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Recensione The Park

di: Marco Licandro

Funcom riunisce a sé tre sviluppatori per sperimentare con l’Unreal Engine 4. Un Environment Artist, un Gameplay Designer ed un Creative Director. L’idea era quella di creare un qualcosa che portasse ad un’esperienza corta ma di qualità, e che potessero sentirsi orgogliosi di mostrarlo al mondo. Nuove persone sono state incluse nel progetto, creando un premiato team di sviluppatori tripla A. Nasce con questi presupposti la breve avventura The Park, un horror a sfondo drammatico, già uscito nell’Halloween 2015 su Steam e ora portato su console, che ci porterà nella vita di Lorraine, madre vedova alla ricerca del figlio smarrito in un parco divertimenti.

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L’ingresso al parco

L’introduzione al gioco ci catapulta immediatamente negli eventi. L’orsetto di peluche del figlio Callum è disperso nel parco, e ci verrà chiesto di trovarlo. Spazientita e stanca, la madre Lorraine si vedrà dirigere verso l’entrata del parco giochi, ormai chiuso al pubblico, per chiedere informazioni al riguardo. Qualcosa di strano accade sin da subito. Discorsi non esattamente parte del contesto, visione sfocata, un punto informazioni che sembra un comando di polizia. Ma non abbiamo tempo di domandarci il perché di tutto questo, visto che Callum deciderà di andare a trovare il suo peluche preferito addentrandosi di forza nel parco. Una volta aperti i cancelli, ci addentreremo salendo sulle scale mobili che ci condurranno in alto, verso quello che dovrebbe essere un luogo di gioia e spensieratezza, ma che diventerà ben presto un vero incubo.

In un attimo l’atmosfera cambierà, portandoci di notte in un parco che sembra abbandonato da tempo, in una notte tranquilla ma buia, alla ricerca di un figlio che non sembra tale. Il giocatore dovrà quindi seguire la trama passivamente, lasciandosi trascinare nelle varie attrazioni apparentemente innocue, mentre Lorraine analizzerà internamente un argomento che potrebbe essere fin troppo sensibile per alcuni: l’essere madre, ed i disagi che questo potrebbe portare nella vita di alcune persone.

Narrazione passiva

Il giocatore non avrà molte chance di interazione se non quella di seguire il figlio tentando con l’apposito pulsante di richiamarlo, e ricevendo innocue ma inquietanti frasi come “Da questa parte” o “Seguimi”, sussurrate come fossero vicine a noi, eppure distanti. Altra possibilità sarà quella di interagire con alcuni oggetti quali ritagli di giornale contenenti macabre informazioni sul parco e su di un certo Chad, mascotte dell’Atlantic Island Park con le sembianze di un grosso scoiattolo, il quale tormenterà Lorraine con alcune visioni, osservandoci dai suoi occhi rossi, e sorridendo come se già sapesse cosa ci attende.

Dovremo scoprire il parco, girando e analizzando quanto possibile le varie scene, intrise di una atmosfera davvero inquietante, spesso anche salendo su giostre che si riveleranno andare oltre i limiti del conosciuto, rivelando inquietanti visioni e portando a noi drammatiche conversazioni con un essere che sembra tenere le redini del nostro viaggio.

Anche se Lorraine, inizialmente, sarà preoccupata per il figlio, andando avanti con il gioco la sua preoccupazione si tramuterà in paura. Ci ritroveremo infatti davanti inquietanti scene, apparizioni, avvenimenti e pericoli, che mineranno la sanità mentale della madre. Il gioco tenterà di trasmettere al giocatore la paura, il panico, ed il disagio interiore della protagonista attraverso stimoli sonori e visivi, come visione offuscata, battito cardiaco, respirazione accelerata e rallentamento dei movimenti. Procedere nel parco significherà anche analizzare la situazione di Lorraine, rimasta incinta del figlio mentre il compagno veniva a mancare, ed a dover affrontare le aspettative e le difficoltà del tenerlo, nutrirlo, paragonando i genitori a schiavi dei propri figli. Ovviamente l’argomento è delicato, in quanto reale per molte madri che sono andate in depressione post parto, e per questo motivo ottimo da contorno al gioco che mira a trasmetterci una sensazione di disagio e paura.

Conclusione

Non vi è molto altro da aggiungere, per evitare di rovinare il gusto di scoperta ai lettori, e invitandoli a provare la breve ed intensa esperienza da soli. In appena una, massimo due ore, riusciremo a concludere il gioco, che per via della natura di esso non spinge ad essere rigiocato. Troviamo all’interno una buona ambientazione e narrazione, seppure con alcuni cliché ed una sezione fin troppo ispirata a P.T., che in quanto conosciuto agli amanti del genere, potrebbe facilmente rovinare l’esperienza in quanto, non aggiungendo nulla di nuovo, si rivelerà per lo più una blanda imitazione più che un omaggio. In un panorama indie dove la narrazione regala esperienze corte ma intense, The Park si aggiudica la sua fetta di pubblico grazie al genere horror, ma paragonandosi lui stesso, a detta degli sviluppatori, a giochi quali Gone Home, Dear Esther, e The Stanley Parable, l’esperimento non è del tutto riuscito per via di un’utilizzo grezzo del motore di gioco, che presenta una grafica mediocre, effetti di focus terribili, e caratterizzazione dei personaggi quasi assente, per un titolo che sulla carta promette davvero bene, ma che si perde nella realizzazione, facendoci godere della breve esperienza, ma lasciando in bocca un sapore amaro.