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Recensione Recensione di Call of Duty: World at War

Recensione di Call of Duty: World at War di Console Tribe

di: Redazione
‘La guerra è una cosa sporca’, stava pensando il soldato Miller
mentre arrancava steso sulla pancia, nel fango di quella costa
giapponese dal nome impronunciabile. Intorno a lui aleggiava un
tremendo odore di morte: i cadaveri dei suoi compagni caduti sotto il
fuoco nemico a braccetto con i corpi degli avversari falciati dalle
granate. Dietro di lui, la risacca indolente e striata di sangue
lasciava sulla banchina il suo carico di morte, depositando pesci e
arti umani, elmetti bucati e frammenti di barche, senza distinzione. Su
tutto, il frastuono incessante delle mitragliatrici e le urla
squassanti…


Dall’altra parte del mondo, il soldato Petrenko marciava fiero verso
Berlino, nel cuore della Germania Nazista, pronto a porre fine a
quell’incubo. Ormai allo stremo delle forze, portava con orgoglio la
sua divisa infangata, battuta dalla pioggia: il suo sguardo indurito da
mesi di combattimenti in condizioni estreme scrutava il panorama di
distruzione che gli si parava di fronte.


Due soldati divisi da migliaia di chilometri, da confini invalicabili,
diversi per fazione e colore della bandiera ma accomunati da una sola
cosa: sconosciuti per molti, eroi ai nostri occhi!




La seconda guerra mondiale non è mai durata così tanto! Saranno ormai
quasi dieci anni che scendiamo nei nostri negozi preferiti per prendere
l’ennesimo titolo che ci catapulta indietro di sessant’anni, armati con
anacronistici fucili Garand per accoppare quanti più crucchi possibili.

Poche settimane fa abbiamo guidato il Sergente Baker e i suoi uomini
per le terre olandesi a far strage di nemici dal pesante accento
teutonico. E sapevamo già da lungo tempo che un altro appuntamento con
il destino ci stava attendendo dietro l’angolo. Infatti il momento di
continuare a combattere la nostra personale Seconda Guerra Mondiale è
tornato. Pronti a scendere in trincea con Call of Duty World at War?





Qualche mese prima di Enola Gay



L’azione ci catapulta fin dai primi momenti nella brutalità più
assoluta della trincea giapponese, immediatamente dopo il raid
dell’isola di Makin. Il primo livello, poco più di un tutorial per
prendere confidenza con le meccaniche di gioco, si svolge nel 1942,
facendoci conoscere il soldato Miller, marine americano salvo per
miracolo dai campi di prigionia giapponesi. Dopo aver mosso i primi
passi del gioco, la voce del sergente Roebuck ci catapulterà due anni
più tardi, nel 1944, nella lunga serie di operazioni che sconvolsero le
truppe americane sul fronte asiatico. Sono state ricreate alla
perfezione la battaglia di Peleliu per la conquista della base aera e
l’incursione su Okinawa e la lunga battaglia nel castello di Shuri. La
veridicità storica è attendibile, anche se romanzata e condita con
episodi personali che coinvolgono il plotone d’attacco, come la morte
di alcuni membri e la preoccupazione e la paura di altri
nell’affrontare le battaglie. In realtà anche in questo non c’è nulla
di inventato, in quanto era proprio quello lo stato d’animo dei
militari che all’epoca affrontarono le armate giapponesi. Una terra
sconosciuta, un nemico sconosciuto e senza paura di morire, erano un
mix che tarpava ogni velleità di eroismo in molti soldati, poco più che
ragazzini, scaraventati in una battaglia che forse non volevano neanche
combattere.

Come già è accaduto in altri episodi di Call of Duty, non ci troveremo
a calcare le scene di un solo teatro di guerra, ma avremo modo di
visitare diversi punti di vista. Durante questo episodio ci troveremo a
guardare il mondo in fiamme dagli occhi di un soldato dell’Armata
Rossa, Dimitri Petrenko, strappato dalle braccia della Morte per pura
fortuna. La campagna russa ci farà ripercorrere i giorni e le notti di
morte e distruzione che caratterizzarono l’avanzata dell’esercito
sovietico fino al cuore della Reich, nella città di Berlino. A farci da
Caronte tra le macerie fumanti dell’Europa saranno il Sergente Reznov e
il suo odio per i Nazisti. Anche durante le battaglie che punteggiano
questa fase della campagna, da Stalingrado a Seelow fino a Berlino, non
mancheranno dei risvolti umani, come le perplessità del soldato
Chercov, che continua a chiedersi quanto sia giusta la brutalità e la
violenza ostentata dallo stesso Reznov.



Una considerazione che è doveroso fare riguarda quanto queste due
campagne siano legate l’una all’altra, se esiste un trait d’union tra
le due avventure. Di primo acchito potremmo pensare che ci troviamo di
fronte a due teatri di guerra messi insieme solo per fare numero, per
aumentare il numero di missioni da svolgere, per annacquare la
longevità della modalità in single player. Ma con un’analisi più
accurata possiamo trovare il vero legame che fa di queste battaglie
combattute agli antipodi una cosa sola. Il vero core di tutta
l’avventura è la vendetta, espletata nella maniera più brutale e
violenta possibile. Da una parte gli Americani cercano di pareggiare i
conti dopo la distruzione portata dagli attacchi kamikaze sulla base di
Pearl Harbour nel ’41 e dall’altra i Russi cercano la rivalsa sui
Tedeschi che avevano messo a ferro e fuoco Stalingrado trucidando
uomini donne e bambini. È questa la lettura più profonda che si può
fare di questo capitolo della serie Call of Duty che ci mostra con
quanta veemenza i due eserciti cerchino di far valere la propria
superiorità, senza farsi scrupoli di bruciare, bombardare e massacrare
i propri avversari. Tutta la crudeltà e la malvagità di uno dei
capitoli più sanguinosi della Seconda Guerra Mondiale è stato trasposto
con dovizia di particolari e senza filtri in un universo videoludico
che può risultare a tratti disturbante e gratuito, come solo la vera
Guerra può esserlo.





Nascosti nell’erba



Call of Duty World at War è senza dubbio figlio più che legittimo di
CoD 4, che aveva portato la serie verso nuove vette in materia di
gameplay. Nonostante la pesante eredità, il lavoro dei ragazzi di
Treyarch non sfigura minimamente, ma anzi elettrizza e sorprende per
una serie di innovazioni e trovate geniali che non mancheranno di
appassionare anche i fan più datati della serie.

Il gameplay spicciolo non necessita di eccessive considerazioni, visto
che ci troviamo di fronte a uno sparatutto in prima persona, come siamo
abituati a conoscerne da anni ormai e World at War non si discosta
molto da questa formula già collaudata. Perché allora giocare a questo
titolo è un’esperienza così frizzante? Qual è l’ingrediente segreto che
rende questo gioco una vera e propria esperienza? È presto detto. Il
divertimento insito nel DNA di Call of Duty sta tutto nel suo approccio
frenetico e strutturalmente perfetto. Affrontare i nemici e abbatterli
uno dopo l’altro diventa una ragione di vita, non solo il mezzo per
giungere alla fine del livello. Il gioco riesce, come ha sempre fatto,
a legare il giocatore alla propria fazione, creando un’empatia verso i
personaggi non giocanti, anche grazie alle sequenze introduttive dei
vari livelli – un misto di filmati d’epoca e di computer grafica – e
alla narrazione affidata agli stessi protagonisti del gioco. I sistema
di comandi è mutuato dal precedente capitolo e quindi ambientarsi è
cosa quanto mai facile. Con il D-pad sarà possibile eseguire alcune
speciali azioni come chiamare un incursione aerea oppure switchare tra
diversi tipi di fuoco con la medesima arma, come per il Garand
arricchito da lancia-granate. La posizione di mira della visuale ci
darà sempre la prospettiva con il mento appoggiato alla nostra arma,
permettendo un fuoco più accurato anche se parte dello schermo verrà
occupato dall’arma stessa.

La risposta ai comandi è fluida e benevola, senza intoppi: le rotazioni
governate dagli stick analogici sono precise e naturali, con la
possibilità di aumentarne la sensibilità dalle opzioni. Grazie
all’accuratezza nella risposta del joypad, l’esperienza di gioco è
molto coinvolgente, trasformando un ‘semplice’ gioco di guerra in una
perfetta macchina da divertimento.

La bellezza della campagna in single player deriva molto dalla scelta
di presentare due fronti, quello giapponese e quello russo, così
differenti tra loro sotto molti aspetti. Infatti, affrontare i diversi
nemici imporrà al giocatore di adattarsi a meccaniche di gioco e
ambienti tali da dover cambiare strategia di volta in volta. In questo
il level design non resta solo un esercizio di stile, ma una parte
integrante del gameplay, influenzando le scelte per giungere al
compimento della missione. Stalingrado e Berlino saranno protagoniste e
vostre alleate (o nemiche) tanto quanto l’Isola di Peleliu o Okinawa,
riservandosi nell’economia dell’avventura un vero e proprio posto di
coprotagonista, tanto la caratterizzazione dei luoghi è preponderante
in quest’ultimo capitolo di Call of Duty.

Analogamente, l’intelligenza artificiale dei vari nemici che
incontrerete sul terreno di battaglia sarà diversa, ma non in modo
sottile, tutt’altro! Se il fronte russo vi metterà di fronte un
esercito che combatterà contro di voi con strategie classiche e
conosciute, avanzare in territorio giapponese sarà un vero e proprio
inferno. In questo caso a far da padrona non saranno le battaglie a
viso aperto come in Europa, ma bensì le tecniche di guerriglia che
avevano decimato le truppe americane in quegli anni bui. Preparatevi a
dover fronteggiare attacchi da ogni direzione, sferrati con efferata
violenza. Con quest’ottica, sono stati introdotti i cecchini appostati
tra gli alberi che, perfettamente mimetizzati, non ci penseranno due
volte a farvi saltare la testa, se non scruterete con dovizia
l’ambiente che vi circonda. Per rendere le cose ancora più pericolose e
spaventose, durante le vostre escursioni nell’erba potrete far la
conoscenza improvvisa di soldati giapponesi appositamente camuffati e
nascosti, che sorgeranno urlando come dei dannati e sparando
all’impazzata. In questi frangenti, Call of Duty ricorda più un gioco
horror che una rappresentazione della seconda Guerra Mondiale e
possiamo assicurarvi che una giusta dose di spaventi vi aspetta dietro
l’angolo. Come se tutto questo non fosse già abbastanza, tra i
combattenti giapponesi non potevano mancare i kamikaze: sprezzanti del
pericolo e della morte, alcuni gruppi di soldati vi verranno incontro
al grido di ‘Banzai’ cercando di trafiggervi con la loro baionetta. Sta
a voi e al giusto tempismo riuscire ad evitare il colpo al cuore e
ribaltare la situazione infilzando un coltello nella gola del vostro
nemico. Tra l’altro queste scene di ordinaria violenza si svolgeranno
frequentemente sul campo di battaglia e non in momenti preordinati. Se
vi avvicinerete troppo a un soldato avversario sarà sua cura cercare di
farvi fuori con un attacco di mischia, il più delle volte letale.



Questo nuovo capitolo porta anche altre novità, soprattutto nel campo
balistico. La prima new entry e forse la più emozionante di tutte è il
lanciafiamme. Divertentissimo da usare, ridurrà in cenere tutti coloro
che finiranno sotto la sua potenza distruttrice. La carica del lancia
fiamme è infinita, come per le munizioni delle torrette e dei carri
armati, ma ha un grande svantaggio: equipaggiarlo significa portare
sulle spalle una potenziale bomba. Infatti i serbatoi di propellente,
se colpiti dai proiettili nemici, ci ridurranno in mille pezzi. Questa
eventualità nel gioco in single player si avvera solo nei livelli di
difficoltà molto avanzati, dando comunque un minimo di respiro durante
le missioni in cui usare quest’arma è d’obbligo.

Ad arricchire l’arsenale incendiario, sono state introdotte le
bottiglie molotov, disponibili durante la campagna russa. La loro
esplosione al pari delle granate produrrà una serie di danni in una
zona discretamente ampia dell’area di gioco, ma con la particolarità
che il fuoco continuerà a bruciare per alcuni istanti, danneggiando
anche chi si trova a passare dopo qualche momento. L’unico svantaggio
per quest’arma è la lentezza con cui viene lanciata, dovuta al fatto
che bisogna accendere lo stoppino con un accendino e poi scagliarla.
Farlo nei momenti concitati, potrebbe significare perdere dei momenti
preziosi per mettersi in salvo.

A parte queste armi, non mancheranno tutte le fedeli riproduzioni di
fucili, pistole e mitragliatrici dell’epoca, sia di uno che dell’altro
esercito. In particolare, le armi dell’armata giapponese sono state
perfettamente ricostruite, con un’attenzione anche ai particolari come
la baionetta o altre piccole aggiunte tecniche che i soldati facevano
alle proprie armi.

Come già negli altri capitoli, si potranno pilotare mezzi corazzati di
diverso genere, tra cui carri armati e aerei, staccando l’azione
classica dello sparatutto, e ampliando gli orizzonti di divertimento.
La guida di questi veicoli è molto ben ricreata, anche se a tutti gli
effetti non regala le stesse emozioni del gioco a piedi. Non ci
sentiamo di dire che questa variazione nel gameplay non doveva essere
implementata, o che sia fatta male, ma a tutti gli effetti è
leggermente più povera della sua controparte classica.

Un’altra piccolezza aggiunta per rimpolpare ulteriormente il gameplay
già ricco di Call of Duty è la ricerca di alcune Death Card. Non sono
altro che carte da gioco che si trovano sparse nei livelli a cui è
legata una funzione o un cheat da sfruttare nelle partite multiplayer,
tra cui la possibilità di far esplodere i nemici che vengono uccisi, di
dover uccidere tutti solo con colpi alla testa e via discorrendo di
questo passo. Questa feature purtroppo si sposa poco con il resto della
storia e nell’economia del gioco stesso, ma è pur sempre un diversivo
che potrebbe spingere a rigiocare alcuni livelli.





Edifici in fiamme



La resa visiva di WaW è semplicemente fantastica. Il motore grafico di
CoD 4 è stato perfettamente riadattato per l’occasione e migliorato per
gestire alcuni effetti grafici nuovi e sorprendenti. Le scelte
artistiche per ricreare tutti gli ambienti sono ispirate e molto simili
alla realtà: dalle foreste e le giungle tropicali delle isole
giapponesi fino agli edifici in fiamme del Vecchio Continente, si
respira un’aria di autenticità che dona anima e pathos a un gioco già
molto profondo. La perizia della realizzazione trasuda da una serie di
accortezze e finezze che non mancheranno di catturare l’occhio del
giocatore attento. L’introduzione del lanciafiamme e delle molotov ha
imposto ai ragazzi di Treyarch l’implementazione di una gestione della
propagazione delle fiamme dinamica. Infatti, vedremo come il fuoco si
espanderà lungo l’area di gioco prima di estinguersi, bruciando gli
oggetti con cui verrà in contatto e passerà da un personaggio all’altro
se questi sono vicini. L’effetto domino che si può scatenare
incendiando il primo di una fila di soldati in avanzata è qualcosa di
devastante, oltre a essere assolutamente nuovo nella storia del
franchising. Inoltre è possibile bruciare gli alberi dove si appostano
i cecchini, con un effetto del tutto convincente.

Ma le bellezze e le sorprese non finiscono qui. L’erba, in cui
praticamente navigheremo per buona metà del gioco, sarà del tutto
tridimensionale e reagirà al nostro passaggio, piegandosi e
spezzandosi. L’environment sarà distruttibile in parte ed è presente la
bullet penetration inaugurata dal quarto capitolo. In più, finalmente
sarà possibile guadare corsi d’acqua e fiumi, con tanto di
rallentamento e impaccio nei movimenti; per quest’occasione il motore
del gioco è stato modificato per gestire anche i cadaveri flottanti.

Un dettaglio a cui non molti hanno fatto caso ma che rappresenta la
vera ciliegina sulla torta è rappresentato dalla luce del sole. Non
parliamo dell’illuminazione, già di per sé superlativa, ma del sole in
quanto tale: infatti se volgerete lo sguardo direttamente verso di lui,
rimarrete temporaneamente accecati e non riuscirete a vedere niente per
alcuni secondi. Quindi ammirare troppo le bellezze naturalistiche che
il gioco ci offre potrebbe anche essere fatale.

L’approccio utilizzato da Treyarch per questo capitolo di CoD è
sinonimo di violenza e brutalità. C’è tanto sangue nel gioco, corpi
smembrati dalle granate, carni dilaniate dalle raffiche di mitra, con
il solo spirito di mostrare ciò di cui è veramente fatta la Guerra. La
malvagità si esplica anche in alcune sequenze non giocate, come il
proverbiale interrogatorio a inizio del gioco, fatti che non
mancheranno di colpire anche i giocatori più navigati.



A far da contrappunto a una resa visiva d’eccellenza, il sonoro del
gioco immerge ancor di più chi si lancia in quest’avventura. La colonna
sonora è perfettamente adattata all’azione che si svolge sullo schermo,
con impennate di registro durante le fasi più concitate e musiche
altisonanti e pompose per festeggiare le vittorie. Mai fuori luogo,
l’audio ha da sempre il compito di enfatizzare quelle sensazioni e
quegli stati d’animo che il gioco cerca di trasmettere attraverso le
immagini, e in questo Call of Duty non delude, rimanendo sempre su un
altissimo livello tecnico.

Gli effetti sonori sono a dir poco perfetti. I proiettili sibileranno a
pochi centimetri dalla vostra testa, le esplosioni vi lasceranno sordo
e disorientato mentre su tutto le urla dei soldati feriti e dei
kamikaze non mancheranno di farvi accapponare la pelle. Il doppiaggio
in inglese è di tutto rispetto: la voce narrante del sergente Roebuck è
stata affidata a Kiefer Sutherland, perfettamente calato nella parte e
credibile. Lo stesso può dirsi del sergente Reznov affidato a un
grandissimo Gary Oldman, che ci regala un perfetto accento russo.





Squadra d’assalto



La vera anima di Call of Duty è sempre stata riposta nelle modalità
multiplayer e questo capitolo non poteva certo deludere le aspettative.
Raccogliendo le idee geniali del suo predecessore, World at War le fa
sue, le migliora e aggiunge nuove feature come mai nessuno si sarebbe
immaginato.

Il sistema di punteggi, l’avanzamento di carriera , la scoperta di
nuovi accessori per le armi e per se stessi sono stati tutti
perfettamente mutuati da Modern Warfare e riadattati al periodo storico
in cui si svolge questo capitolo.

Le ricompense che ci vengono offerte per le nostre gesta variano tra
quelle a immediata fruizione in seguito a sequenze di uccisioni più o
meno lunghe e quelle a lungo termine sbloccabili con la nostra
esperienza. Nel primo caso potremmo sbloccare l’aereo da ricognizione
(3 uccisioni), l’attacco aereo (5 uccisioni) e i cani (7 uccisioni).
Quest’ultima potrebbe sembrare una cosa da poco, ma non è così. I cani
sguinzagliati, tre per volta, braccheranno i vostri nemici e
cercheranno di farli fuori saltandogli addosso da ogni parte. Inoltre
potrete sfruttare il loro fiuto per scovare i vostri avversari e farli
fuori contestualmente all’attacco cinofilo. Per di più, i latrati dei
cani in azione saranno udibili sempre e si faranno più vicini e
pressanti man mano che vi staranno raggiungendo, donando un senso di
ansia e tensione in più alle vostre partite.

Il gioco mette a disposizione anche ricompense conseguibili con una
semplice raccolta punti esperienza. Il modo per raggiungere altissimi
punteggi sta tutto nella vostra abilità di soldato: non basteranno solo
le uccisioni, ma ci saranno anche delle sfide predefinite da superare
per avere dei bonus di punti esperienza. Di sfide ce ne sono a decine,
divise per armi e veicoli, e servono tutte a valutare la vostra
attitudine al combattimento e vi terranno impegnati per tutta la vostra
carriera.

Il vostro successo nel mondo di Call of Duty sarà coronato da un
avanzamento di carriera in tutto e per tutto simile a quanto visto nel
precedente capitolo. Le uniche differenze stanno nel fatto che i
livelli raggiungibili saranno ben 65 con 10 missioni Prestige tutte da
scoprire. Avanzare di livello vi permetterà di ottenere accessori di
ogni genere e fattura, sia per voi che per le vostre armi: maschere
antigas, giubbotti antiproiettile, silenziatori, mirini ottici e chi
più ne ha più ne metta. Tutto questo ben di Dio servirà a creare la
vostra speciale classe di soldati, armato secondo i vostri gusti e le
vostre esigenze.



Tra le modalità multigicatore figurano alcune tra le più classiche più delle novità molto succose: deathmatch, team deathmatch, capture the flag, search and destroy e, la più bella di tutte e vera novità, War.
Il succo di questa sfida è molto semplice: ci sono dei territori da
conquistare e si lotta per averli tutti, senza pietà. In realtà la
struttura della partita è un po’ più complessa. Infatti in ogni mappa
ci sono cinque punti di controllo attivi; ciascuna delle due squadre ne
controlla già due a inizio round. Quindi la lotta è aperta per il
controllo della zona centrale. Riuscire a conquistarla permetterà di
guadagnare un punto. Questo vuol dire aver vinto una battaglia, ma non
la Guerra. Il fronte si sposta verso l’altro punto di controllo della
squadra in svantaggio che cercherà di difenderlo. La vittoria della
partita sarà decretata quando una delle due squadre avrà conquistato
tutti i territori nemici. Questa sorta di Risiko in soggettiva dà una
ventata di novità al franchising, grazie a una concezione veramente
guerresca e strategica di affrontare le mappe. In altre parole: di
solito il primo territorio da conquistare si trova al centro della
mappa, ed è facile per le due squadre affrontarsi a viso aperto. Nelle
fasi successive, la corsa verso il secondo traguardo può essere
affrontata in maniera diversa grazie alla presenza di percorsi
alternativi nella stessa mappa, rendendo l’offensiva sempre più
articolata e rischiosa e la difensiva difficile e strenua.

Per far funzionare bene tutte le partite multiplayer non poteva mancare
un’ampia scelta di mappe (sono 13) molto varie e ricche. Le dimensioni
variano per adattarsi perfettamente al numero di giocatori
partecipanti, ma comunque anche nelle più piccole non si correrà il
rischio di prendersi a gomitate.



Se pensate che la modalità multiplayer sia finita qui, vi sbagliate di
grosso. Treyarch ha voluto lasciare il segno con questo suo prodotto ed
è venuta incontro alle molte richieste delle community di
videogiocatori dando la possibilità di rivivere la storia in compagnia
di altri tre amici via internet. In questo caso possiamo decidere se
essere cooperativi e amichevoli come altri giochi ci hanno insegnato,
oppure se lanciarci a una sfida a chi è più bravo in una modalità
competitiva. In quest’ultimo frangente guadagneremo punti esperienza
per ogni uccisione e per ogni amico guarito, per cui sarà nostro
compito far meglio degli altri: ne va del nostro onore!

Dulcis in fundo, ci aspetta una bella ricompensa dopo aver terminato
tutta la campagna in single player: Nacht der Untoten! In perfetto
stile survivor horror, insieme ad altri tre amici dobbiamo fronteggiare
l’avanzata di orde di zombi nazisti, rimanendo asserragliati in casa.
Non è nulla di rivoluzionario, ma è decisamente divertente e un po’
sopra le righe, tanto da far allungare la durata già considerevole di
questo titolo.





A futura memoria



È del tutto inutile parlare di longevità per un titolo come Call of
Duty World at War. C’è talmente tanta carne al fuoco che ci vedrà tutti
impegnati per settimane e mesi, sia per il divertimento che questo
gioco porta con sé sia per la quantità di cose da fare per portarlo a
termine. La modalità coop-competitiva aggiunge una vera ventata di
freschezza, facendovi godere la storia da nuovi punti di vista, come
non si era mai visto prima nella serie. L’aumento delle classi, dei
‘perks’ collezionabili, le carte sparse nei vari livelli, le
innumerevoli modalità online, le mappe che sicuramente verranno
rilasciate tra qualche tempo, fanno di questo un gioco praticamente
infinito.



Bisogna dare atto al lavoro eccellente fatto dai ragazzi di Treyarch,
da sempre considerati il Team di serie B di Call of Duty. L’impegno e
il desiderio di sorprendere i videogiocatori sono visibili in ogni
aspetto e dettaglio del gioco e di questo possiamo solo ringraziarli
vivamente. L’unica cosa che veramente manca a World at War è la ventata
di novità totale che si è avuto con Modern Wafare, la rivoluzione che
il quarto capitolo della serie ha portato nel mondo degli sparatutto in
soggettiva. Sono state sì raggiunte vette alte nell’ambito del
divertimento e della realizzazione, ma non è stato scoperto nessun
territorio inesplorato, non si è avuto quel salto di qualità che
abbiamo vissuto lo scorso anno. Tuttavia creare un gioco di tale valore
con queste premesse merita senza dubbio un plauso.

In definitiva, ci troviamo di fronte a un titolo dal sicuro spessore
narrativo, con una vita davanti a sé lunghissima, ricco proseliti e che
merita solo di essere giocato in continuazione. Un capolavoro, anche se
un po’ troppo annunciato.