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Recensione di Duke Nukem Forever

Recensione di Duke Nukem Forever di Console Tribe

di: Simone Cantini

Lo abbiamo a lungo atteso (si parla di oltre 12 anni!), nel corso di un’eternità in cui le speranze, le promesse e le aspettative si sono andate pericolosamente ad accavallare le une sulle altre. Eppure, alla fine, quello che è da sempre considerato come il vaporware più famoso della storia videoludica, ha raggiunto gli scaffali di tutto il mondo, pronto ad irrompere con un sonoro e stivaluto calcione all’interno delle nostre console: ma ne sarà davvero valsa la pena? Duke Nukem Forever è riuscito a sopportare il peso di una responsabilità che, ad ogni annuncio o semplice rumour, ha visto ingigantire a dismisura le proprie dimensioni? Oppure la produzione Gearbox è finita unicamente con il cadere vittima del suo stesso hype?
Continuate la lettura e lo saprete.

Dove eravamo rimasti?

Chiunque abbia almeno una ventina di anni sulle spalle non potrà non esibirsi in un sorriso ebete, non appena sullo schermo della propria TV vedrà comparire in un angolino la faccia del Duca, intento a fumare l’ennesimo sigaro. Il sorriso si andrà sempre più spalancando quando a fianco del muscoloso eroe spunteranno due belle ragazze, pronte a soddisfarne ogni voglia. E, a quel punto, non sarà difficile sentire correre un brivido lungo la schiena nel sentire il nostro eroe pronunciare quell’I’m Back tanto atteso, prima che la sequenza introduttiva di questo sospirato Duke Nukem Forever prenda possesso della scena. In un turbinio di immagini stilizzate, ripercorreremo in poco più di un minuto ognuno degli eventi che hanno caratterizzato il mai dimenticato Duke Nukem 3D, il tutto accompagnato da una pompatissima colonna sonora hard rock.

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Un inizio con il botto, niente da dire!
Terminate le presentazioni di rito, ci ritroveremo dinanzi al menu principale, attraverso il quale sarà possibile cimentarsi nella campagna, accedere alle funzionalità online, gestire le opzioni, oppure acquistare gli immancabili DLC che, siamo sicuri, non tarderanno a rimpolpare le fila degli store online. Tutto nella norma, quindi.
Una volta avviata la modalità single player saremo subito colti da una sensazione di déjà-vu: no, non è un errore, il primo livello di gioco, oltre che a fungere da basilare tutorial, ha il compito di riproporre alle nuove (e vecchie) generazioni, lo scontro con il boss finale presente nel vecchio Duke Nukem 3D. Terminata questa breve sezione, ci ritroveremo nell’appartamento di Duke, e da qui verremo ben presto catapultati all’interno di quella che sarà l’avventura vera e propria. Niente di trascendentale, sia ben chiaro: divenuta oramai una star di fama mondiale, il nostro eroe sarà costretto (suo malgrado) ad affrontare nuovamente la minaccia aliena che era già riuscito a debellare con successo sul finire degli anni ’90. Le orribili creature, difatti, sono tornate sulla Terra più agguerrite che mai, intenzionate a rapire tutte le donne del pianeta al fine di renderle delle incubatrici viventi per i loro piccoli. Intenzionato a non perdere neppure una delle sue preziose donne, Duke non esiterà un solo istante a lanciarsi nella mischia, pronto a prendere letteralmente a calci i bulbosi posteriori degli alieni.
La produzione Gearbox si presenta come il più classico e stereotipato degli FPS: saranno quindi necessari pochi secondi per prendere il pieno controllo dei comandi, i quali sono mappati secondo gli standard a cui siamo da anni abituati. Se questa familiare sensazione ben si sposa con l’immediatezza del gameplay, lo stesso non si può dire quando una simile canonicità risulta ricadere anche su altri aspetti, primo tra tutti il level design. I vari livelli che andremo ad attraversare nel corso dell’avventura, difatti, sono quanto di più scontato, banale e piatto si possa pensare: ci aggireremo (sia che si parli di spazi aperti che di ambienti chiusi) lungo dei monotoni corridoi, incapaci di regalare al player la benché minima variazione di percorso, il tutto condito, in alcuni frangenti, da fastidiosi episodi di backtracking. A questo vanno ad aggiungersi una narrazione ed una trama decisamente sottotono, incapaci di collegare coerentemente i vari spostamenti del Duca, il quale si ritroverà sbattuto tra un livello e l’altro senza che questi cambi di setting siano regolati da una qualsiasi logica di fondo. Questa superficialità narrativa, unita a dei controlli spesso imprecisi, spiace dirlo, riesce a distruggere completamente anche le (rare in verità) trovate azzeccate presenti nel gioco: le fasi di guida, seppur molto grezze, riescono ad essere un piacevole diversivo alle solite sparatorie uno contro tutti. Lo stesso si può dire dei momenti platform, la cui unica colpa risiede nella scarsa precisione e reattività dei comandi. Purtroppo anche quello che dovrebbe essere il punto di forza di un FPS che si rispetti, ovvero la componente shooter, si è rivelata essere assai poco divertente, complice un sistema di mira approssimativo ed una precisione delle armi da fuoco che, se confrontata con quella degli avversari, risulta davvero ridotta ai minimi termini. In controtendenza con la vena conservativa che sembra permeare il tutto, Gearbox ha deciso di sposare la più moderna filosofia inaugurata dalla saga di Master Chief, secondo la quale il protagonista di gioco non è capace di portare con sé più di 2 armi da fuoco contemporaneamente. Peccato che Duke Nukem sia da sempre un personaggio esagerato, decisamente sopra le righe, e che il suo arsenale di morte abbia annoverato sin dalle origini un cospicuo numero di bocche da fuoco. Bene, dimenticate quindi quello che poteva essere l’unica eredità del passato capace di risultare vincente anche nel 2011: Duke, adesso, deve dire addio a tutta la sua capacità di offesa, al punto da risultare sin troppo spesso male armato (complice anche una risibile capacità dei caricatori) in occasione degli scontri con gli alieni. Una decisione davvero inspiegabile.
Salta, quindi, prepotentemente all’occhio come tutto il gioco poggi sulle muscolose spalle del protagonista che, rimanendo fedele alla sua caratterizzazione, si presenterà da subito come cinico e strafottente, indissolubilmente innamorato del proprio ego e di tutte le belle donne. Purtroppo, però, non basta un nutrito campionario di volgarità ed elementi sexy a fare di un gioco mediocre un prodotto imperdibile.

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Fail to the king, baby!

Se la produzione Gearbox può senza dubbio fregiarsi di un personaggio decisamente accattivante, lo stesso non può dirsi del comparto tecnico sul quale poggia l’intera struttura di gioco. Sin dai primi istanti, difatti, ci ritroveremo a chiederci con insistenza se il disco di gioco sia dotato di qualche magica proprietà spazio-temporale, capace di risucchiare noi e le nostre console indietro di qualche annetto. L’impatto estetico sarà devastante: dimenticate i virtuosismi (per rimanere in ambito FPS) di Killzone o Crysis 2, ma lasciate anche da parte qualunque altro esempio tecnicamente non al top. Duke Nukem, purtroppo, non si vergogna di presentare al giocatore un quadro composto da texture dalla qualità talvolta davvero imbarazzante, una modellazione poligonale che definire minimalista è estremamente riduttivo (un esempio su tutti, gli autobus che troverete non appena lasciato il casinò) e una gestione dell’illuminazione e degli effetti particellari che avremmo esitato a tollerare anche una generazione fa. Insomma, sembra quasi che il team responsabile del gioco abbia messo per la prima volta le mani sull’engine destinato a gestire tutta la baracca: peccato che si stia parlando dello stra-abusato e ben più performante Unreal Engine 3 e non di chissà quale ultimo ed indomabile ritrovato della tecnica.
Le cose, purtroppo, non migliorano per quanto riguarda la realizzazione delle animazioni dei personaggi, i quali sembrano essere anche loro riesumati da qualche produzione low budget di inizio millennio, tale è la rigidità dei movimenti: le ballerine e le spogliarelliste, che dovrebbero rappresentare la summa della becera sessualità da sempre marchio di fabbrica della serie, sono ridotte a dei meccanici manichini, incapaci di suscitare anche il minimo prurito ormonale. Lo stesso vale per il protagonista che, molto spesso, sembrerà soltanto una versione in alta risoluzione di quello presentatoci dai 3D Realms nel lontano 1997: provate a muovervi mentre vi guardate allo specchio e capirete di cosa stiamo parlando!
Ma come dice il detto, al peggio non c’è mai fine…
Alla luce di quanto visto viene, allora, opportuno chiedersi come mai i programmatori non abbiano optato per riproporre il tutto in cel-shading, riciclando quanto di buono era già stato fatto in Borderlands: di sicuro un personaggio da fumetto come il buon Duke si sarebbe trovato maggiormente a suo agio in un simile contesto.

Le cose migliorano sostanzialmente sotto il profilo sonoro, complice un doppiaggio in lingua italiana davvero ben confezionato: anche i puristi della saga, abituati a sentir sproloquiare il Duca nella lingua di Albione, non potranno non riconoscere l’ottimo lavoro effettuato in sede di localizzazione. Certo, sentire tradotte le tipiche espressioni scurrili del protagonista può lasciare, di primo acchito, spaesati, soprattutto i giocatori di vecchia data, ma passato l’iniziale periodo di rigetto siamo sicuri che il biondo protagonista saprà strapparvi più di un sorriso. Buono anche il lavoro svolto in fase di orchestrazione, grazie ad un campionario di brani di stampo hard rock/metal decisamente ben costruiti che, seppur non memorabili, si sono rivelati decisamente convincenti e mai, cosa molto importante, invasivi: una menzione d’onore spetta, sicuramente, alla tamarrissima (e già citata) traccia d’apertura e alla rivisitazione, in chiave estremamente hard, della Cavalcata delle Valchirie tanto cara ai fan di Apocalypse Now.

!==PB==!
Un’esplosione di noia

Oltre alla consueta modalità single player, Duke Nukem Forever annovera anche un comparto multiplayer capace di ospitare in simultanea sino ad 8 giocatori. Anche in questo caso tutto è implementato all’insegna della tradizione: tra le modalità disponibili saranno presenti, oltre all’immancabile Deathmatch (sia singolo che a squadre), il Capture the Babe, una variazione decisamente a tema del canonico Capture the Flag e l’Hail to the King, l’equivalente della più conosciuta King of the Hill. Nel momento in cui avrete accesso al comparto online, balzeranno subito all’occhio le notevoli possibilità di customizzazione che Piranha Games (lo studio che si è occupato del multiplayer) ha deciso di regalarci: sarà possibile, progredendo nel gioco, accedere ad un nutrito set di oggetti, con i quali potremo abbigliare il nostro avatar nella maniera che riterremo più opportuna. Inoltre è stato introdotto un appartamento virtuale che, sempre tramite l’ottenimento di un determinato numero di punti, potremo riempire di un quantitativo impressionante di elementi, i quali spazieranno dai più classici complementi di arredo sino ad arrivare a piccanti e provocanti cameriere.
Insomma, almeno sulla carta il gioco pare avere tutte le caratteristiche utili a tenere ben sveglio l’interesse del giocatore.
Peccato che le cose cambino drasticamente non appena si tenterà di avviare la prima partita.
“Non preoccupatevi! Ricordo che una delle cose per cui valeva la pena giocare online con Duke Nukem era ridurre i propri avversari in briciole, e troverete il medesimo feeling anche nel multiplayer di Duke Nukem Forever.” Con queste parole Randy Pitchford di Gearbox annunciò alla stampa l’esistenza della modalità multiplayer. E si può affermare, senza timore di essere smentiti, che l’obiettivo è stato (ahinoi!) pienamente centrato.
Il comparto online di Duke Nukem Forever, difatti, si presenta identico in tutto e per tutto a quanto poteva essere offerto da una produzione datata 1997. A partire dalla realizzazione tecnica che, incredibile a dirsi, riesce a peggiorare quanto visto a livello estetico nella campagna: modelli poligonali ancora più poveri, texture scarsamente dettagliate ed un set di animazioni che faranno rimpiangere quanto visto nel primo, glorioso, Unreal Tournament. Se a questo si aggiunge un level design delle mappe decisamente banale, un netcode terribilmente instabile (che sarà causa di evidentissimi episodi di lag e disconnessioni improvvise) ed una esasperante lentezza nell’accedere all’elenco delle partite disponibili, appare sin troppo evidente come neppure l’esperienza multigiocatore riesca a ripagare in pieno le aspettative.

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Is it still time to kick ass and chew bubblegum?

Sembra assurdo dirlo, specie dopo più di un decennio di spasmodica attesa, ma questa ultima avventura del Duca ha l’aspetto di un gioco programmato in tutta fretta. Assieme a delle intuizioni davvero azzeccate, convivono delle meccaniche decisamente troppo datate e, se consideriamo come il tutto sia condito da una realizzazione tecnica che, per alcuni aspetti, avrebbe lasciato interdetti anche ad inizio generazione, ci rendiamo facilmente conto di come la produzione Gearbox non possa strappare la promozione. Purtroppo, ancora una volta, ci troviamo al cospetto di un prodotto che pare aver puntato tutto su di un nome dal grande richiamo, con la speranza che le lacune che lo affliggono venissero sovrastate dal carisma (forse un po’ arrugginito) del protagonista.
In definitiva, giocare a Duke Nukem Forever è come incontrare quel vecchio compagno di scuola così simpatico che, nonostante l’età, tenta ancora di farci ridere come ai vecchi tempi, senza però rendersi conto di come gli anni siano inesorabilmente passati per entrambi.