”, soffre di svariate problematiche: non solo di carattere estetico, che alterna alti (la caratterizzazione dei modelli poligonali dei personaggi) a bassi piuttosto vistosi (diversi dettagli ambientali copia/incollati, un sistema luci impreciso, un continuo pop-up di texture anche estese come quelle relative agli specchi d’acqua). A questo, si aggiunge un’altra questione, quella probabilmente più incisiva: il frame rate generale di Wild Hearts sarà piuttosto instabile, sia durante i combattimenti, sia durante le fasi esplorative. Nonostante vi sia la possibilità di scegliere tra una modalità performance ed una qualità su Series X, la prima sarà l’unica realmente giocabile al momento poiché la seconda scenderà spesso e volentieri ben al di sotto dei canonici 30 fotogrammi, rendendo aspramente singhiozzante l’esperienza. Detto ciò, anche selezionando la modalità performance l’esperienza di gioco non scorrerà in modo particolarmente fluido. Una situazione che, probabilmente, verrà corretta nel giro di poche patch ma che, al momento, inficia e non poco la generale piacevolezza del gioco. Ultimo ma non meno afflitto da problemi, il comparto audio: nonostante un una buona qualità generale, anch’esso presenterà diverse problematiche, come linee vocali che si sovrappongono oppure tracce “incoerenti” con l’ambiente (come ad esempio il vociare di una folla in un’area completamente vuota).

Wild Hearts 1Wild Hearts è sicuramente un pretendente al trono di Monster Hunter, che però resta ben saldo nelle mani del titolo Capcom. Il titolo frutto della collaborazione tra EA Originals, Koei Tecmo e Omega Force offre una pregevole realizzazione artistica, un sostrato cupo e “doloroso” ed un sistema di combattimento solido e piuttosto originale: una formula valida e divertente, falcidiata da alcuni limiti concettuali e (soprattutto) tecnici ed una certa, accentuata ripetitività meccanica. Siamo certi che, nel giro di poco, il titolo sarà completamente ripulito dalle fallacie tecniche che lo attanagliano, ma alcuni limiti fisici e concettuali resteranno: detto ciò, Wild Hearts è un ottimo esordio per quella che, con il tempo, potrebbe diventare una piena alternativa allo stra-potere di Monster Hunter.