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Recensione Recensione di Divinity 2: Ego Draconis

Recensione di Divinity 2: Ego Draconis di Console Tribe

di: Claudio "Evil_Sephiroth" Perfler

Rivellon, una sorta di Terra di Mezzo tolkeniana: sulle sue spalle porta più di 2000 anni di guerre, sommosse e lotte per il potere. La pace fittizia che sembrava raggiunta è nuovamente sul punto di crollare, il sottile filo che reggeva l’equilibrio di questo magico e lussureggiante luogo è sul punto di spezzarsi, tirato da coloro che, ancora una volta, hanno ceduto alle tentazioni del lato oscuro della magia o alla propria sete di potere. Tocca nuovamente a una sola persona tentare di sedare le continue lotte intestine che straziano Rivellon e al contempo sconfiggere le fosche figure che tramano da millenni con la sola brama di dominazione.

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Accorrete Coraggiosi, accorrete!

Questo è l’antefatto di Divinity II: Ego Draconis, seguito diretto di Divine Divinity, GdR di stampo occidentale datato 2002. Gli stessi sviluppatori di Larian Studios hanno rimesso mano al mondo ideato sette anni or sono, battezzato per l’appunto “Rivellon”.
La storia che era stata raccontata nel primo titolo della saga ci aveva lasciato trionfatori su coloro che tramavano per portare il male in queste terre; trionfatori ma dubbiosi su chi avrebbe mantenuto la pace in un mondo oramai compromesso e diviso da epocali conflitti: difficilmente qualcuno avrebbe avuto forza e lungimiranza tali da mantenere l’ordine e la giustizia.
Questi gli interrogativi che lasciavano il protagonista e il giocatore al termine del primo gioco, interrogativi che trovano le loro terribili risposte in questa seconda incarnazione della saga.
Le lande che ci avevano visto così coraggiosamente combattere non solo sono attraversate da lotte intestine e da nuovi disumani conquistatori, ma il flagello dei draghi si è adesso abbattuto con ferocia su Rivellon, richiedendo nuove forze e giovani eroici combattenti.
Potevamo forse rimanere sordi a queste grida di aiuto? Potevamo forse rimanere al sicuro davanti al fuoco della nostra dimora? Assolutamente no! L’eroe che è in noi ci ordina di avventurarci nel pericoloso mondo esterno, pronti a farci bruciacchiare, divorare, sbudellare e infilzare… noi o i nostri avversari.
Quest’ultima divagazione ci porta direttamente a prendere il controllo del nostro nuovo alter-ego virtuale: un Cacciatore di Draghi, mestiere molto pericoloso a Rivellon, e casualmente ancor peggiore nel nostro caso.
Perché peggiore? Beh, cosa pensereste di un ragazzo appena diventato cacciatore che si ritrova, per amaro volere del destino, dotato della capacità di trasformarsi in un alato predatore? Aspettate, prima di gioire davanti a tal enorme capacità, ricordate i cacciatori di draghi a cui appartenete?
Pare ovvio che tale organizzazione odi e uccida i giganteschi esseri sputa-fuoco.
Ebbene si, volenti o nolenti siete proprio inguaiati (per non usare epiteti ben più volgari e dall’odore sgradevole).

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Idee Inutili

Tutto ciò verrà narrato nei primi momenti di gioco, dopo i quali avremo preso coscienza della nostra situazione e saremo pronti a vendere cara la pelle e, al contempo, a tentare di salvare le nostre ridenti terre.
Nella volontà degli sviluppatori “Divinity II” è un GdR che, sebbene mantenga alcuni aspetti tipici di capolavori del genere come Diablo e Baldur’s Gate (versione PC), punta su un gameplay ben più action ed immediato, molto simile a un mix tra Dark Alliance e Devil May Cry.
Il vostro alter-ego virtuale sarà mosso direttamente tramite la levetta sinistra mentre alla destra è assegnato il controllo della telecamera. Le abilità che apprenderete nel proseguo del gioco potranno essere liberamente assegnate ai quattro tasti principali e alle direzioni del D-pad: in totale ne potrete avere otto, sempre a disposizione.
La parte marcatamente action sarà il combattimento che si svolgerà in tempo reale: individuato un nemico potrete corrergli incontro e lanciare magie o attacchi a distanza, oltre alle classiche combo ravvicinate. Il gameplay del titolo presenta comunque anche la possibilità di mettere in qualsiasi momento in pausa e di selezionare una sequenza di azioni da compiere, che verranno eseguite una volta ripreso il gioco: una metodologia di combattimento che ricorda moltissimo il primo Neverwinter Nights. Tale approccio è però redditizio solo durante le battaglie più difficili; di norma l’intera esperienza giocata si limiterà a un pressante button-mashing che permetterà di risolvere quasi tutte le battaglie a vostro favore in modo banale. Un vero peccato se consideriamo che il livello di difficoltà di tutto il titolo era calibrato verso l’altro e pareva offrire un grado di sfida interessante. Tale problematica risulta gravissima, in quanto mina radicalmente l’utilità delle varie abilità disponibili, che si rivelano in sostanza insignificanti (se non per combattere con stile). La stessa peculiarità del gioco che permetteva di trasformarsi in drago risulta avere scarso peso, sia per l’impossibilità di attaccare nemici al suolo, sia perché quasi sempre sarà più rapido continuare a premere a caso dei tasti per concludere felicemente la lotta.
Probabilmente sembrerà che si dia troppo peso a questa banalizzazione del gameplay ma in realtà non è affatto così, alla luce del fatto che gli strascichi di questa scellerata decisione colpiscono tutti gli aspetti del titolo.

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Durante l’avventura il nostro cacciatore di draghi verrà in possesso di una dimora, una torre, dove all’interno saranno presenti alcuni NPC (personaggi non giocanti) che permettono di potenziare abilità ed equipaggiamento: se il miglioramento di armi e armature è essenziale, l’NPC delle abilità rimarrà invece coperto di ragnatele, eccezion fatta per coloro che mirano a massimizzare tutte le capacità speciali del protagonista (cosa inutile e non richiesta per avere la meglio negli scontri).
Insomma, tutti i maggiori aspetti e le particolarità del comparto giocato di Divinity II vengono messi in ombra; il giocatore non sente mai la necessità di esplorare le varie possibilità messe a sua disposizione, rendendo di fatto l’esperienza di gioco noiosa e ripetitiva. Inoltre, la scelta di non avere respawn dei mostri nelle aree obbliga a intraprendere la miriade di quest secondarie al fine di incrementare il proprio livello, impedendo al giocatore di viverle come approfondimento della storia e costringendolo ad affrontarle come mero strumento di esperienza.

!==PB==!
Punto di non ritorno

Se il gioco puro pare essere minato nella sua bontà da seri errori di ideazione, il comparto tecnico non è per niente migliore, anzi.
Inserito il disco, dopo una breve frullata del lettore, ci troviamo alla schermata iniziale, con la scritta che ci invita a premere il tasto Start. L’immagine che fa da sfondo all’avvio del gioco scatta paurosamente, come un video riprodotto su un computer troppo vecchio, cosa che peraltro accade anche in occasione dei video introduttivi relativi alla trama di gioco.
La cosa ci pare piuttosto sospetta e procediamo quindi all’installazione del gioco sul disco fisso della nostra fida Xbox 360.
Il risultato? il video scatta lo stesso.
Fiduciosi che il problema sia esclusivamente legato ai video in CG, aspettiamo la fine dell’introduzione e iniziamo a giocare. Purtroppo, però, veniamo presi sempre in misura crescente dallo sconforto: alla prima rotazione della telecamera l’intera immagine si spezza in tre parti, a testimonianza di come non esista alcuna sincronizzazione verticale. Durante i primi combattimenti, se entriamo in mischia, notiamo vistosi cali di framerate ed ulteriori scatti, accompagnati da animazioni mal realizzate col nostro personaggio che sembra sempre pattinare sul terreno.
A fatica procediamo nel gioco fino a raggiungere i primi luoghi aperti, che paiono portare ad una riduzione dei rallentamenti e degli scatti. Peccato che tale sollievo sia di durata molto ridotta, visto che fanno la loro comparsa fenomeni di pop-up incredibili e per giunta a qualsiasi distanza.
L’analisi del comparto grafico non lascia adito a dubbi: a parte effetti di illuminazione pregevoli e sicuramente di ottima fattura, tutto il resto è su livelli veramente vergognosi. Non si tratta solo di semplici texture scadenti ma, addirittura, di problemi che vanno ad inficiare la fruizione del titolo, rendendolo a tratti persino ingiocabile.
Se l’analisi tecnica non lascia spazio ad eventuali appelli, la parte più artistica sembra possa venir fuori, con un’area design abbastanza godibile e con personaggi di contorno tutto sommato realizzati in modo convincente.
Ma non basta.
Anche questa sorta di “ancora di salvezza” non permette al titolo di sollevarsi dalla sua condizione di profonda mediocrità, se non addirittura peggio.
La creazione del proprio alter-ego è quantomai scarna e limitata a poche acconciature, al sesso del propri personaggi e alla selezione della voce; insomma, troppo poco rispetto a molti altri titoli che presentano editor vastissimi e di validità ben superiore.
Ad ogni modo, anche in assenza di tali mancanze, sarebbero mancate le fondamenta indispensabili per rendere il prodotto utilizzabile in modo decente.

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Un raggio di luce nella tempesta “perfetta”

Il detto è chiaro: “Arrivati in fondo si può solo risalire”. E si rivela in parte vero quando ci troviamo a giudicare il sonoro messo a punto presso i Larian Studios.
Sul comparto sonoro di Ego Draconis c’è poco da dire, si pone sulla sufficienza e non si discosta mai da quel livello; comunque un notevole passo avanti rispetto ai precedenti.
Musiche ed effetti sonori sono ben realizzati ma assolutamente non memorabili, svolgono il loro lavoro accompagnando il giocatore alle scene più epiche che, a ben vedere, non mancano, essendo la storia una delle poche parti interessanti e “meglio” riuscite.
Insomma, spendere ulteriori parole sull’audio sarebbe inutile e impossibile: nulla di che ma neanche niente di terribile.

30 giorni di buio… troppi!

Se giunti a questo punto siete ancora attratti o, per meglio dire, incuriositi dal gioco, vi interesserà sapere che la longevità è una piacevole sorpresa e si attesta fra le trenta e le quaranta ore, che vanno ad aumentare leggermente con lo svolgimento delle innumerevoli side-quest. In realtà le missioni secondarie sono moltissime, ma una buona parte saranno obbligatorie e integrate nello svolgimento lineare della trama, essendo uno dei pochi modi per aumentare di livello. Le rimanenti doneranno un po’ di ore al titolo ma nulla di trascendentale, che si limitano però alla prima partita visto che difficilmente avrete voglia di rigiocare e subire nuovamente un supplizio simile.
Da citare, purtroppo, l’assenza di qualsivoglia modalità online o multigiocatore; se in altri giochi si è spesso parlato di forzature o aggiunte che non giovavano al titolo, in questo caso l’assenza è sicuramente pesante, dato che con poco sforzo si sarebbe potuta migliorare l’appetibilità generale.

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2012/The Knowing… insomma la fine per fortuna

Quasi mai il giocatore è felice di finire un gioco: alla gioia per aver scoperto tutta la storia segue spesso un senso di vuoto dovuto alla perdita di un mondo che ci ha “cullato” per qualche tempo, un mondo che come tutti i videogiochi è fatto di sogni e in cui talvolta speriamo di immedesimarci per ancora molto tempo.
Per fortuna non è questo il caso: potremmo definirlo come la fine di un supplizio o di una tortura. Divinity II si attesta in quasi tutti gli aspetti che lo compongono sull’insufficienza grave. Le poche cose interessanti, come la storia o alcune innovazioni nel gameplay, vengono sommerse o rese tralasciabili dall’enorme mole di difetti e bug presenti nel gioco.
A un comparto tecnico inadeguato, progettato male e poco curato si affiancano errori grossolani dovuti alla probabile assenza di testing del titolo. E siamo gentili nel dire ciò, non vorremmo mai pensare che i ragazzi di Larian Studios abbiano volutamente rilasciato una versione penosa al fine di incassare mero denaro sulla non informazione degli acquirenti, cosa che sarebbe ben più grave e sintomo di una totale mancanza di rispetto per i consumatori. E il fatto che si tratti di un prodotto a budget ridotto non giustifica comunque la totale mancanza di cura con cui è stato creato.
A tutto ciò si aggiunge la quasi certezza che un prodotto a basso budget come questo non riceverà mai patch correttive, che invece provvidenzialmente arrivano per titoli di ben altra levatura. Non che i difetti vadano giustificati, ma il sapere che prima o poi verranno risolti è un efficace palliativo.
In definitiva, usando termini e paragoni “GdRistici”, il titolo che è passato sotto le nostre mani è un triplo “1”: un fallimento critico.
Se avevate collocato Divinity II: Ego Draconis nella vostra lista acquisti di Natale, il nostro consiglio è di cancellarlo immediatamente, specie in un periodo come questo che ha visto uscite pregevoli come Risen e Dragon Age: Origins che difendono sicuramente in modo onorevole il mondo degli RPG occidentali.