Recensione Recensione di Child of Eden
Recensione di Child of Eden di Console Tribe
di: Pasquale "corax" SadaSinestesia. E’ un termine che assomma nel suo significato due realtà diverse, distanti e quasi incommensurabili. L’idea che si possa in un unico istante fondere gli impulsi visivi col tam tam sonoro per dare vita ad un’esperienza unica, irripetibile e completa come nessun’altra. Quasi fosse il sacro Graal dell’intrattenimento, la sinestesia è stata da più parti auspicata, teorizzata e desiderata tanto da farne uno degli obiettivi più ambiti dagli artisti. Non è, quindi, strano vederne approdare le spoglie anche su un medium sincretico come il videogioco che sin dalla sua nascita ha unito spunti provenienti dalle “arti maggiori”. Tra i pionieri va sicuramente annoverato Tetsuya Mizuguchi, che con REZ ha provato a sfondare la barriera video per intrecciare le immagini con le sinuose movenze della musica elettronica. Il prodotto finale era stato una vera e propria rivelazione, associando un gameplay da shooter on rail con un ambiente di gioco coivolgente e particolare. La pretesa avanguardistica aveva, però, rivelato buona parte dei suoi limiti lasciando ampio spazio per un miglioramento. Dopo qualche anno e con la preziosa aggiunta delle note dei Genki Rockets, ci troviamo di fronte ad una nuova incarnazione di quell’idea embrionale, ora cresciuta con tutte le carte in regola per fare storia. Aprite gli occhi e puntate le orecchie, vi portiamo verso Eden, dove una nuova vita si sta schiudendo.
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Archivi
Tanto tempo fa gli uomini abbandonarono la Terra per conservare le proprie memorie in Eden, intelligenza artificiale che avrebbe dovuto riportare in vita l’intera razza umana, generando una creatura perfetta. Ora è giunto il momento di riportare in vita i nostri simili, portando a compimento il progetto Lumi e dando vita alla donna che ripopolerà la razza umana. L’embrione dell’Eva futuristica, che ha le sembianze della frontwoman dei Genki Rockets, è, però, minacciato da un’invasione virale che vuole annichilire per sempre la nostra possibilità di rinascita. Il nostro compito è semplice: attraversare i cinque archivi per ripulire l’intelligenza artificiale e permettere lo sviluppo del progetto Lumi senza intoppi. Ci troveremo quindi ad attraversare cinque quadri popolati da creature fantastiche su sfondi mozzafiato. E’ quasi impossibile dare un metro di paragone per definire l’immaginario di Child of Eden. Anche il semplice confronto con Rez, dal quale importa alcune forme di base, risulterebbe eccessivamente riduttivo.
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Eden è una meraviglia di neon e forme morbide che avvolgono gli occhi con una potenza incantatrice inusitata che viene moltiplicata dalla partitura sonora sviluppata dai Genki Rockets. Sinestesia è davvero l’unico termine che può essere associato a questo tripudio di ritmi brillanti e cadenze cromatiche. Un tocco particolare e così personale da continuare a vivere dentro il giocatore anche dopo la fine della semplice avventura di gioco.
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Beams
Q Entertaiment con Rez aveva sviluppato un sistema di gioco che nella sua semplicità portava alla massima potenza meccaniche di gioco non nuovissime. Child of Eden è evidentemente figlio di quelle conquiste. La struttura fondamentale è fatta da una forte intelaiatura da Shooter on rail, dove una visuale, questa volta in prima persona, ci porterà ad esplorare gli archivi e combattere i virus. Nello specifico si tratterà di far aleggiare il cursore sui nemici, segnalandoli come bersaglio. A questo punto con la pressione di un tasto o spingendo la mano in avanti, rilasceremo il colpo mortale che metterà fine alla fluorescente vita delle quadratiche e sinuose forme. L’approccio è abbastanza libero, ma colpire i nemici in assonanza con i ritmi musicali ci permetterà di sfruttare il loro trapasso come vere e proprie note che andaranno a comporre una partitura musicale personalizzata. Facendo tutto bene e rimanendo a tempo, si entra nel meccanismo ritmico dei Genki Rockets, rapiti completamente dagli impulsi musicali e visivi tanto da dimenticare completamente le qualità videoludiche del titolo e i suoi obiettivi.
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Il concept di base rimane quello visto con Rez dove la sfida non eccessiva ci portava ad affrontare frotte di nemici in una fluida composizione musicale. Se in Rez si aveva a disposizione un solo colpo, in Child of Eden avremo a disposizione due tipi diversi di armi: un raggio continuo e poco potente da intervallare con una sventagliata di colpi più veloci ma meno efficaci. L’alternarsi delle due mani non solo rende il viaggio negli archivi più piacevole ma si rivela fondamentale per svelare le debolezze dei mastodontici, colorati e cervellotici boss. La vera introduzione di Child of Eden è l’utilizzo del Kinect aggiunta tutt’altro che pretestuosa. Nonostante sia possibile utilizzare ancora il pad classico, è fortemente consigliato avvicinarsi a quest’avventura sfruttando le possibilità della periferica motion sensing di Microsoft, che moltiplica la partecipazione del giocatore, aggiungendo un ulteriore fattore di immedesimazione, ossia la componente propriamente fisica. Le due armi sopra citate vengono controllate dalle mani: la sinistra per i colpi veloci e la destra per effettuare, invece, manovre più precise e d’effetto. I ritmi che alternano velocità diverse, la posizione del corpo e in generale la completa partecipazione psicofisica, grazie a Kinect raggiungono vette che nessun altro titolo può vantare.
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Project Lumi
Quattro ore occorrono per completare i 5 archivi di Child of Eden. Tempo che si moltiplica se si rigioca il titolo, dal momento che il secondo playthrough ci presenterà virus in grado di adattarsi al nostro schema di gioco. Un’esperienza che seppure breve si rivelerà intensa e merita di essere giudicata con un metro diverso da quello meramente videoludico,come è stato per altri progetti non dissimili (quali Lumines, Rez oppure i lavori di Thatgamecompany). Child of Eden è un titolo estremamente minimal che punta sopratutto sul coinvolgimento piuttosto che sulla complessità del gameplay. Se dall’esterno la sfida non impegnativa dei nemici e una certa ripetitività possono risultare come difetti insormontabili, quando si “entra” dentro Eden, quando si cominciano a muovere i primi passi verso Lumi, le cose cambiano radicalmente. La scelte azzardate avranno tolto sicuramente una fetta di pubblico al lavoro di Mizugutchi, ma nel contempo sono riuscite a creare un prodotto unico, con uno stile inconfondibile e per certi versi indimenticabile. A tutti i pionieri è riservato il triste destino di essere apprezzati da pochi, ma per quei pochi scavano profondi solchi nella memoria. A noi, invece, è riservato il brutale compito di tirare le somme e “quantificare” un’esperienza che sfugge alle definizioni. Scarno, minimal e ritmato con una forza evocativa fuori dal comune che, però, non è sufficiente a coprire tutte le mancanze “videoludiche”. Se sia o meno un capolavoro è qualcosa che rimanda alla sensibilità di ognuno, alla capacità di apprezzare elementi che superano le barriere del videogame. L’unico consiglio che vi diamo è ti tenere la mente aperta, abbandonare i pregiudizi e dimenticare completamente d’essere davanti a un videogico. Per apprezzare al meglio Child of Eden è il primo di una serie di sacrifici che alla fine saranno ripagati.