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Recensione Slender: The Arrival

Uomo nerobabauboboboogeyman, chiamatelo pure come volete lo spauracchio che, sin da bambini, le mamme di tutto il globo hanno utilizzato per terrorizzare con amore i propri pargoli, accompagnandoli con dolcezza tra le braccia di Morfeo. L’infanzia, si sa, può essere dannatamente triste e bastarda e di certo lo deve essere stata quella di Eric Knudsen, la mente contorta che nel lontano 2009 diede i natali allo Slender Man, divenuto poi il protagonista dell’omonimo videogioco. Gli incubi giovanili però, come ci ricorda il buon IT, sono difficili da sterminare e anche a distanza di anni sono pronti a tormentare le nostre esistenze. Altrimenti non si spiegherebbe l’esistenza di Slender: The Arrival.

di: Simone Cantini

Uomo nerobabauboboboogeyman, chiamatelo pure come volete lo spauracchio che, sin da bambini, le mamme di tutto il globo hanno utilizzato per terrorizzare con amore i propri pargoli, accompagnandoli con dolcezza tra le braccia di Morfeo. L’infanzia, si sa, può essere dannatamente triste e bastarda e di certo lo deve essere stata quella di Eric Knudsen, la mente contorta che nel lontano 2009 diede i natali allo Slender Man, divenuto poi il protagonista dell’omonimo videogioco. Gli incubi giovanili però, come ci ricorda il buon IT, sono difficili da sterminare e anche a distanza di anni sono pronti a tormentare le nostre esistenze. Altrimenti non si spiegherebbe l’esistenza di Slender: The Arrival.

Hai paura del buio?

Chissà perché quando si decide di andare a trovare qualcuno che abita in mezzo alla tipica foresta americana l’imprevisto è sempre dietro l’angolo: stavolta l’intoppo ha le fattezze di un albero, il quale decide di fracassarsi a pochi centimetri dall’auto di Lauren, la protagonista di Slender: The Arrival. Da brava eroina dell’horror, la nostra ragazza non si scompone e sceglie di incamminarsi a piedi verso la casa di Kate, l’amica di cui sopra. Man mano che si avvicina alla dimora il sole del pomeriggio lascia rapidamente il passo al crepuscolo, sino a sprofondare nelle più cupe tenebre serali. Poco male, tanto siamo arrivati, anche se quella porta aperta e gli inquietanti disegni che troneggiano sulle pareti dell’ingresso sono tutt’altro che rassicuranti. E le grida che si avvertono da lì a poco, unite a sinistre apparizioni, contribuiscono a rifinire con dovizia il sinistro quadretto. Che sia Kate? Ovvio che la logica suggerirebbe di rivolgersi alla polizia, o a chiunque possa concretamente darci una mano, ma il buonsenso pare, al solito, gravitare altrove quando si parla di orrore. E così Lauren imbraccia una torcia, casualmente recuperata in loco, ed inizia ad investigare sull’accaduto, finendo per precipitare (l’avreste mai detto?) in un incubo.

Redo from start

Ogni tanto le reminiscenze Basic del vecchio C64 tornano con prepotenza a galla. E questo simpatico messaggio di errore legato ai miei anni 80 ben si sposa con le meccaniche di Slender: The Arrival. Ecco, più che temere il letale abbraccio della creatura da incubo che fornisce il titolo al gioco, fareste bene ad aver paura di ricominciare ogni livello da capo al minimo errore. Ciascuno dei 5 capitoli di cui è composta l’avventura, difatti, richiederà il raggiungimento di determinati obiettivi, come raccogliere delle pagine di diario o accendere dei generatori elettrici, senza però incappare nelle creature da incubo che ci daranno la caccia, pena il dover ricominciare tutto da capo. Niente di così grave sia chiaro, peccato che la location dei vari obiettivi venga generata casualmente ad ogni tentativo, elemento che manda a farsi benedire la tattica spostando il tutto nei pressi del meno piacevole caso più sfrenato. A complicare il tutto concorre una visibilità pessima insita nel gioco, scarsamente corroborata dall’esile luce della nostra fida torcia, fatto che rende spesso caotica la leggibilità dell’ambiente. Fortunatamente (o sventuratamente, a seconda di come si voglia interpretare il tutto) i vari capitoli hanno una lunghezza che a stento supera la decina di minuti, resta però sgradevole constatare come un simile espediente sia stato utilizzato per diluire una longevità che definire esilissima è un mero eufemismo. Così come sono impalpabili le meccaniche di gioco vere e proprie, le quali ci vedranno unicamente impegnati a girovagare per gli ambienti in cerca dei pochissimi punti interattivi predisposti dai programmatori, oppure dei collezionabili indispensabili per venire a capo della fumosa, ma intrigante, storia che fa da cornice alle vicende. Ed è proprio al cospetto di un setting, degno dei migliori Silent Hill, che spiace constatare la pochezza che si cela dietro il giga occupato da Slender: The Arrival, capace di sfigurare anche se paragonato ad una demo come quel P.T. che tanto ha fatto parlare di sé. Ottime idee racchiuse in una confezione spiccia, che lascia davvero l’amaro in bocca se si pensa a cosa avrebbe potuto essere il gioco se fosse stato sviluppato con maggiore cura.

Orrore a 360°

No, non ci siamo. Anche sul versante tecnico le magagne sono troppe per passare inosservate. Ovvio che tutto vada inquadrato nell’ottica delle produzioni indipendenti, ma l’impatto estetico del titolo Parsec Studio non può certo essere giudicata sufficiente: modelli poligonali poverissimi e ambienti sin troppo spogli vanno a braccetto con la già citata difficoltà di lettura della scena in occasione delle sezioni notturne. Di tutta altra pasta, come era lecito aspettarsi viste le tematiche trattate, il comparto sonoro, forte di effetti convincenti e di una colonna sonora che sa incalzare al punto giusto. Ottima, senza riserve, l’atmosfera generale, capace di immergerci sapientemente all’interno di questo incubo sovrannaturale.

Cosa mi resta dopo aver portato a termine Slender: The Arrival? Devo ammettere di essere contrastato, dato che pur al netto delle macroscopiche storture, il gioco è riuscito a coinvolgermi in tutta la sua ora e mezzo di durata, ma forse perché non ho dovuto sborsare i quasi 10 Euro richiesti per il download. Ecco, fosse stato rilasciato come titolo gratuito avrei consigliato senza riserve di scaricare Slender: The Arrival, ma al cospetto di un sin troppo esigua durata (a poco serve un livello extra che si sblocca dopo la prima run, oppure i vari collezionabili) e dei suoi intrinsechi difetti di realizzazione, mi viene difficile consigliare di lasciarsi catturare dall’uomo in nero.