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Recensione The Chant

di: Simone Cantini

Non si può certo negare come sia un periodo quanto mai florido e felice per tutti coloro che amano gli horror, viste le produzioni che ci hanno già allietato nel corso dell’anno, e che faranno altrettanto nei mesi a venire. Un filone che, personalmente, non riesce mai a stancarmi, visto che, pur non apprezzando le pellicole “de paura”, quando si tratta di videogiochi la situazione finisce per cambiare in maniera drastica. E se è inutile sottolineare come sia felice del prossimo ritorno di Silent Hill, e di come attenda con impazienza The Callisto Protocol ed il remake di Dead Space, confesso come sia rimasto piacevolmente stupito da uno degli outsider di questo novembre, ovvero quel The Chant di cui vi parlerò a breve. Arrivato quasi come un fulmine a ciel sereno, il titolo realizzato da Brass Token, difatti, pur non inventando niente nel genere, è riuscito a tenermi incollato al pad per tutta la durata dell’avventura, e per chi di giochi simili ne ha digeriti in quantità industriale, si è trattato di un aspetto davvero da non sottovalutare.

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Ah, la cara Scienza Prismatica…

L’incipit di The Chant ci trasporta nella remota isola di Glory Island, nell’anno 1972, su cui sta per essere celebrato un oscuro e sinistro rituale. Bastano però pochi attimi di esitazione da parte di una delle fedeli, per far precipitare nel caos la situazione, con la fuga di questa giovane donna in dolce attesa che finirà per scatenare su quel lembo di terra delle forze che vano oltre l’umana comprensione. Una breve caccia, le urla che si disperdono nella foresta, una scogliera a picco sul mare, un folle volo vero le profonde acque marine. Accade tutto in una manciata di minuti, quanto basta per far drizzare le antenne al player, prima di giungere ai giorni nostri e prendere il controllo di Jess, la protagonista del titolo sviluppato da Brass Token. Tormentata da un trauma giovanile, di cui non si è mai potuta perdonare, la donna decide di accettare l’invito dell’amica Kim, e di raggiungerla nella comunità di preghiera che ha sede proprio a Glory Island. Ad attenderla troverà un piccolo gruppo di persone, guidate dal carismatico leader Tyler, promotore della così detta Scienza Prismatica, una filosofia di vita che, stando alle sue parole, è in grado di far raggiungere a chiunque la vera beatitudine. Nonostante le premesse, però, quella che era iniziata come una semplice vacanza all’insegna della tranquillità, non può fare a meno di tramutarsi in un incubo senza fine, quando Kim interrompe il rituale di preghiera e si lancia a perdifiato nella foresta. Non prima di aver accusato e ricordato a Jess le proprie colpe. Follia improvvisa, oppure c’è qualcosa di più? Mescolando i classici elementi dei survival horror, che tutti conosciamo, alle suggestioni care a H.P. Lovecraft, The Chant riesce a mettere in piedi un’esperienza serrata ed avvincente che, pur non rifuggendo a qualche stereotipo di genere, riesce a stuzzicare a dovere l’attenzione del giocatore, grazie anche ad una lore e ad alcune trovate sicuramente azzeccate. Senza perdersi in fronzoli inutili, o tediare il giocatore con una abbondante dose di backtracking, escamotage quasi sempre abusato in produzioni analoghe, le 7-8 ore necessarie a giungere ad uno dei finali previsti (invero alquanto deludenti come costruzione), scorrono fluide e serrate, senza che si finisca per avvertire il peso delle azioni che saremo chiamati a compiere.

Salvia, la cura di ogni male

A dispetto dell’essere un survival horror nelle sue premesse, dopo pochi minuti emergerà la deriva più action che i ragazzi di Brass Token hanno deciso di adottare per la propria creazione. Lontano dalle sfumature psicologiche di un Silent Hill, pur non arrivando a toccare gli eccessi bellici di un Resident Evil, il gioco baserà buona parte della progressione sugli scontri contro le creature evocate dal rituale interrotto. Seppur molto elementare ed essenziale, il combat system basato sulla canonica combo di attacco lento/caricato, a cui si aggiunge la schivata, funziona pur senza strafare, tradendo comunque una natura un po’ ingessata, ma mai fastidiosa. Peculiari saranno le armi a disposizione della nostra protagonista, ovvero ramoscelli incendiati, salvia ed altro, che dovremo assemblare, una volta recuperate le componenti, tramite un semplice menu di creazione. E di cui faremo sempre bene a tenere sott’occhio il consumo, in quanto si deterioreranno con l’uso. Ecco quindi che, in certi casi, la fuga sarà un’opzione da non sottovalutare. Ad aiutarla ulteriormente ad avere la meglio sulle varie minacce, Jess troverà anche dei poteri occulti, che verranno sbloccati in maniera automatica durante il proseguo dell’avventura, oltre che dei consumabili craftabili raccogliendo gli ingredienti disseminati nell’area di gioco. A chiudere il cerchio avremo anche un essenziale skill tree, che ci permetterà di potenziare alcuni degli aspetti della nostra improvvisata eroina, le cui ramificazioni si apriranno in base alle nostre azioni. Questa volontà di proporre un’esperienza basata sulle nostre decisioni emerge anche nella presenza di alcuni dialoghi a scelta multipla, il cui impatto è risultato essere però assai minore di quanto il gioco ci porti inizialmente a credere, dato che il riscontro più marcato ricevuto è stato in occasione della determinazione della sequenza finale. Tale sistema è basato sulle tre caratteristiche (Mente, Cuore e Spirito) che delineano la figura di Jess, e che avranno un impatto decisamente più presente proprio in relazione ai combattimenti. In tal senso la presenza di tematiche care a Lovecraft è evidente in relazione alla sanità mentale della protagonista che, in caso di esposizione prolungata agli orrori di Glory Island, finirà per causare un attacco di panico, rendendo così impossibile la lotta. Per uscire da questo stato di terrore, potremo ingerire il consumabile indicato, oppure trovare un angolo sicuro in cui meditare, consumando parte della barra dello Spirito, che sarà però necessaria anche per attivare i poteri sovrannaturali. Ad emergere, quindi, è un pizzico di strategia, che ci richiederà di volta in volta di scegliere quale approccio sia più indicato utilizzare. Tra luci ed ombre, pertanto, il meccanismo sviluppato da Brass Token risulta decisamente convincente e divertente, anche se va riconosciuto come, a livello di difficoltà base, gli scontri non rappresentino mai un ostacolo insormontabile. Non di sole lotte, comunque, vive The Chant, dato che di tanto in tanto troveremo alcuni intriganti enigmi a spezzare il ritmo che, fortunatamente, non in tutti i casi si limiteranno al semplice abbinamento porta/chiave.

Parlare la stessa lingua

Sicuramente basato su valori produttivi non certo in grado di rivaleggiare con le produzioni tripla A, The Chant riesce in parte a stupire anche per quanto concerne il lavoro svolto tecnico/grafico. Soprattutto in questo ultimo caso, degna di nota e la modellazione dei personaggi in occasione delle numerose cinematiche presenti nel titolo che, complice anche un’eccellente resa di materiali, riflessi ed effetto bagnato, conferisce alla recitazione digitale un piacevole guizzo in più. Oltre a conferire al tutto un aspetto che, in determinate situazioni, riesce a sconvolgere il player in maniera davvero convincente. Buona, comunque, anche la resa grafica generale, con ambienti e modelli di protagonista e comprimari di fattura più che discreta. Ed in tal senso il limite dei 30 fotogrammi al secondo (rocciosi) chiamati a gestire il tutto passa rapidamente in secondo piano, in virtù anche del peculiare ritmo di gameplay del gioco. Molto buona anche la varietà di nemici che saremo chiamati ad affrontare, decisamente presenti in quantità superiore alla media. Lodevole, inoltre, la presenza del doppiaggio nella nostra lingua, una rarità quando si parla di produzioni di tale portata.

The Chant non è il capolavoro in grado di ridefinire un genere, la pietra di volta su cui, da oggi in poi, finirà per poggiare il genere horror, ma riesce ugualmente a portare a casa un risultato complessivo più che dignitoso. I meriti della produzione firmata Brass Token, difatti, sono da riscontrare in un insieme di elementi che, per quanto non rivoluzionari, finiscono per funzionare a dovere una volta messi assieme. Il risultato è un’avventura interessante e serrata, che evita di avvilupparsi inutilmente su sé stessa soltanto per allungare il brodo, ma che decide consapevolmente di puntare all’obiettivo senza fronzoli inutili. Certo, non mancano alcune ingenuità di fondo che finiscono per minare in parte il risultato generale, ma nonostante tutto, se si è appassionati di survival horror, l’avventura di Jess merita sicuramente tutta la vostra attenzione. Forse esordisce in un periodo un po’ troppo affollato, ma questa è un’altra storia che poco c’entra con il voto che trovate qua sotto…