Recensione The Last of Us Parte 1
di: Simone CantiniQuale è il senso di un remake, e perché si sente così tanto il bisogno di averlo a disposizione sul mercato? Una coppia di domande tutto sommato banali, ma che era inevitabile arrivare a porsi in occasione del lancio PS5 di The Last of Us Parte 1, titolo che segna per la terza volta il ritorno del capitolo principale delle avventure di Joel ed Ellie. Riscritto, a livello puramente tecnico, attorno alle caratteristiche del nuovo hardware da gioco Sony, il best seller firmato da Naughty Dog è realmente degno della vostra attenzione ancora oggi, a ben 9 anni dal suo debutto originale? È quello che provo a spiegarvi nel pezzo che vi apprestate a leggere.
accettare i cookie con finalità di marketing.
I motivi di un perchè
Proprio alla luce di quanto chiesto in apertura, giusto per andare a spiegare le intenzioni con cui voglio condurre la mia personalissima (e se volete, discutibile) analisi, la recensione in questione non vorrà assolutamente andare ad esaminare la bontà del gioco in quanto tale. In fondo sarebbe quanto mai inutile e ridondante, visti i fiumi di inchiostro che, da quel lontano 14 Giugno 2013, sono stati spesi per raccontare e sviscerare l’ex esclusiva PS3. Chiunque di voi, visto il tempo trascorso, si sarà costruito la propria versione dei fatti che, ci tengo a ribadirlo, non potrà in alcun modo essere scalfita da The Last of Us Parte 1. Questo perché il remake in questione non ha in alcun modo la pretesa di andare a riscrivere, o modificare, quanto giocato 9 anni fa, ma solo di andarne a rinfrescare ulteriormente il comparto tecnico. Quindi, sarà solo su questo aspetto, e qualche altro elemento non proprio accessorio, che mi andrò a concentrare. Per calmare subito tutti quelli che avranno già sicuramente sbirciato il voto finale, ci tengo a ribadire come, per quanto mi riguarda, ritenga il gioco originale un vero capolavoro, oltre che uno dei titoli più importanti che si siano mai affacciati all’interno dei confini del media. Il cui finale, tra le altre cose, rappresenta a mio giudizio uno dei più riusciti e coerenti di sempre, lontano dall’essere platealmente banale e scontato, ma figlio del carattere e della personalità della coppia di protagonisti. Per quanto non perfetto in tutte le sue meccaniche, difatti, è innegabile come il modo in cui il team statunitense è riuscito a costruire e bilanciare ogni singolo aspetto dell’esperienza, a partire dall’azzeccato e riuscito storytelling (checchè ne dicano coloro che lo bocciano come sin troppo banale), abbia settato un nuovo standard per il genere. Che, forse, soltanto il suo chiacchierato sequel è riuscito in parte a superare. Il motivo di questa precisazione, quindi, è solo per ribadire ulteriormente come il giudizio espresso in calce non voglia minimamente ridimensionare la portata del titolo Sony, ma solo inquadrarlo all’interno dei confini che si è voluto creare con questa sua ennesima incarnazione.
Sotto il vestito niente?
Per quanto i primi screenshot e video diramati in rete mi avessero lasciato quanto mai perplesso in fatto di bontà effettiva, confesso che vedere muoversi Joel ed Ellie in questa loro revisione per PS5 non mi ha lasciato del tutto indifferente. Sebbene il materiale di partenza fosse già incredibile a suo tempo, se circoscritto all’interno delle potenzialità dell’hardware PS3, sono innegabili i vantaggi garantiti dal boost reso possibile dall’engine di Parte 2 adattato alla nuova macchina giapponese. La revisione degli asset grafici, difatti, ha reso ancora più dettagliati e definiti sia i personaggi quanto l’affascinante mondo di gioco, adesso realmente ancor più bello da vedere e da esplorare (per quanto possibile) di quanto ricordassimo, oltre che in grado di raccontare con maggiore efficacia il substrato narrativo della produzione. Lo stesso frame rate, a prescindere dalle impostazioni grafiche selezionate, rende finalmente giustizia a cotanta bellezza, riuscendo ad accompagnare con la giusta fluidità sia i momenti più rilassati, che le porzioni più action dell’esperienza. A completare il quadro troviamo un comparto audio ancor più brillante e definito a livello spaziale dell’originale, mentre il supporto alle feature del DualSense assumo, purtroppo, i contorni del mero compitino, con un utilizzo assai standard dei grilletti adattivi, a cui si accompagna un impiego scolastico del feedback aptico. Benvenute, inoltre, sono le nuove opzioni di accessibilità, presenti davvero in forma massiccia, ed in grado di rendere il tutto fruibile ad una platea ancor maggiore di giocatori. E poi? Beh, poi potremmo anche concludere qua la nostra analisi, visto che per quanto concerne il resto, al netto di una piccola revisione dell’IA amica e nemica, come già detto, ci ritroviamo al cospetto di una fedele copia 1:1 del gioco originale, di cui non sono state intaccate minimante le meccaniche di base, né si è assistito a stravolgimenti o integrazioni della storia raccontata (e in questo senso non ce ne era davvero bisogno). Pertanto, una volta avviato il tutto, quella che ci troveremo davanti sarà solo una copia sotto steroidi di quello che è stato il vero canto del cigno di PS3, ovvero un gioco avvincente, ben scritto e diretto, capace di scavare un potente solco all’interno del mondo videoludico.
Ok, il prezzo è giusto?
Insomma, visto che parliamo di un remake, se la grafica è stata migliorata, cosa può avermi portato a non assegnare il massimo dei voti e chiudere qua la questione? In fondo, come già ricordato, pariamo di un capolavoro a 360°. Il discorso, proprio perché parliamo di un remake, non può però esulare da quanto chiesto in apertura di pezzo: che cosa è un remake e cosa può portare alla necessità di vederlo apparire sul mercato? Restando all’interno delle produzioni esclusive Sony, tali domande possono essere collegate in maniera efficace a quanto visto con Demon’s Souls, che nella sua rielaborazione firmata BluePoint è riuscito a rendere giustizia ad un titolo sì riuscito, ma non certo brillante dal punto di vista tecnico, oltre che legato ad una non semplice possibilità di fruizione nella sua incarnazione originale, per motivi che tutti quanti sappiamo bene. Allargando maggiormente lo spettro dell’analisi, un ulteriore esempio perfetto di remake eccellente in quanto a tempi e modi non può che essere la riproposizione di Resident Evil 2: il titolo Capcom, difatti, è riuscito sia a migliorare in ogni aspetto tecnico il lavoro originale (reperibile e giocabile solo a costi non certo contenuti), ma è anche stato artefice di una vera e propria riscrittura del gameplay, reso degno di girare sulle macchine attuali, senza però tradirne le atmosfere originali. The Last of Us Parte 1, mi duole dirlo, non riesce in alcun modo ad avvicinarsi a nessuno di questi due esempi. Sì, è pur vero che parliamo di una produzione dall’aspetto grafico ancora migliore, ma tutto si esaurisce qua. Si tratta di un lavoro che giunge con una tempistica davvero sballata sul mercato, utile unicamente a colmare il parziale vuoto della line up autunnale di PS5, una sorta di piccolo antipasto a quel piatto forte che risponde al nome di Ragnarok. Ma considerando che la versione PS4 del tiolo è reperibile a pochi spiccioli (ed è godibilissima anche oggi a livello puramente visivo), è retrocompatibile con il nuovo hardware e, inoltre, risulta pure inserito all’interno della raccolta destinata agli utenti PS Plus, ne sentivamo davvero il bisogno di questo remake, che nulla di sconvolgente apporta alla produzione Naughty Dog? Per di più parliamo di un prodotto messo in vendita a prezzo pieno, quindi di un gioco commercializzato a ben 79,99 Euro, cifra che stona un po’ con la quantità e la qualità dell’offerta proposta. Vero è che ciascuno è liberissimo di dare il suo personale valore alle cose, ma non penso di dire una castroneria se, alla luce di quanto presente nel pacchetto (e di quanto disponibile sul mercato in versione PS4), un costo dimezzato sarebbe stato molto più adeguato. Oltre che maggiormente rispettoso nei confronti di un’utenza che, pur supportando Sony con un entusiasmo incredibile, sembra essere vista sempre più dalla compagnia nipponica come una mucca da mungere senza pietà. Vero è che, in fondo, parliamo di meri e spietati affari, ma i tempi del claim For the Players sembrano davvero un lontano ricordo. Come sempre, però, il mio è solo un piccolo ed infinitesimale parere all’interno di quello sconfinato mare che è la platea videoludica che, come sempre, sarà il giudice ultimo di una simile operazione.
E alla fine siamo giunti al termine di questa analisi di The Las of Us Parte 1 e, per quanto mi riguarda, la risposta ai quesiti iniziali non va del tutto a favore di questa riproposizione del classico Naughty Dog. Se è palese che il lavoro di pulizia tecnica sia comunque palpabile ed avvertibile, non si può chiudere un occhio al cospetto di un prezzo di commercializzazione che stride in modo marcato con la qualità e quantità della proposta. Che è risultata essere in tutto e per tutto identica, almeno a livello puramente contenutistico, con la release PS4 che è possibile reperire facilmente a quasi un decimo del costo in questione (oltre che gratuitamente se abbonati al PlayStation Plus). Pertanto, il giudizio che trovate subito qua sotto, tiene unicamente conto di questo evidente squilibrio, che pur non intaccando assolutamente la bontà del materiale ludico, fa assumere al tutto i contorni dell’operazione commerciale stavolta sin troppo spudorata ed audace.