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Recensione Tactics Ogre: Reborn

di: Simone Cantini

A dispetto di quello che si potrebbe pensare, la mia carriera da consolaro ha inizi relativamente recenti, dato che sino all’avvento di PS1 mi sono sempre e solo dilettato con gli home computer (C64 e Amiga 500) prima, per poi passare al PC. Veder girare una copia, rigorosamente piratata, di Final Fantasy Tactics ai tempi dell’università, grazie alla complicità di uno dei miei coinquilini, fu la scintilla in grado di far detonare un amore che dura ancora oggi. Nonostante gli ultimi anni mi abbiano portato più e più volte a sognare un ritorno al passato. Prima del capolavoro indiscusso di casa Square Enix (fu SquareSoft), però, il mondo degli strategici a turni di matrice nipponica aveva potuto contare su di un altro, imprescindibile, titolo, firmato a suo tempo da Quest Corporation, che torna oggi in pompa magna grazie a Tactics Ogre: Reborn, versione riveduta ed in parte corretta del classico nato su SNES.

L’ago della bilancia

Non lasciatevi ingannare dall’estetica minimalista e, a tratti, quasi pucciosa che ammanta Tactics Ogre: Reborn, dato che dietro questa apparenza scanzonata si nasconde una narrazione brutale e spietata, oltre che condita da numerosi colpi di scena. Protagonista di questa complessa storia a base di guerra e ribellioni, troveremo Denam, un giovane membro della resistenza armata che, in compagnia di un manipolo di compagni, si batterà per contrastare l’invasione che sta mettendo a ferro e fuoco il regno di Valeria. Caratterizzata da toni cupi e crudi, che non mancheranno di gettare in faccia al player situazioni in cui massacri ed eventi drammatici saranno all’ordine del giorno, capaci di scavare un profondo solco nella memoria, il plus della sceneggiatura imbastita dal team nipponico è sicuramente garantito dalla possibilità di andare ad impattare in modo diretto sul suo sviluppo. In alcuni peculiari momenti, difatti, Denam sarà chiamato a compiere cruciali decisioni, capaci di mutare in modo sensibile tanto la sua reputazione, quanto il corso degli eventi: in questo gioco di intrecci non esistono decisioni giuste o sbagliate, il cui giudizio morale è lasciato unicamente all’etica del player, ma soltanto differenti percorsi ludici, ognuno caratterizzato dalle proprie battaglie uniche. Una trovata tanto semplice quanto geniale, capace di garantire a Tactics Ogre: Reborn un elevato tasso di rigiocabilità, capace di ampliare a dismisura il già corposo monte ore necessario a completare il primo playthrough (siamo nell’ordine di una quarantina di ore, scontro più scontro meno).

Una montagna da scalare. Nudi…

A scandire le tappe di questa complessa e matura vicenda, come logico che sia, ecco che troveremo una serie corposa di combattimenti che, trattandosi di un jrpg di matrice tattica, saranno basati sulla canonica accoppiata successione in turni/griglia di movimento. Una volta assemblato il nostro party, che potrà contenere (a seconda dei casi) sino a 12 componenti attivi, giungerà il momento di scendere letteralmente in campo, per cercare di sbarazzarsi delle minacce che ostacoleranno il cammino di Denam e compagni. La struttura ludica, visto che parliamo di un gioco che, nella sua release originale, fece il suo debutto nel lontano 1995, è quella a cui siamo oggi già più abituati: ad ogni turno potremo abbinare il movimento del nostro personaggio ad un’azione, sia essa legata all’attacco o alle eventuali abilità speciali in nostro possesso. In tal senso, data la presenza di numerose classi disponibili, le opzioni sono davvero corpose, così da permettere di adattare il flow dell’esperienza allo stile di gioco preferito dal player. Il tutto coniugando tali questi elementi all’interno di una cornice tattica di assoluto valore. Non mancheranno, inoltre, mostri e personaggi da reclutare, oggetti da craftare e missioni opzionali, capaci di garantire letteralmente ore ed ore di divertimento, oggi come 27 anni fa. Naturalmente, però, dato che nel titolo della produzione troviamo la parola Reborn, sarebbe quanto mai ingenuo pensare che il gioco sia stato trasposto in maniera sin troppo integrale e rigorosa ai giorni nostri. Il team di sviluppo, difatti, pur rifacendosi alla versione uscita su PSP nel 2010 (a sua volta costruita attorno alla release PS1 del 1997), non si è risparmiato di apportare alcune piccole modifiche al materiale originale. La prima è relativa all’abbandono degli amati/odiati combattimenti casuali, sostituiti dalla possibilità di partecipare a battaglie di allenamento accedendo agli shop presenti in determinate location. Un’idea in definitiva molto semplice, ma che lascia al giocatore la piena facoltà di decidere quando e come fermarsi per grindare. Libertà di scelta, dunque, ma senza esagerare, dato che la seconda feature inedita è costituita dalla presenza di un level cap per i nostri personaggi, il cui valore andrà a modificarsi man mano che procederemo nell’avventura. Si tratta di un espediente utile a mantenere sempre bilanciato il tasso di sfida e che, almeno nella prima metà dell’avventura risulta davvero ben dosato. I problemi iniziano a presentarsi in avvio del secondo troncone di gioco, momento in cui la difficoltà inizia a subire un’impennata vertiginosa, con i party nemici spesso di 2 livelli superiori al nostro limite, situazione che finisce per rendere estremamente frustranti le lotte: essere circondati da avversari in grado di spazzarci via in un baleno, magari senza che si possa neppure avere il tempo per ribattere, è davvero fastidioso. E a poco serve la possibilità offerta dalla Ruota dei Tarocchi di riavvolgere il tempo sino a 20 turni di gioco, dato che gli esiti dei vari colpi o abilità, se rigiocati nel medesimo modo, non cambieranno (alla faccia delle percentuali di successo!). Si tratta di uno scivolone assai macroscopico e fastidioso, capace di mandare a monte tutto il lavoro di pulizia e rifinitura che questa riproposizione si porta in dote: di sicuro un passo falso inaspettato per una casa esperta come Square Enix, soprattutto quando si parla di jrpg. Sicuramente più bilanciato ed incline al tatticismo l’introduzione di alcune buff card, che compariranno casualmente sul terreno di gioco e che, se raccolte, possono fornire un valido aiuto in occasione degli scontri, senza comunque apportare vantaggi spropositati.

Ti sento!

Visto che parliamo di un gioco che si porta dietro un bel po’ di anni di età, pensare di riproporre in tutto e per tutto l’aspetto grafico dei tempi che furono non poteva certo essere una strada percorribile. Per lo meno questo è quello che il nome Tactics Ogre: Reborn potrebbe portarci a pensare. In realtà, in tal senso, il lavoro di svecchiamento è stato quanto mai minimale, complice anche la già buona pixel art che accompagnò il debutto originale. Gli sforzi del team di sviluppo si sono, pertanto, unicamente limitati a ripulire ed affinare leggermente la grafica generale, che mantiene intatto tutto il suo fascino a 16 bit, con gli eventuali pregi e difetti. Il lavoro più massiccio è stato riservato ai menu e all’interfaccia di gioco che, risulta comunque ancora un po’ troppo ingessata rispetto agli standard attuali. Discorso differente deve essere fatto per il comparto audio che, oltre a proporre tracce orchestrali interamente riarrangiate, presenta per la prima volta un completo doppiaggio dual audio inglese/giapponese, che è inutile sottolineare come sia di pregevolissima fattura. Avrebbe, a tal proposito, fatto piacere la sospirata introduzione della localizzazione testuale in italiano che, complice la mole di dialoghi (tra l’altro non sempre molto semplicissimi) avrebbe permesso ad una platea sicuramente più ampia di avvicinarsi a questa piccola gemma dei tempi andati.

A giocare con il passato, se non si è bravi in materia, si corre il rischio di farsi davvero molto male. E vista l’esperienza maturata nei decenni da Square Enix, vedere come sia arrivato ai giorni nostri Tactics Ogre: Reborn non può che lasciare con un po’ di amaro in bocca. Se l’opera di svecchiamento strutturale convince in gran parte delle sue trovate, viene davvero difficile chiudere un occhio al cospetto di un bilanciamento della difficoltà che, proprio a causa delle nuove feature, finisce per minare in modo a tratti irreparabile l’esperienza complessiva. A patto di non essere strateghi impeccabili, dotati anche di una pazienza fuori dal comune. E dire che le premesse per sbancare ancora oggi, a ben 27 anni dal suo debutto originale, c’erano davvero tutte, dato che parliamo di un ruolistico tattico di assoluto spessore, capace di spianare la strada a tutti i suoi successori, compreso quel Final Fantasy Tactics di cui vi ho parlato in apertura di recensione. E che mi auguro possa tornare quanto prima a risplendere sui nostri schermi, magari senza che il suo fascino possa venire sfigurato da qualche decisione scellerata: sognare, in fondo, non costa nulla.