Recensione Recensione di Medal of Honor
Recensione di Medal of Honor di Console Tribe
di: Giorgio "Nadim" CataniaMedal of Honor sembrava l’ultimo baluardo degli FPS con ambientazione World War II. Con questo nuovo progetto cade anche questa roccaforte per lasciare spazio ad un reboot completo, ambientato questa volta ai giorni nostri e nell’ormai tristemente famosa guerra in Afghanistan. Una novità che poi non è tale visto che il titolo ripercorre ampiamente una svolta effettuata nel 2007 da Call of Duty 4: Moder Warfare. Insomma EA, con qualche anno di ritardo, approda anch’essa ai giorni nostri e più precisamente al 2002, quando gli effetti della caduta delle torri gemelle erano ancora cocenti ed evidenti. L’intero titolo è basato sull’Operazione Anaconda, il primo duro colpo inferto dagli Stati Uniti d’America alle truppe talebane e agli infiltrati di Al-Qaeda. Operazione che, come sappiamo, ha schiantato ma non debellato le truppe dei terroristi afgani, lasciando il conflitto purtroppo ancora aperto.
No one left behind
Per metà del titolo impersoneremo un soldato del DEVGRU (gruppo speciale della Marina americana), chiamato in codice Rabbit e parte integrante della squadra Neptune. La squadra è in missione per salvare un informatore rapito da un gruppo di ceceni, utile per fare il quadro generale delle truppe talebane nella valle di Shah-i-Kot. Dopo una breve scorrazzata in città e la liberazione di Tariq, veniamo a sapere da quest’ultimo che la situazione è peggiore di quanto apparisse dagli ultimi rilevamenti. La valle brulica di forze nemiche in numero massiccio e fortemente equipaggiate, rendendo l’operazione rischiosa e sanguinosa. Da qui prende le mosse una sorta di cronistoria romanzata dei fatti dell’Operazione Anaconda. Non potevamo aspettarci un resoconto storicamente preciso, ma i ragazzi di EA si sono destreggiati bene tra il fardello cronachistico e la necessità di interessare il pubblico. Molti colpi di scena, azioni mozzafiato e cutscene in CG decisamente hollywoodiane (chi non le ha al giorno d’oggi) rendono il piatto fornito da Medal of Honor fin troppo appetibile. Discutibile la scelta di seguire quella che è ormai diventata una tradizione per gli FPS ambientati ai giorni nostri, ossia quella tendenza di spezzettare azione e storia sballottando il giocatore da una divisione militare all’altra. La necessità di arruolare lo spettatore in più gruppi militari diversi, mette seriamente in crisi la possibilità di seguire il filo narrativo con facilità e richiede una certa attenzione e a volte un replay delle sezioni passate per tenere insieme il corso delle vicende. Buono se non ottimo il doppiaggio e la sottolineatura musicale che aggiungono pathos alle azioni eroiche del gruppo Tier 1 e affini, completando l’ottima confezione filmica che Medal of Honor propone.
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Codename: U3 heavily modified
EA Los Angeles aveva promesso un Unreal Engine come non si era mai visto ed in parte il miracolo è riuscito. Peccato che questo non sia assolutamente sufficiente per tenere il passo delle ultime produzioni. Medal of Honor propone al giocatore una diversità di situazioni ed ambientazioni che mettono, purtroppo, seriamente alla prova questo motore ormai ampiamente datato. Le città costruite con una certa cognizione di causa nella loro struttura architettonica si dimostrano prive di qualsivoglia dettaglio, con texture spalmate e poca caratterizzazione generale. Stessa cosa dicasi per le missioni più propriamente all’aperto, nella selvaggia natura dei monti e della boscaglia, restituite con una certa voglia di coinvolgere ma senza quel dettaglio utile a raggiungere l’obiettivo. È un peccato dover constatare lo stesso anche per le missioni notturne che costituivano un’ottima intuizione, ma si risolvono poi in un nulla di fatto: luci scialbe e poco penetranti si bilanciano con un chiarore simile alle “notti americane” (quelle dei vecchi film dove le camere non avevano la possibilità di “vedere” con poca luce e venivano aiutate con lampade bianchissime spalmate su tutto il set). In questo scenario poco gratificante si aggirano compagni e nemici che, nonostante la ricchezza poligonale, sono penalizzati da un set di animazioni non propriamente fluido e realistico. Pregevole, invece, la caratterizzazione dell’arsenale che, sebbene non vastissimo, riproduce 1:1 l’arsenale in dotazione delle forze americane. Il dettaglio eccellente e il sapore di vissuto (sopratutto graffi sulla canna e sul corpo dell’arma) contribuiscono in parte a gettarci realmente nella mischia.
Per quanto riguarda il comparto online, invece, è stato fatto utilizzo del motore grafico Frostbite, già ammirato in Battlefield: Bad Company 2. Sebbene l’impatto generale sia abbastanza buono, con mappe sicuramente evocative, nel dettaglio i risultati sono solo discreti: le texture appaiono più slavate di quelle viste nell’offline; i modelli poligonali, seppure discretamente dettagliati, sono animati in maniera un po’ troppo rigida, gli effetti particellari non godono della cura e dello stesso impatto visivo presenti in altre produzioni simili. Gli effetti di illuminazione, invece, risultano curati, capaci di rendere più gradevoli con giochi di luci ed ombre il contorno, e di far pesare meno alcune parti meno curate.
Si può dire che il lavoro svolto, sebbene capace di regalare scorci davvero epici e paesaggi incantevoli nell’offline o di arricchire l’online con arene varie e comunque abbastanza riuscite, in linea generale non risulta qualitativamente valido quanto quello riservato ad altre produzioni.
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This dirty war…
Tecnicamente parlando, ciò che più infastidisce è il caricamento delle texture, particolarmente lento nei momenti successivi ai caricamenti. Vedere modelli poligonali rozzi e di brutto aspetto arricchiti solo dopo parecchi secondi dalla loro reale veste grafica è irritante, specialmente se il tutto avviene durante qualche scena importante.
Altro aspetto davvero sgradevole è quello legato alle sequenze “scriptate” che, in taluni frangenti, non si attivano con il giusto tempismo. Per farvi comprendere cosa si intenda, leggete questo esempio.
Dovete raggiungere un determinato punto della mappa assieme al compagno controllato dalla CPU. Se lo raggiungete prima di quest’ultimo, l’evento successivo – come un’arrampicata di una parete rocciosa, l’esplosione di qualche elemento dello scenario, l’arrivo di nemici o altro – potrebbe cominciare con parecchi secondi di ritardo. Nel peggiore dei casi potrebbe addirittura non cominciare affatto, costringendovi di fatto a ripartire dall’ultimo checkpoint. La cosa potrebbe non sembrare poi così tragica, ma in uno sparatutto che fa dell’azione e della frenesia in battaglia l’elemento principale, tutto ciò è più che criticabile, specialmente se si aggiunge il fatto che non sempre risulta chiaro al giocatore cosa fare per proseguire nel gioco – indiretto effetto collaterale del difetto appena descritto.
Aspetti solo negativi, quindi? No, niente affatto.
Il framerate risulta sempre abbastanza stabile – a parte qualche rara situazione – anche negli scontri più frenetici. Il tutto si traduce quindi in un’azione senza rallentamenti. L’I.A. di compagni e nemici, inoltre, risulta di buona fattura – escluso qualche isolato caso di incomprensibile inattività – rendendo così gli scontri dinamici e realistici.
Per quanto riguarda il gameplay puro, si è notato come Medal of Honor non si discosti minimamente dagli altri FPS in circolazione. In altre parole si spara, si corre, ci si abbassa, si cambia arma e si spara ancora come in un qualsiasi sparatutto, con comandi pressocché identici a quelli di un Call of Duty a caso. Degni di nota la possibilità di coprirsi dietro un riparo e sporgersi quel tanto necessario a sparare ai nemici – azione già vista in Killzone 2, che risulta funzionale e, in più di un frangente, utile – e le due sessioni strutturate sull’utilizzo di due mezzi militari – che spezzano la frenesia delle sparatorie, in maniera sì spettacolare ma un po’ troppo limitata e lineare.
!==PB==!
We must fight together!
La seconda importante e immancabile modalità di gioco di Medal of Honor è quella multiplayer, in cui il giocatore viene trascinato sui campi di battaglia visti nella campagna single player per sfidare altre persone in carne ed ossa.
Se per molti versi questa è simile a quella di Battlefield: Bad Company 2 – gli sviluppatori, gli svedesi DICE, e il motore grafico in fin dei conti sono gli stessi, come già accennato – per altri aspetti ricorda molto più la serie concorrente, ovvero quella di Activision, il famosissimo e campione di incassi Call of Duty.
Ma partiamo con ordine. Entrati nella modalità online, vi apparirà su schermo un classico menu, le cui opzioni principali sono quelle legate all’ingresso in partita, con la possibilità di invitare o meno i propri amici, e alle statistiche, testimonianza dei progressi fatti e dei risultati di tutti i match affrontati. Una volta che si deciderà di iniziare un nuovo scontro, scelta la modalità preferita, verrete catapultati in una delle mappe presenti e la guerriglia avrà inizio. A seconda del tipo di partita scelto, si avranno obiettivi differenti: dai normali massacri tipici dei deathmatch, in cui uccidere più soldati possibili della squadra rivale, a corse contro il tempo in cui sarete chiamati a piazzare – o disinnescare – ordigni sulla strumentazione nemica o propria, fino a lotte per il controllo di determinati settori del campo di battaglia. Quantunque queste modalità si dimostrino varie, presentando in taluni casi idee interessanti – come in Missione Tattica, dove completando gli obiettivi si potrà accedere ad ulteriori zone di battaglia, prima bloccate – risultano poche se confrontate con gli sparatutto della concorrenza, così come le mappe.
Parlando invece dello sviluppo del proprio alter-ego, il giocatore man mano che farà uccisioni o completerà le missioni assegnategli, otterrà preziosi punti esperienza con cui salire di livello nella classe utilizzata. Ad ogni nuovo livello sbloccato si riceveranno utili accessori da montare sulle proprie armi, come caricatori extra, mirini di ogni tipo e silenziatori, arricchendo la personalizzazione del soldato in maniera varia e articolata (anche se, pure qui, le possibilità sono minori rispetto ad altri FPS). Interessante risulta anche lo sviluppo delle tre classi disponibili, abbastanza bilanciate, che non crescono di pari passo ma bensì in base al loro utilizzo durante gli scontri. Insomma, passerete numerose ore per sbloccare tutto quanto e per diventare così sempre più forti e competitivi.
Competizione che crescerà anche grazie alla possibilità di utilizzare dei bonus, molto simili alle killstreak di Modern Warfare, di differente natura, ottenibili dopo un determinato numero di uccisioni consecutive, e di due tipi: quelle di difesa e quelle di attacco. Potrete quindi richiamare UAV, disturbare i radar nemici, utilizzare attacchi aerei o di artiglieria e bombardamenti con i Predator.
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Il netcode e il matchmaking svolgono efficacemente il loro lavoro. Il primo si rivela stabile, a parte qualche episodio di lag e qualche rarissimo freeze; il secondo è davvero ben programmato, con partite facilmente reperibili e caricamenti quasi nulli.
A ciò va aggiunta, come già accennato, una grafica di livello abbastanza buono, anche se non particolarmente pulita e dettagliata.
Però… esiste un però. Nonostante il buon lavoro, ci sono alcuni difetti che minano la bontà generale del tutto. Per prima cosa un respawn incosciente che, seppur rapido e a favore dell’azione, spesso farà rinascere il giocatore in aree ad alto tasso di mortalità. Risulta infatti fastidioso tornare in vita per morire dopo pochi passi – e a volte dopo nemmeno un paio di secondi – perché sulla traiettoria di proiettili nemici, sotto bombardamenti di ogni tipo o sopra una granata. Se la cosa si limitasse a sporadiche occasioni, non ci sarebbe molto da lamentarsi ma il problema è che tali situazioni capitano abbastanza di frequente, rovinando nei casi più fortunati le tattiche preparate, nei più sfortunati le statistiche di un’intera partita. Inoltre era lecito aspettarsi un’interazione maggiore con le arene di gioco, i cui elementi distruttibili sono davvero una manciata. Non si chiedeva certo un gameplay uguale a quello di Bad Company, certo, ma neppure il perfetto contrario.
Infine, da segnalare una confusione generale degli scontri nelle situazioni più affollate, con soldati che talvolta si assomigliano un po’ troppo e non vengono riconosciuti immediatamente – essenziale in uno sparatutto online – e con esplosivi, come le classiche granate, più deboli di quanto ci si aspettasse, incapaci di uccidere se non sulla brevissima distanza. Se a tutto ciò si accosta l’assenza di una “visuale morte” che faccia capire come si è morti (o almeno inquadri l’utente che vi ha ucciso), comprenderete come alla lunga morire, più che rivelarsi utile per migliorare ed apprendere, si dimostri solo frustrante.
Insomma, la modalità online risulta varia, articolata e ricca, ma per qualche leggerezza di troppo – comunque ancora modificabile tramite le immancabili patch – e per una natura ibrida che, alla fin fine, prende di peso alcuni elementi buoni sia da Bad Company che da Modern Warfare, senza spiccare quindi per originalità, risulta priva di carattere. È divertente, senz’altro, e capace di intrattenere a lungo, specialmente chi ha apprezzato la serie Battlefield, ma non è in grado di distinguersi per particolari meriti e, quindi, di spiccare dalla massa e coinvolgere chi magari è alla ricerca di qualche novità.
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War… war never changes!
Medal of Honor risulta uno sparatutto di buona fattura e piacevole ma incapace di rivelarsi davvero originale. La Campagna, nonostante sia curata e ricca di colpi di scena, lo fa assomigliare fin troppo alla serie Modern Warfare, solo con una storia differente e personaggi un po’ più realistici (e una longevità ancora più ridotta). La sezione multiplayer, oltre ad ispirarsi sempre al titolo Activision, attinge a piene mani da Bad Company, impedendogli quindi anche in questo caso di differenziarsi.
Ciò non è necessariamente un male, anzi, ma dopo due Modern Warfare e un paio di Bad Company era lecito aspettarsi dai ragazzi EA – che avevano promesso grandi cose – qualcosa di più originale.
Alla fine il tutto si traduce nell’ennesimo sparatutto di buona fattura e con un decente comparto online, né più né meno.
Cosa che, in realtà, più che di piatto ben preparato ha il gusto di occasione sprecata.