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Recensione di The Elder Scrolls V: Skyrim

Recensione di The Elder Scrolls V: Skyrim di Console Tribe

di: Pasquale "corax" Sada

Undici, undici, duemila-undici. Una data che fa tremare le ossa, scelta da Bethesda non a caso.
La pergamena degli antichi torna a narrare una nuova storia, carica di mito, sangue e pathos. Questa volta ad ospitarci sono le fredde e buie terre di Skyrim, la regione più a nord di Tamriel dove un’oscura minaccia sta tramando per distruggere il genere umano. Cinque anni per mettere mano alla spada, cinque anni per mettere mano allo scudo, cinque anni per indossare l’armatura. Un solo istante per risvegliare il cuore della battaglia.

Dragons

Quando ci si avvicina ad un titolo come The Elder Scrolls V: Skyrim parlare di narrativa, almeno nel senso stretto del termine, è quantomeno impreciso. Per usare una metafora fluviale, Skyrim somiglia moltissimo al Rio delle Amazzoni: un corso d’acqua lungo e tortuoso sul quale si innestano una miriade di affluenti che si aggiungono alla corrente principale modificandola e arricchendola. La fonte è sempre quella, la nascita da prigioniero, prima di accedere all’estrema libertà del mondo di Skyrim.

Il nostro protagonista, creato attraverso il ben noto editor, si troverà trasportato verso la morte per colpe non sue. Gettato in catene e ad un passo dalla fine, sarà liberato da un evento straordinario che darà il là all’intera vicenda. Dopo pochi passi da uomo libero saremo già presi dall’intricatissima main quest che vede due poteri contrapposti, quello dei ribelli e quello legittimo, pronti a darsi battaglia fino alla morte. Accanto a questo filone principale ci sarà spazio per la nostra particolare ricerca, che si definisce quasi come un romanzo di formazione alla scoperta delle particolari qualità insite nella nostra natura. È un viaggio irto di pericoli e costellato di deviazioni che saprà sorprendere, commuovere e divertire. Certo, l’eccellenza si raggiunge nel fitto sottobosco di voci, rumors, pettegolezzi e gossip che circondano le side quest. È una strana sensazione trovarsi faccia a faccia con personaggi dei quali si è sentito vociferare dalla gente, oppure scoprire bestie delle quali ci avevano assicurato la natura esclusivamente fantasiosa. Ogni quest, dal semplice “vai e raccogli” al “contratto d’assassino”, nasconde sempre una piccola vicenda da ascoltare che rende l’obiettivo finale quasi marginale. Corredato da un doppiaggio eccellente, da musiche splendidamente coinvolgenti e mai invasive, l’esperienza di Skyrim si pone come uno degli esempi massimi del genere ruolistico, costruendo un mondo vivo e pulsante capace di rapire il giocatore come poche altre esperienze videoludiche.

Le terre di ghiaccio

Era lecito aspettarsi un’ambientazione mista tra dark medioevale e celtico. Bethesda è riuscita, però, a personalizzare la sua creatura inserendo prima di tutto le razze classiche dell’universo di Tamriell e poi aggiungendo di tanto in tanto qualche inserto creativo non di secondo piano. Come nella controparte “viva”, così anche l’architettura sembra voler trasmettere un vissuto, raccontando la storia di popoli e insinuando misteri. Grotte, castelli e villaggi riescono a restituire quella sensazione di avventura, quel piacere della scoperta che solo le migliori fiabe trasmettono. Gli scorci panoramici, nonostante il dettaglio non eccellente, riescono sempre ad essere evocativi, eccezion fatta per i campi aperti dove la linea d’orizzonte si spalma come una massa informe. Eccellente, invece, la resa di acqua e neve, vere protagoniste dei viaggi nelle lande desolate, che dimostrano come il nuovo motore grafico sia in grado di gestire in modo eccellente l’enorme massa di poligoni a schermo. Ricco anche il bestiario che, tra nuove e vecchie conoscenze, si porta dietro un gran numero di esseri viventi (e non) da ammazzare. Sicuramente l’aspetto meno convincente dell’intero comparto è una certa ripetitività degli ambienti chiusi e dei dungeon. Non siamo ai livelli della “copia carbone” di Oblivion, ma una certa sensazione di déjà-vu si insinua dopo poche ore, soprattutto nei provetti esploratori. Diverso il discorso per gli ampi spazi aperti che hanno un fascino proprio. Attraversarli a cavallo (valida alternativa al fast travel, comunque presente), è una sensazione unica, un concentrato di libertà che si unisce al pizzicore per il pericolo imminente. Insomma un’esperienza unica.

Figli delle stelle

Quando si mette mano a spada e scudo, l’effetto nostalgia è inevitabile. Troppi ricordi, troppe anime che tornano a raccontare la loro storia, troppi amici scomparsi. Eppure è una sensazione di estrema potenza, che ricongiunge col passato. Bethesda ci ha consegnato la stessa configurazione di Oblivion, con qualche piccola miglioria per rendere tutto più fluido. Le mani diventano il fulcro dominante del sistema di combattimento. Entrambe possono essere equipaggiate con un’arma o una magia, creando molteplici soluzioni tattiche. È anche possibile equipaggiare la stessa magia su due mani diverse per combinarne e potenziarne l’efficacia. Gli scontri spessissimo prendono una piega ragionata, costringendoci a saltare da un equip all’altro per non soccombere. Troppo poco è stato fatto, però, per migliorare il feeling dello scontro in prima persona: il più delle volte dovremo allontanarci “ad occhio” dal nemico per schivare i colpi, soprattutto brandendo un’arma a due mani che garantisce una protezione quasi nulla. Lo stesso si dica della modalità in terza persona che, nonostante i miglioramenti, rimane comunque ostica, complici soprattutto animazioni non eccellenti che mettono “fuori tempo”. Quando i nemici cominciano a martellarci con fendenti quasi invisibili la situazione può farsi tragica. È in momenti come questi che il nuovissimo potere della voce può correre in nostro soccorso. Il nostro eroe è infatti benedetto da una particolare caratteristica derivatagli dal suo sangue di drago. Schiacciando il dorsale destro si libererà dalla nostra bocca un’onda d’urto devastante in grado di stordire i nemici e renderli vulnerabili alla nostra finisher mortale. Nel corso dell’avventura il potere derivato dai rettili volanti assumerà sfaccettature diverse, in grado di influire decisamente sull’esito degli scontri.

Un encomio va fatto a Bethesda per aver, invece, rivoluzionato il sistema di progressione del personaggio. Sono state totalmente cassate le abilità atletiche che confluiscono nella stamina, una delle tre caratteristiche potenziabili ad ogni livello. Diventano invece fondamentali le abilità distribuite sulle costellazioni. Ogni abilità sale di livello con l’uso ma sono necessari dei punti per sbloccare nuove perks. Questa sinergia tra livello delle capacità e livello personaggio garantisce una progressione veloce ma profonda che ci permetterà di sviluppare avventurieri aderenti al nostro stile di gioco.
Invariato il sistema di crafting che farà sempre uso di mole per affilare le lame e banchi da alchimista per sviluppare pozioni e magie. Un’attività che non si riesce a far diventare più intrigante e divertente da portare avanti.
Maggiore profondità acquista l’albero dei dialoghi che si fronda del sistema d’espressioni per dare spazio a una scelta più oculata delle risposte. Eviteremo così di fallire quest o perdere oggetti per colpa di un minigame non proprio riuscitissimo.

Il ritorno del Re

Skyrim è un titolo mastodontico con una longevità devastante. Bethesda ha strutturato una corposa main quest che si associa a numerose side quest di spicco, tra le quali vanno segnalati i contratti delle gilde che si riattiveranno all’infinito proponendo sfide sempre nuove. A questo pacchetto si affianca un mondo ricco e complesso che fa da sfondo a una vicenda intrigante e mozzafiato, in grado di tenere il giocatore incollato allo schermo per ore. Il combat system è stato migliorato, acquistando maggiore dinamicità e rendendo più divertenti gli scontri. Pochi titoli possono vantare una vocazione all’avventura così spiccata che trasmette un piacere della scoperta davvero unico. Bethesda è riuscita a sintetizzare in un unico disco l’essenza pura del gioco di ruolo, portando su console il campione indiscusso del genere. Non tutti possono affrontare il gelo del nord con disinvoltura, eppure il suo richiamo è dannatamente irresistibile.