Recensione Recensione di Eat Lead: The Return of Matt Hazard
Recensione di Eat Lead: The Return of Matt Hazard di Console Tribe
di: RedazioneNon tutte le ciambelle riescono con il buco.
Questo proverbio è spesso veritiero, come in questo caso. A
volte infatti capita che le software house non riescano a mantenere le
promesse fatte, sfornando prodotti non all’altezza delle
aspettative. Eat Lead
ne è una prova, titolo di nicchia, che aspirava ad essere un
gioco semplice ma divertente e che è riuscito solo in parte
nell’impresa.
Il ritorno di Matt Hazard!
Procediamo con ordine: Eat Lead è un action senza
molte pretese in cui si impersona Matt Hazard, un eroe dei videogiochi
vecchio stile, alle prese con una nuova e moderna avventura.
Scopo del gioco, oltre a sparare a tutto quello che si muove, è scoprire chi sta cercando
di “cancellare” Matt dal sistema. Il protagonista, infatti,
non è il solito personaggio dei videogame che prende ogni cosa
sul serio. Sa di essere in un videogioco (dopotutto, nella trama,
questo è il suo lavoro, fare la star nei VG alla ribalta) e
prende il suo compito molto alla leggera. Durante il progredire della
storia Hazard vive dei cliché tipici di altre serie o
addirittura di alcuni film, e lui è sempre pronto a fare battute
irriverenti sulle circostanze o sui personaggi in cui si imbatte.
Ciò offre ai programmatori un’ottima opportunità per farsi beffe di titoli famosi quali Halo, Mario Bros, Bioshock e, in particolare, Final Fantasy (uno dei boss da affrontare nel gioco, Altos, sembra uscito dai vecchi JRPG).
Non solo i videogame, ma anche alcuni film vengono bellamente derisi,
inclusi quelli di kung fu, la saga di 007 e l’inconsistente Charlie’s Angels).
Matt inoltre non rinuncia a fare commenti taglienti in svariate
situazioni, rivolgendosi indirettamente al giocatore. I suoi avversari
e alleati sono adatti non solo a fornire pretesti per buone battute ma
servono per tenere in piedi una trama semplice (e non particolarmente
originale) e fornire, di tanto in tanto, qualche sezione di gioco dallo
stile diverso da quelle in cui si spara solamente (fin troppo
ripetitive e uguali).
Meglio un colpo in testa oggi che due al petto domani!
Il cuore del titolo è quello di un action puro, in cui
perlopiù si spara. Lo scopo principale del gioco è quello
di svuotare caricatori su tutto ciò che si muove (e non solo, se
si vuole ottenere qualche Trofeo o Obiettivo extra).
In ogni area visitata i nemici sono presenti in grande numero e Matt,
per continuare la sua corsa verso la zona successiva, deve farli fuori
fino all’ultimo.
Tutto quello che si vede fin dalla prima schermata (sparatorie, nemici
e coperture) si vede fino ai titoli di coda, seppure mascherato in modi
differenti.
Sparare, sparare, sparare: questo sembra essere l’imperativo del
gioco, e questo si rivela certamente un pesante difetto. Un po’
di varietà non avrebbe guastato: le uniche pause dalle
revolverate (che si verificano ogni manciata di secondi) sono quelle a
base di semplici Quick Time Events durante gli scontri con alcuni
divertenti boss.
I nemici, oltre a non subire in maniera permanente gli effetti dei
danni localizzati (escluso l’immancabile, e in questo caso
abusato, headshot), sono gestiti spesso da un’intelligenza
artificiale piuttosto carente. È vero che cercano ripari e
prendono le armi migliori dei loro compagni caduti ma troppo spesso
rimangono esposti al fuoco di Matt e non è raro che i loro colpi
vadano a vuoto (anche a distanza ravvicinate).
Le uniche due note da fare, che in parte compensano questi difetti,
sono il numero di avversari in campo, sempre elevato, e lo stile
grafico con cui sono rappresentati.
Per quanto concerne la prima caratteristica, capita spesso di dover
affrontare anche una decina di nemici alla volta, perciò
è sconsigliabile correre per l’arena di gioco nella
speranza di non essere colpiti.
Dal punto di vista grafico, invece, vi sono differenti tipologie di
soldati cibernetici da affrontare: si spazia dai cowboy che fanno il
verso a quelli più realistici di Call of Juarez, ai nazisti bidimensionali ispirati a quelli dell’originale Wolfestein
(con un livello anni ’80), a robot che imitano le movenze della famosa
archeologa Croft. Sotto questo aspetto, quindi, non ci si può
proprio lamentare.
Più si procede nel gioco più la difficoltà
aumenta, a volte troppo bruscamente, rendendo alcune sezioni piuttosto
frustranti.
Interessanti le armi disponibili che, pur non essendo molte, sono varie
e in certi casi pure simpatiche (un esempio ne è la pistola ad
acqua, divertente variante di quella normale).
Ad arricchire tutto questo ci pensano i poteri extra che Hazard
potrà utilizzare, che forniscono maggior varietà e
tatticità agli altrimenti fin troppo ripetitivi combattimenti. E
anche qui il gioco si spreca in citazioni in chiave comica di alcuni
titoli arcinoti.
In definitiva il gameplay può risultare macchinoso in qualche
circostanza, specialmente quando bisogna sfuggire ai cecchini
utilizzando il sistema di coperture, anche se con un po’ di
pratica ciò non costituisce un problema insormontabile.
Infine, ultima nota abbastanza dolente da dover muovere, la
longevità del titolo non risulta sufficiente. Nonostante la
presenza di una difficoltà più elevata da sbloccare,
pochi sono gli incentivi a rigiocarsi il titolo. Trofei e Obiettivi non
bastano ad allungare la vita di un titolo breve (nemmeno una decina di
ore per concluderlo), e in più il multiplayer è
totalmente assente (ai giorni d’oggi questa modalità
è rilevante, visto che quasi tutti i titoli la supportano).
Il mio regno per un bonus salute!
Per sopravvivere alle centinaia di nemici che vogliono fare la pelle a
Matt tornano utili i ripari disseminati per i livelli. Che sia uno
scatolone o un armadio, ogni oggetto dello scenario può tornare
utile per mettersi al sicuro. E una volta dietro la copertura, il
nostro eroe può sporgersi per sparare ai nemici, in maniera
precisa, o fare fuoco alla cieca, ottenendo risultati meno efficaci ma
anche meno rischiosi.
Dal riparo si può anche cercarne un altro da raggiungere in
maniera automatica o decidere di scavalcare quello che si sta
utilizzando.
Bisogna fare attenzione però ai ripari distruttibili (di solito
si materializzano con l’arrivo dei nemici, in pieno stile Matrix)
che dopo pochi colpi si dissolvono nel nulla.
Bisogna porre ulteriore attenzione agli oggetti esplosivi, come gli
immancabili barili di benzina e gli estintori, utili per fare fuori
gruppi di avversari in pochi istanti, ma altrettanto pericolosi se gli
si sta troppo vicini.
I livelli sono strutturati in maniera adatta per affrontare gli
scontri, rivelandosi abbastanza grandi (caratteristica che permette sia
a Matt che ai nemici manovre di aggiramento) e ben caratterizzati (ogni
livello ha un’ambientazione sua, unica) ma purtroppo anche
eccessivamente lineari. Un po’ di libertà in più
avrebbe fatto piacere, così come l’implementazione di
un’interattività quasi assente (reagiscono ai colpi solo
gli oggetti esplosivi e pochi altri, perlopiù bonus).
I bei pixel dell’epoca moderna!
La grafica di gioco risulta spesso scarna. Se in certi momenti si
notano dei passaggi ben curati, molti oggetti e personaggi risultano
poveri di dettagli, eroe della storia escluso.
Texture scarne, nemici troppo simili tra loro (nonostante le differenti
tipologie) e aree varie ma in alcuni casi eccessivamente spoglie non
consentono al titolo in questione di raggiungere i livelli qualitativi
sperati.
Vanno considerati anche alcuni sporadici casi in cui il gioco rischia
di “freezare” la console, cosa inspiegabile dato che il gioco non muove
nulla di pesante.
Le animazioni a volte appaiono troppo legnose, specialmente nelle fasi
in cui si decide di tirare qualche pugno agli avversari troppo vicini.
Ad appesantire un reparto tecnico già di per sé non
brillante ci pensa anche una sincronizzazione dei dialoghi davvero mal
riuscita. Seppur il doppiaggio nella nostra lingua sia stato fatto
bene, dà fastidio vedere i personaggi gesticolare e muovere le
labbra quasi sempre in ritardo rispetto al sonoro.
Le musiche, invece, risultano piacevoli e adatte alle situazioni in cui
ci si trova. Dal vago gusto retrò, per rimanere legate al
personaggio che coniuga il vecchio con il moderno, conferiscono ritmo
ai combattimenti.
It’s Hazard time!
In conclusione, Eat Lead soffre di troppe pecche, alcune
gravi altre meno, e questo non permette al titolo di spiccare sulla
massa. Ciò non toglie che non sia neppure un fiasco clamoroso:
è divertente giocare una parodia dei videogiochi più
famosi e sentire i commenti irriverenti di Matt Hazard.
Per chi si accontenta di poco e non si preoccupa della
ripetitività insita nel gioco, e magari vuole farsi qualche sana
risata, Eat Lead è un possibile acquisto.
Per chi, invece, cerca qualcosa di più serio, che offra una
sfida, diverta a lungo o che semplicemente abbia un comparto tecnico al
passo con i tempi, è consigliato rivolgersi altrove.
Perché in fin dei conti, il tema che caratterizza la trama
caratterizza il gioco stesso: si cerca di far sopravvivere qualcosa che
sa di vecchio in un mondo fin troppo moderno.
Questo proverbio è spesso veritiero, come in questo caso. A
volte infatti capita che le software house non riescano a mantenere le
promesse fatte, sfornando prodotti non all’altezza delle
aspettative. Eat Lead
ne è una prova, titolo di nicchia, che aspirava ad essere un
gioco semplice ma divertente e che è riuscito solo in parte
nell’impresa.
Il ritorno di Matt Hazard!
Procediamo con ordine: Eat Lead è un action senza
molte pretese in cui si impersona Matt Hazard, un eroe dei videogiochi
vecchio stile, alle prese con una nuova e moderna avventura.
Scopo del gioco, oltre a sparare a tutto quello che si muove, è scoprire chi sta cercando
di “cancellare” Matt dal sistema. Il protagonista, infatti,
non è il solito personaggio dei videogame che prende ogni cosa
sul serio. Sa di essere in un videogioco (dopotutto, nella trama,
questo è il suo lavoro, fare la star nei VG alla ribalta) e
prende il suo compito molto alla leggera. Durante il progredire della
storia Hazard vive dei cliché tipici di altre serie o
addirittura di alcuni film, e lui è sempre pronto a fare battute
irriverenti sulle circostanze o sui personaggi in cui si imbatte.
Ciò offre ai programmatori un’ottima opportunità per farsi beffe di titoli famosi quali Halo, Mario Bros, Bioshock e, in particolare, Final Fantasy (uno dei boss da affrontare nel gioco, Altos, sembra uscito dai vecchi JRPG).
Non solo i videogame, ma anche alcuni film vengono bellamente derisi,
inclusi quelli di kung fu, la saga di 007 e l’inconsistente Charlie’s Angels).
Matt inoltre non rinuncia a fare commenti taglienti in svariate
situazioni, rivolgendosi indirettamente al giocatore. I suoi avversari
e alleati sono adatti non solo a fornire pretesti per buone battute ma
servono per tenere in piedi una trama semplice (e non particolarmente
originale) e fornire, di tanto in tanto, qualche sezione di gioco dallo
stile diverso da quelle in cui si spara solamente (fin troppo
ripetitive e uguali).
Meglio un colpo in testa oggi che due al petto domani!
Il cuore del titolo è quello di un action puro, in cui
perlopiù si spara. Lo scopo principale del gioco è quello
di svuotare caricatori su tutto ciò che si muove (e non solo, se
si vuole ottenere qualche Trofeo o Obiettivo extra).
In ogni area visitata i nemici sono presenti in grande numero e Matt,
per continuare la sua corsa verso la zona successiva, deve farli fuori
fino all’ultimo.
Tutto quello che si vede fin dalla prima schermata (sparatorie, nemici
e coperture) si vede fino ai titoli di coda, seppure mascherato in modi
differenti.
Sparare, sparare, sparare: questo sembra essere l’imperativo del
gioco, e questo si rivela certamente un pesante difetto. Un po’
di varietà non avrebbe guastato: le uniche pause dalle
revolverate (che si verificano ogni manciata di secondi) sono quelle a
base di semplici Quick Time Events durante gli scontri con alcuni
divertenti boss.
I nemici, oltre a non subire in maniera permanente gli effetti dei
danni localizzati (escluso l’immancabile, e in questo caso
abusato, headshot), sono gestiti spesso da un’intelligenza
artificiale piuttosto carente. È vero che cercano ripari e
prendono le armi migliori dei loro compagni caduti ma troppo spesso
rimangono esposti al fuoco di Matt e non è raro che i loro colpi
vadano a vuoto (anche a distanza ravvicinate).
Le uniche due note da fare, che in parte compensano questi difetti,
sono il numero di avversari in campo, sempre elevato, e lo stile
grafico con cui sono rappresentati.
Per quanto concerne la prima caratteristica, capita spesso di dover
affrontare anche una decina di nemici alla volta, perciò
è sconsigliabile correre per l’arena di gioco nella
speranza di non essere colpiti.
Dal punto di vista grafico, invece, vi sono differenti tipologie di
soldati cibernetici da affrontare: si spazia dai cowboy che fanno il
verso a quelli più realistici di Call of Juarez, ai nazisti bidimensionali ispirati a quelli dell’originale Wolfestein
(con un livello anni ’80), a robot che imitano le movenze della famosa
archeologa Croft. Sotto questo aspetto, quindi, non ci si può
proprio lamentare.
Più si procede nel gioco più la difficoltà
aumenta, a volte troppo bruscamente, rendendo alcune sezioni piuttosto
frustranti.
Interessanti le armi disponibili che, pur non essendo molte, sono varie
e in certi casi pure simpatiche (un esempio ne è la pistola ad
acqua, divertente variante di quella normale).
Ad arricchire tutto questo ci pensano i poteri extra che Hazard
potrà utilizzare, che forniscono maggior varietà e
tatticità agli altrimenti fin troppo ripetitivi combattimenti. E
anche qui il gioco si spreca in citazioni in chiave comica di alcuni
titoli arcinoti.
In definitiva il gameplay può risultare macchinoso in qualche
circostanza, specialmente quando bisogna sfuggire ai cecchini
utilizzando il sistema di coperture, anche se con un po’ di
pratica ciò non costituisce un problema insormontabile.
Infine, ultima nota abbastanza dolente da dover muovere, la
longevità del titolo non risulta sufficiente. Nonostante la
presenza di una difficoltà più elevata da sbloccare,
pochi sono gli incentivi a rigiocarsi il titolo. Trofei e Obiettivi non
bastano ad allungare la vita di un titolo breve (nemmeno una decina di
ore per concluderlo), e in più il multiplayer è
totalmente assente (ai giorni d’oggi questa modalità
è rilevante, visto che quasi tutti i titoli la supportano).
Il mio regno per un bonus salute!
Per sopravvivere alle centinaia di nemici che vogliono fare la pelle a
Matt tornano utili i ripari disseminati per i livelli. Che sia uno
scatolone o un armadio, ogni oggetto dello scenario può tornare
utile per mettersi al sicuro. E una volta dietro la copertura, il
nostro eroe può sporgersi per sparare ai nemici, in maniera
precisa, o fare fuoco alla cieca, ottenendo risultati meno efficaci ma
anche meno rischiosi.
Dal riparo si può anche cercarne un altro da raggiungere in
maniera automatica o decidere di scavalcare quello che si sta
utilizzando.
Bisogna fare attenzione però ai ripari distruttibili (di solito
si materializzano con l’arrivo dei nemici, in pieno stile Matrix)
che dopo pochi colpi si dissolvono nel nulla.
Bisogna porre ulteriore attenzione agli oggetti esplosivi, come gli
immancabili barili di benzina e gli estintori, utili per fare fuori
gruppi di avversari in pochi istanti, ma altrettanto pericolosi se gli
si sta troppo vicini.
I livelli sono strutturati in maniera adatta per affrontare gli
scontri, rivelandosi abbastanza grandi (caratteristica che permette sia
a Matt che ai nemici manovre di aggiramento) e ben caratterizzati (ogni
livello ha un’ambientazione sua, unica) ma purtroppo anche
eccessivamente lineari. Un po’ di libertà in più
avrebbe fatto piacere, così come l’implementazione di
un’interattività quasi assente (reagiscono ai colpi solo
gli oggetti esplosivi e pochi altri, perlopiù bonus).
I bei pixel dell’epoca moderna!
La grafica di gioco risulta spesso scarna. Se in certi momenti si
notano dei passaggi ben curati, molti oggetti e personaggi risultano
poveri di dettagli, eroe della storia escluso.
Texture scarne, nemici troppo simili tra loro (nonostante le differenti
tipologie) e aree varie ma in alcuni casi eccessivamente spoglie non
consentono al titolo in questione di raggiungere i livelli qualitativi
sperati.
Vanno considerati anche alcuni sporadici casi in cui il gioco rischia
di “freezare” la console, cosa inspiegabile dato che il gioco non muove
nulla di pesante.
Le animazioni a volte appaiono troppo legnose, specialmente nelle fasi
in cui si decide di tirare qualche pugno agli avversari troppo vicini.
Ad appesantire un reparto tecnico già di per sé non
brillante ci pensa anche una sincronizzazione dei dialoghi davvero mal
riuscita. Seppur il doppiaggio nella nostra lingua sia stato fatto
bene, dà fastidio vedere i personaggi gesticolare e muovere le
labbra quasi sempre in ritardo rispetto al sonoro.
Le musiche, invece, risultano piacevoli e adatte alle situazioni in cui
ci si trova. Dal vago gusto retrò, per rimanere legate al
personaggio che coniuga il vecchio con il moderno, conferiscono ritmo
ai combattimenti.
It’s Hazard time!
In conclusione, Eat Lead soffre di troppe pecche, alcune
gravi altre meno, e questo non permette al titolo di spiccare sulla
massa. Ciò non toglie che non sia neppure un fiasco clamoroso:
è divertente giocare una parodia dei videogiochi più
famosi e sentire i commenti irriverenti di Matt Hazard.
Per chi si accontenta di poco e non si preoccupa della
ripetitività insita nel gioco, e magari vuole farsi qualche sana
risata, Eat Lead è un possibile acquisto.
Per chi, invece, cerca qualcosa di più serio, che offra una
sfida, diverta a lungo o che semplicemente abbia un comparto tecnico al
passo con i tempi, è consigliato rivolgersi altrove.
Perché in fin dei conti, il tema che caratterizza la trama
caratterizza il gioco stesso: si cerca di far sopravvivere qualcosa che
sa di vecchio in un mondo fin troppo moderno.