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Recensione The Lost Child

di: Simone Cantini

Dite la verità, se vi dico El Shaddai: Ascension of the Metatron, di sicuro saranno in 4 o 5 quelli che alzeranno la mano sostenendo di conoscere (ed aver giocato) il titolo firmato da Sawaki Takeyasu. Bene, nonostante il gioco in questione non si sia rivelato un boom colossale sul fronte delle vendite, Kadokawa Games ha visto bene di non abbandonare l’universo che lo aveva caratterizzato, permettendo al suo autore di lavorare a The Lost Child, sequel diretto della produzione che vide la luce nel 2011.

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Dall’alto dei cieli

La storia che funge da collante alle vicende di The Lost Child ha per protagonista il giornalista dell’occulto Hayato, intento ad indagare su di una misteriosa entità che pare essere responsabile di alcuni incidenti ferroviari. La ricerca della verità lo porterà, già nelle prime battute del gioco, a sfuggire alle grinfie mortifere dell’oggetto delle sue indagini, grazie anche all’aiuto dell’angelo Lua. Stranito dall’accaduto, Hayato si ritroverà dopo poco nuovamente in compagnia della celeste creatura, che lo metterà al corrente di come i demoni stiano escogitando un modo per sterminare l’intera razza umana. Inutile precisare come spetterà proprio al nostro spaesato giornalista, grazie anche all’aiuto della particolare pistola chiamata Gangour, cercare di fermare i piani delle creature infernali. Complessa e non certo avara di digressioni narrative, la storia di The Lost Child si sviluppa in maniera decisamente interessante, pur al netto di un incipit di base non certo originalissimo. Poco importa che abbiate giocato o meno il capitolo precedente di questa saga (come il sottoscritto, lo ammetto), il tutto è strutturato in maniera comunque indipendente ed in grado di intrattenere anche chi ignora le vicende antecedenti. È comunque ovvio come i fan affezionati non mancheranno di cogliere i vari richiami a quanto giocato in precedenza.

 

A caccia di demoni

Il gameplay di The Lost Child poggia saldamente le proprie basi nel mondo dei dungeon crawler, non risparmiandosi i consueti intermezzi tipicamente nipponici che strizzano più di un occhio alle visual novel. Parlando brutalmente il tutto sarà suddiviso in due macrosezioni, una in cui ci ritroveremo ad interagire con i vari personaggi, in cerca di indizi in grado di sbloccare i Layer, ovvero i dungeon in cui si annidano i demoni che saremo chiamati a sconfiggere, mentre l’altra consisterà nel superare indenni il dedalo scoperto. È prevalentemente in questa ultima occasione che tutta l’anima derivativa di The Lost Child viene prepotentemente a galla, grazie a degli schemi ludici che è davvero impossibile non collegare immediatamente alle saghe di Shin Megami Tensei e Persona. Tramite la pistola Gangour, difatti, Hayato potrà catturare gli Astral, ovvero i demoni che si aggirano per i vari Layer, i quali potranno essere purificati per poter poi essere aggiunti alla nostra formazione da battaglia. In maniera del tutto analoga ai Persona, ma anche ai Pokemon se vogliamo, saremo in grado di potenziare gli Astral più e più volte, così da renderli sempre più potenti e sbloccare tutte le abilità di cui sono dotati. La natura puramente collezionistica della cosa, va quindi ad aggiungersi alle classiche meccaniche che regolano da sempre i dungeon crawler, presenti senza particolari guizzi anche in The Lost Child. Il movimento, rigorosamente in prima persona, avviene a blocchi, fin quando non ci imbattiamo in un combattimento: questo è gestito a turni e caratterizzato dalle consuete figurine bidimensionali che contraddistinguono le produzioni analoghe dal budget non certo stellare. Da questo punto di vista, se si è avvezzi al genere, c’è davvero poco da aggiungere. Interessante e benvenuto l’automap, dotato anche di una comodissima funzione di pilota automatico (basta selezionare il punto desiderato per far avanzare automaticamente il party), che consente di orientarsi in maniera agevole anche nei Layer più complessi. Interessante, come gradita aggiunta opzionale alla storyline principale, la presenza di un dungeon composto da 100 livelli, al cui interno sarà possibile affrontare creature estremamente potenti. Qua potremo anche registrare la nostra squadra, per poi lanciarci in sfide multiplayer casuali con gli altri giocatori sparsi per il globo. Estremamente basilare risulta il comparto tecnico, capace di svettare positivamente soltanto in occasione delle rare cutscene animate (davvero molto gradevoli) e dei vari artwork statici, anche se è decisamente rivedibile tutto il resto. Ottimo, al solito, il doppiaggio in lingua giapponese, mentre è come sempre assente la nostra bistrattata lingua.

The Lost Child è un onesto dungeon crawler sicuramente in grado di soddisfare i fan di simili produzioni, anche se privo di quella scintilla creativa in grado di renderlo davvero imperdibile. La storia interessante e ben articolata e le meccaniche rodate, anche se palesemente ispirate ad altre produzioni, rendono il lavoro Kadokawa Games un passatempo piacevole e ben costruito, anche se in parte limitato da un budget non proprio stratosferico.