Recensione Tell Me Why
di: Simone CantiniLa Francia sembra avere nel proprio DNA, almeno per quanto riguarda le software house, una certa predilezione per le produzioni di stampo puramente narrativo. Il primo nome che viene in mente, se pensiamo al genere, è sicuramente quello di Quantic Dreams, sia per la longeva presenza sul mercato, sia per il curriculum di tutto rispetto. Non mancano, però, studi più piccoli, ma non per questo meno interessanti e capaci di ritagliarsi uno spazio nel settore, come Dontnod, che dopo l’exploit del pluriacclamato Life Is Strange, si è rapidamente fatto largo in un panorama decisamente affollato. Il team transalpino torna oggi con Tell Me Why, produzione sviluppata in esclusiva per Xbox One e che ricalca le orme della sua saga più celebre.
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Casa dolce casa?
Tell Me Why ci trasporta nell’immaginaria cittadina di Delos Crossing, un piccolo paese dell’Alaska, ed ha per protagonisti i fratelli Alyson e Tyler Ronan. Tutto prende il via con l’omicidio della madre dei due, apparentemente uccisa dal piccolo Tyler in un disperato tentativo di autodifesa. Rinchiuso nella struttura correttiva di Firewood, il giovane si ritroverà a trascorrere 10 anni lontano da casa, prima di scontare il proprio debito con la giustizia e fare così ritorno al paese d’origine, per occuparsi assieme alla sorella della vendita della casa di famiglia. È l’occasione per riprendere i contatti con un passato che sembra oramai remoto, ma che nasconde ancora una serie di misteri da svelare, che ruotano tutti attorno alle tragiche vicende di quella notte. I due, difatti, celano al loro interno un particolare potere, che sin da piccoli gli permetteva di comunicare telepaticamente, tramite quella che loro hanno sempre chiamato la Voce, ma che adesso li rende anche in grado di rivivere i ricordi della loro infanzia. Varcare la soglia di casa Ronan, pertanto, scatenerà in loro una serie di visioni, che li porteranno ad interrogarsi sulle vicende che hanno causato la morte della madre, e sui segreti che sembrano custodire i vecchi amici e conoscenti della donna. Durante i tre episodi di cui è composto Tell Me Why, saremo chiamati ad indagare in cerca di risposte e verità, mettendo sul piatto una serie di momenti interessanti, ma anche una buona dose di passaggi a vuoto, che sembrano quasi voler stiracchiare una vicenda che, visto il climax finale, pare avvilupparsi un po’ troppo sui propri passi. Una volta giunti ai titoli di coda, soprattutto per la modalità con cui ci si arriva, viene difatti spontaneo chiedersi perché i due si siano persi in conversazioni e situazioni tutto sommato inutili, che hanno solo il compito di far intravvedere parti del vissuto della madre: l’indagine, difatti, più che aiutarli a fare luce sul dilemma che li anima, sembra quasi voler solo tratteggiare la figura della donna, forgiandone la caratterizzazione ma sfuggendo con forza agli obiettivi che il gioco ci fornisce. La narrativa, pertanto, soffre di alti e bassi evidenti, oltre che di un ritmo non proprio esaltante, che ha soprattutto nel primo episodio dei momenti sin troppo dilatati ed inconcludenti. Interessante, invece, la caratterizzazione di Ronan e Tyler, con quest’ultimo che viene “sfruttato” dal team per introdurre una riflessione sull’identità di genere e sulla tolleranza, data la sua natura transessuale. Peccato, però, che anche in questo caso i ragazzi di Dontnod non siano riusciti a centrare pienamente il bersaglio, dato che la città di Delos Crossing sembra quasi rappresentare una sorta di villaggio ideale, in cui tolleranza a 360° gradi sembra essere la parola d’ordine, ed in cui i momenti di scontro ideologico sono praticamente assenti. Un qualcosa davvero stridente se confrontato con la quotidianità reale: capisco che parliamo pur sempre di un videogioco, ma introdurre simili tematiche in maniera un po’ troppo superficiale sembra quasi un atto di pura ruffianeria.
Il libro dei ricordi
Approcciarsi a Tell Me Why, se si già abbiamo avuto contatto con gli altri lavori di Dontnod, non riserverà particolari sorprese, anche se il team ha visto bene di introdurre qualche piccola variazione sul tema. Alla consueta fase esplorativa, utile per reperire indizi ed ampliare il contesto narrativo per mezzo dei vari elementi interattivi, si aggiungono alcuni enigmi, i quali sfrutteranno il Libro dei Goblin, un particolare oggetto dell’inventario che, per mezzo dei racconti contenuti al suo interno, ci fornirà di volta in volta degli indizi utili alla soluzione dei puzzle. Per i più pazienti, però, i ragazzi hanno anche fatto sì che alcuni di essi possano essere risolti con la forza bruta, magari ricorrendo a qualche particolare oggetto presente nei paraggi. Per quanto riguarda il potere legato al recupero dei ricordi, questo avrà un ruolo determinante in merito agli snodi narrativi, dato che in gran parti di questi frangenti saremo chiamati a decidere quale visione dei due ragazzi ritenere veritiera. L’impatto di tali bivi, però, risulterà a tratti marginale ed utile soltanto a determinare il rapporto tra i due, dato che le scelte più importanti sono concentrate nella parte finale dell’avventura. Sul versante tecnico non si registrano particolari sbavature, anzi fa piacere notare come a livello puramente visivo il team abbia compito diversi passi avanti rispetto a Life Is Strange, pur mantenendo il proprio stile. Buona la soundtrack, anche se il livello raggiunto dall’avventura di Chloe e Max rimane decisamente su altri livelli.
Tell Me Why, pur non essendo decisamente un gioco insufficiente, non può che lasciare il giocatore con l’amaro in bocca, come se i ragazzi di Dontnod avessero voluto fare il classico passo più lungo della gamba. Le premesse per un’altra storia con i fiocchi c’erano tutte senza ombra di dubbio, ma visto il modo in cui la trama sembra volerci per forza di cose farci girare introno, non si può che rimanere un poco delusi. Così come spiace vedere il tema della diversità trattato in maniera un po’ troppo superficiale, quasi come se fosse messo in scena solo per sfruttarne l’effetto emotivo, mancando però di accompagnarlo a delle reazioni più credibili. Di questo debutto esclusivo in casa Microsoft, pertanto, ci resta un titolo sicuramente interessante per gli amanti delle produzioni del team transalpino, ma che avrebbe decisamente potuto osare (e fare) di più.