Recensioni

Recensione Reveil

di: Simone Cantini

Abbandonarsi ai ricordi può fare piacere in certe situazioni, magari quando ci sentiamo persi e siamo in cerca di un appiglio in grado di darci la forza per andare avanti. Un’indole quasi masochistica quella che ci porta rivivere gioie trascorse, quando siamo in preda allo sconforto più nero, dal quale non riusciamo a trovare una via di fuga. E proprio attorno ad un simile concetto ruotano le vicende narrate in Reveil, horror psicologico firmato Pixelsplit che, nonostante premesse alquanto abusato, è riuscito a ritagliarsi un piccolo spazio nell’affollato panorama videoludico, grazie ad un paio di benvenuti guizzi.

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Giocare con i ricordi

La storia di Reveil si apre nella camera di Walter Thompson, che una volta svegliato in preda ad una fortissima emicrania decide di vedere che cosa stiano facendo moglie e figlia. Un incipit abbastanza banale, sicuramente privo di particolari spunti, se non fosse che non appena si varca la porta della stanza e si inizia girovagare per casa, ci si accorge immediatamente che qualcosa non va. Le due sembrano scomparse nel nulla, mentre bizzarri enigmi ci conducono in luoghi che non dovrebbero far parte delle non più rassicuranti mura dell’abitazione. E poi c’è lei, la figura sfuggente di Dorie, la figlia di Walter, che pare prendersi gioco di noi durante un sinistro nascondino, che ci porterà a camminare sino al circo in cui la famiglia lavora. Si tratta solo del primo tassello di un viaggio allucinatorio che condurrà il nostro improvvisato protagonista a navigare nei propri ricordi, nel tentativo di rimettere assieme i frammenti di un passato che pare aver cancellato tutte le proprie tracce. Un percorso che, ricalcando in parte i tormenti di James Sunderland (se avete bisogno che vi ricordi chi è fareste meglio a cambiare hobby), si snoderà tra sensi di colpa e negazione, fino a giungere alla più drammatica delle prese di coscienza, il tutto mentre la realtà di distorcerà poco alla volta sotto i nostri occhi.

Un delirante collage di situazioni e geometrie impossibili, capaci di mettere a dura prova la sanità mentale di Walter, una sorta di déjà vu ludico che potrebbe non sorprendere i giocatori più scafati, vista la sua prevedibilità. Ed è quando tutto sembra oramai essere incanalato lungo binari ben conosciuti che Reveil ci sorprende con un deciso colpo di coda, capace di cambiare radicalmente prospettiva e fornire una nuova e stuzzicante chiave di lettura, che ci accompagnerà sino al termine delle circa 5 ore necessarie a giungere ad uno dei vari finali presenti nel titolo firmato Pixelsplit. Ed è sicuramente la sceneggiatura uno dei punti forti di questo horror psicologico, che riesce a distaccarsi da un cliché abusato grazie ad una trovata che, per quanto sperimentata in altre situazioni, riesce a fornire al tutto quel guizzo in più.

Finchè caccia non ci separi

La situazione si fa decisamente più canonica non appena si scende ad esaminare il fronte ludico di Reveil, che sotto la sua patina di avventura horror nasconde elementi cari ai walking simulator e alle avventure grafiche. L’incedere sarà quello tipico di produzioni come S.O.M.A. o Everybody’s Gone to the Rapture, ma la progressione sarà di tanto in tanto intervallata da una serie di puzzle. Questi, per quanto mai impossibili da decifrare, risulteranno sempre originali e ben strutturati, capaci di spezzare il ritmo in maniera molto efficace. I primi scricchiolii si avvertono quando il gioco cambia in parte prospettiva e mette in scena due sezioni in cui saremo braccati da una infida creatura, che ci costringerà a muoverci nell’ombra ed in silenzio, per evitare di essere assaliti e dover ricominciare la porzione dal principio. Come vuole la tradizione recente dei survival horror in salsa Outlast, saremo completamente inermi e l’unica nostra arma sarà la fuga, ma una volta individuati uscire indenni dalla caccia risulterà praticamente impossibile. Si tratta di porzioni che, anche in ottica sceneggiatura, sono risultate poco calzanti con il mood generale, al punto da risultare alquanto ridondanti e decisamente fuori luogo, oltre che poco divertenti.

Tolte queste incertezze, il gioco scorre liscio senza troppi scossoni, anche se a latitare è un altro elemento che, in simili produzioni, dovrebbe farla da padrone: la paura. Reveil non spaventa, pur essendo descritto come un horror, ma si limita a mettere in scena un pizzico di tensione, senza mai riuscire a scatenare nel giocatore l’ansia ed il terrore che sarebbe lecito aspettarsi. A rendere più evidente questa lacuna è la recitazione vocale che accompagna Walter, che è risultata in molti frangenti assai sballata e non in grado di evidenziare a dovere lo stato d’animo del personaggio, al punto da lasciarlo apparire alquanto distaccato anche nei momenti di maggiore trasporto emotivo. A tenere in piedi il tutto, pertanto, ci pensa una direzione artistica convincente, accompagnata da una buona realizzazione tecnica capace di offrire un colpo d’occhio molto gradevole, a patto di non andare ad esaminare troppo nel dettaglio alcune texture assai rivedibili. Il lavoro svolto sul fronte estetico, esce corroborato anche dalle architetture contorte che caratterizzano il level design, che si sono rivelate ottime sia per costruzione che per trovate visive, così da dare vita ad un viaggio psicologico di buonissima fattura. E poi c’è il sonoro ambientale, anche in questo caso assai efficace, capace di ritagliarsi con prepotenza uno spazio di spicco nell’economia generale. Il tutto è inoltre localizzato nella nostra lingua, nonostante siano presenti alcuni grossolani errori di traduzione.

Reveil è un’esperienza sicuramente interessante che, pur non brillando per originalità, riesce a distinguersi grazie ad una sceneggiatura ben congegnata e ad un colpo di scena capace di spiazzare a dovere il giocatore. La componente ludica è solida, con puzzle ben strutturati e un level design ispirato, ma le (fortunatamente) brevi sezioni di caccia in stile survival horror moderno risultano poco calzanti con il contesto, così come fuori fuoco è apparsa la performance vocale del protagonista. La paura latita, lasciando spazio ad un pizzico di tensione che non riesce mai a sfociare in vero e proprio terrore. Pur con questi difetti, il titolo risulta comunque molto piacevole, ma i meriti sono più da ritrovare in ciò che racconta piuttosto che nel modo in cui si lascia giocare.