Recensione Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan
di: Giovanni Manca“Come come, Platinum Games sta sviluppando un gioco dedicato alle Tartarughe Ninja? Ah, il publisher è Activision… speriamo non si ripeta l’esperienza di Legend of Korra di due anni fa, ancora non mi sono ripreso dallo shock!”
Dopo i primi screenshot e video in game i miei dubbi si erano parzialmente fugati, l’impatto grafico era sicuramente notevole, l’azione veloce e frenetica in puro stile Platinum: una cosa però sono le sensazioni di uno spettatore, per quanto esperto, un’altra la prova diretta. TMNT: Mutanti a Manhattan è finalmente arrivato tra le nostre mani, vediamo se vale la pena accompagnare le quattro testuggini ninja nella loro ennesima avventure videoludica.
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La grande mela in pericolo
Se c’è ancora qualcuno tra voi che si sta chiedendo come abbiano fatto quattro tartarughe a diventare dei letali ninja il cui guru sia un vecchio topo, vi consigliamo di leggere le prossime tre o quattro righe, nel caso contrario potete anche farne a meno. La loro storia ha luogo a New York, quando in seguito ad un disastroso incidente stradale un liquido fortemente radioattivo cola nelle fogne della grande mela, contaminando quattro piccole tartarughe disperse nello stesso incidente e Splinter, maestro di arti marziali. Quest’ultimo, trasformatosi in topo per il contatto con il liquido e, appunto, un topo, trova le quattro tartarughe mutanti a cui da i nomi che tutti conosciamo: Leonardo, Michelangelo, Donatello e Raffaello.
Mutanti a Manhattan ci catapulta in questa pazza realtà e lo fa senza una linea narrativa ben definita, tutt’altro: da questo punto di vista i nove scenari totali hanno un legame piuttosto labile e il pretesto è quello di conoscere i nemici più popolari della serie e, ovviamente, pestarli! Bebop, Rocksteady, Slash, Armaggon fino ad arrivare a Shredder, gli scenari portano il nome dei boss che incontreremo e che dovremo sconfiggere. Delle brevi scene animate tentano di dare un minimo senso alle vicende che dovremmo affrontare ma il risultato è pessimo, si capisce ben poco di quello che è successo e di quello che ci aspetta ma, soprattutto, si è perso completamente quel brio effervescente che da sempre ha caratterizzato l’opera di Kevin Eastman e Peter Laird. Trama inesistente e battute scialbe che non riuscirebbero a strappare un sorriso neppure sotto tortura o sconvolti da sostanze psicotrope.
Bushido e katane ma era meglio una pizza
Dare un senso alla trama non serve a nulla perché in realtà questa non esiste ma se in questo momento state pensando: “Beh, ok, che mi frega, voglio solo divertirmi pestando in giro tutto quello che vedo!” , vi state solo illudendo. Ok, si, potete pestare a manetta ma che questo vi possa divertire, beh, vi sbagliate di grosso. Lo schema del combat system è quello classico che alterna un attacco veloce e leggero a uno lento e potente, le combo sono semplici e poco varie, si salta e ci si arrampica in scenari estremamente monotoni in delle mappe della media ampiezza. In ogni momento si può “skippare” da una tartaruga ninja all’altra e questo non farvi temere che possa rompere il ritmo o incasinarvi la testa: anche rinunciando a passare il controllo da un all’altra, non si capisce nulla lo stesso. L’azione su schermo è estremamente caotica, l’intelligenza artificiale, sia dei nemici che degli alleati è una delle più ridicole che ci sia capitato di provare negli ultimi anni, tutto condito da una visuale impacciata e da una bizzarra curva di difficoltà che risponde a ignote leggi di cui non fanno parte né la coerenza né il bilanciamento. L’apoteosi di tale disastro sono le boss fight, da sempre oltretutto fiore all’occhiello di quai tutte le produzioni Platinum Games: lunghe, monotone, scandalosamente caotiche, difficili. Se il tutto funzionasse a dovere, se cioè ci fosse il tempo di studiare una strategia di attacco e di provare a concretizzarla, la forza dei boss e la loro vitalità smisurata darebbe uno stimolo forte, invece non funziona quasi nulla e trovare il self control per non spaccare tutto è un esercizio impegnativo. Frustrazione e rabbia, come in poche occasioni. E non si può neppure pestare April O’Neill, che continua ad assillarci con la sua voce ripetendo quello che dobbiamo fare.
Ninja shading
L’unico aspetto sui cui possiamo esprimere qualche parola positiva è la realizzazione grafica. Intendiamoci, non siamo certo davanti allo stato dell’arte ma in una tavola imbandita di schifezze non possiamo nono apprezzare un piatto che si può comunque assaggiare. L’uso del cel shading è notevole e il fumettoso look generale di grande impatto. Peccato che sia apprezzato più da chi guardi che da chi giochi ma, purtroppo, la realtà di Mutanti a Manhattan è questa. La produzione vanta anche un doppiaggio in italiano la cui qualità non fa gridare allo scandalo me stimola a trovare nelle opzioni qualche opzione per disattivarlo.
Tartarughe in via di estinzione
Onestamente non ricordo un gioco più brutto dedicato alle Ninja Turtles e intendo proprio dal 1989, quando Konami (ahhhh lacrima) fece uscire Teenage Mutant Ninja Turtles per NES. TMNT: Mutanti a Manhattan sarebbe imbarazzante per chiunque, soprattutto per Platinum Games che, tra alti e bassi, ci aveva comunque abituati ad una qualità media delle sue produzioni piuttosto alta. Questa “roba” non può interessare a nessuno, tra gli appassionati di tartarughe solo alla guardia forestale per il pericolo di estinzione delle stesse: le testuggini potrebbero suicidarsi in massa per la vergogna.