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Recensione Recensione di Damnation

Recensione di Damnation di Console Tribe

di: Redazione
Ci hanno aperto la strada su mondi fantastici, alla ricerca di figure
mitologiche o svelando arcane profezie. Ci hanno dato in mano le
tecnologie più futuristiche, combattendo a bordo di veicoli di
ogni fattispecie. Ci hanno fatto saltare più in alto delle
nuvole, per raccogliere un’infinita quantità di monetine. Ci
hanno dato del filo da torcere, in situazioni multiplayer al limite
dell’assurdo e del divertimento. Ci hanno fatto innamorare di una
serie, di un personaggio carismatico, piuttosto che di una console. Ci
hanno fatto compagnia nei momenti tristi e solitari, nei momenti di
noia e di stress.

Ci hanno stupito, ci hanno intrattenuto, ci hanno drogato.

Dài, avrete sicuramente capito: stiamo parlando di videogiochi. E Damnation?

Ci dispiace, non appartiene a questa categoria.





Un engine troppo unreal



Di solito quando scriviamo una recensione partiamo da una descrizione
generale, introducendo il lettore alla trama o a un eventuale accenno
storico. Questa volta no.

Oggi preferiamo percorrere la strada a ritroso, parlando del comparto
tecnico, della grafica e dell’appeal visivo alla quale ci siamo
sottoposti. Tranquilli, non vogliamo confondervi le idee, ma chiarirle
subito.

Un lunghissimo “Ooooo!” di stupore negativo uscirà senza
preavviso dalla bocca non appena vi renderete conto che un (ormai)
acciaccato Unreal Engine
è stato nuovamente rispolverato per l’ennesima occasione. Per
carità, un simile motore grafico ha forgiato giochi di grosso
calibro (Bioshock e Mass Effect, giusto per citarne due)
ma è un vero problema quando le sue potenzialità vengono
fraintese, per non dire mal utilizzate.

La cattiva “batosta” di Damnation,
infatti, arriva quando capirete che non esiste un vero e proprio
concept originale, ma tutto ciò che compare sullo schermo
è un tristissimo déjà-vu. “Tristissimo”
perché immancabilmente vi richiamerà giochi di alta
statura come Gears of War e, di conseguenza, il loro spudorato confronto. Sembra che il team di Damnation abbia preso alla lettera tutto quello che c’era di buono dal capolavoro Epic Games e l’abbia stropicciato totalmente.

Il risultato è una frittata mal riuscita, dal sapore discutibile
e preparata da uno chef a dir poco distratto. Il concept che c’è
dietro tenta di imitare la grande personalità del genere
western, riletto in chiave semi-futuristica e robotica, un po’ come
accaduto qualche anno fa nel lungometraggio hollywoodiano Wild Wild West. Ma presto dovrete dimenticarvi anche questo paragone.



Il problema che, purtroppo, persiste in Damnation è l’ovvietà.

“L’ovvietà” è, a nostro parere, uno dei difetti
più scomodi che un gioco possa avere: non c’è niente di
peggio che rinunciare ad idee originali ed esclusive per affidarsi alla
potenza di un motore rodato e funzionante, ma che comunque rimane pur
sempre inflazionato.

Oggi, soprattutto, le case di sviluppo dovrebbero puntare
all’innovazione, sperimentare dove è possibile e cercare di
stupire con effetti speciali personali, e non acquisiti da altri autori
come troppo spesso avviene.

Insomma, riuscire a “sbalordire” il giocatore anziché
“accontentarlo e basta” è senza dubbio una mossa difficile, a
volte una chimera, ma almeno vale sempre la pena provarci.





Lo strano intruglio



Se da un lato l’originalità grafica di Damnation
sprofonda in un abisso senza fine, a causa di un character design poco
ispirato, di ambientazioni e nemici molto simili tra loro e di una
storia blanda portata avanti da animazioni pietose, dall’altro si sente
la voglia di proporre un gameplay alternativo. Parlare di
“innovazione”, però, è a dir poco un eufemismo.

Codemasters ha acciuffato ingredienti di varia natura e li ha
mescolati tra di loro al fine di creare un gioco bizzarro che potremmo
definire buffamente “Gears of Platform Shoot’em Up”.



Dato che risulta impossibile scinderli, ci è stato più
facile analizzare ciascuno di questi generi singolarmente. Di Gears of War
vi abbiamo già parlato nel paragrafo precedente, facendo un
dovuto ma triste confronto tra i due, ma non abbiamo accennato al
gameplay vero e proprio di Damnation: il sistema di coperture che ha reso celebre il titolo firmato da Cliffy B.
è stato qui rimosso per dare spazio a un blasfemo sparatutto in
terza persona, sì frenetico e rapido, ma privo di qualunque
spessore ludico.

Per esempio, i nemici che vi si pareranno davanti sembrano gestiti da
una IA superficiale, ma soprattutto compaiono all’improvviso senza
un’apparente logica. Il loro numero è elevato (quindi mantenendo
un livello di difficoltà piuttosto alto) ma a volte così
copioso da definirsi persino invadente. D’accordo, è giusto che
ci sia da sparare ovunque e ininterrottamente, ma è anche vero
che non si sente quel coinvolgimento bellico ed immersivo che solo
alcuni “veri” titoli di guerra riescono ad offrire.

Il problema è dovuto anche alla scelta dei livelli di
difficoltà che non variano di molto tra loro, e a una struttura
delle mappe fin troppo disorientante.



Le armi a disposizione permetteranno di farci strada in ogni modo,
alternando quindi gli attacchi ravvicinati e a distanza, da fucili di
precisione a granate. Ma anche qui l’impressione è quella di
disporre di un numero di armi talmente vasto tra loro da risultare
persino dispersivo, soprattutto perché il valore estetico e
funzionale non varierà di molto. Abbiamo a che fare, quindi, con
armi-giocattolo piuttosto che con mezzi di distruzione di massa: la
potenza dei “gingilli” è poco impattante e sembra non recare
alcun tipo di danno, se non quello “sonoro”.

Il danno, però, lo subisce il povero giocatore: purtroppo gli
elementi numerosi che brulicano sullo schermo finiranno per divenire
chiasso per le vostre orecchie. Tra il rumore di bombe e spari, grida e
sussurri, riuscirete difficilmente a fare un’attenta distinzione.

Unico punto a favore del pacchetto audio-video è un doppiaggio
non male, recitato in italiano eccellente, che si rivela persino fuori
tono rispetto al comparto tecnico generale.



A spezzare la noia dei combattimenti avrebbe dovuto pensarci uno strano, e fin troppo macchinoso, comparto platform.

Ogni livello è strutturato in modo che possa essere percorso in
lungo e in largo, in alto e in basso. L’obiettivo iniziale, forse, era
quello di offrire una sensazione di totale libertà, ma questo
intento è fallito a causa di una schematica e troppo rigorosa
scelta dei movimenti. Sarà che siamo abituati all’agilità
armoniosa di serie come Prince of Persia (provate l’ultimo capolavoro, se non lo avete ancora fatto) o alla sperimentazione inaspettata di Crackdown, ma la definizione “platform” di Damnation è a dir poco un’esagerazione.

I personaggi sono legnosi e poco credibili e possono volteggiare solo
ad alcune condizioni: si ha la continua sensazione che raggiungere
determinati posti metta in difficoltà i nostri eroi,
anziché dare loro carta bianca per le più spettacolari
evoluzioni acrobatiche.

Neanche le sporadiche sequenze alla guida di possenti motocicli vi
risolleveranno il morale, anzi, faranno crescere un grande dubbio nella
testa: “Che cosa c’entrano col resto?”.





Vieni a prendermi!



Il multiplayer di Damnation
è, forse, una delle caratteristiche da salvare nel grosso
calderone di cattive notizie. La struttura “verticale” dei livelli
permette di avere la meglio sull’avversario in base alla posizione in
cui ci troviamo. Se impieghiamo l’intera durata del match cercando di
scalare la vetta più alta, molto probabilmente avremo un netto
vantaggio sulle condizioni di vittoria: una visuale più aperta,
più completa, ci offre maggior campo visivo e quindi più
libertà di sparare.

Al di là di questa particolare caratteristica, Damnation presenta comunque un multiplayer molto vecchio, basato su regole vetuste e non proprio entusiasmanti.

Siamo convinti che anche l’ausilio della modalità cooperativa
sia online che offline non vi garantirà tanto divertimento,
visto che il problema, a dirla tutta, risiede alla radice: il gioco non
è strutturato secondo dei principi innovativi o rivoluzionari;
la conseguenza è che anche la più entusiasmante tra le
partite multigiocatore si rivelerà dopo poco una triste e
ripetitiva routine.





Chi troppo vuole nulla stringe



Che strana Codemasters: prima ci rifila un gioco di auto, poi uno di guerra, uno sportivo e poi un horror. E alla fine arriva Damnation.

“Che genere sarà mai questo?”, ci siamo chiesti.

Il nostro stupore da videogiocatori accaniti tuttora si domanda cosa ha
dovuto mettere sotto mano, ponendosi il martellante quesito di quanto
sia difficile certe volte cogliere le strambe idee “rifilateci” dalle
software house.

Facciamo finta di non aver mai visto un platform, di non aver mai toccato in vita nostra Gears of War e che il genere azione-sparatutto in terza persona sia una novità assoluta. Impossibile, vero?

Lo è stato anche per noi che, non appena abbiamo giocato i primi minuti di Damnation, ci siamo trovati incontro ad elementi mischiati tra loro a casaccio e senza uno stile che li contraddistingua.

La nostra impressione è che i ragazzi del team di sviluppo si
siano buttati a capofitto in un progetto più grande di loro, e
che molto probabilmente non avevano uno schema ultimo ben definito.
Essere audaci va bene, ma lanciarsi alla cieca in un settore già
troppo saturo di idee mancate ci è sembrato fin troppo azzardato.

Forse il nome stesso del gioco anticipava quella che sarebbe stata la sua sorte: “Dannazione! Si poteva fare di meglio”.