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Recensione Painkiller

di: Donato Marchisiello

Vi sono delle serie che cadono inspiegabilmente in un lungo oblio. Un po’ per una ultra veloce “secolarizzazione” dei concept, un po’ per una folle corsa al cambiamento continuo (che cambiamento non è quasi mai), spesso alcuni progetti meritevoli vengono irrimediabilmente destinati ad un crudo e grigio dimenticatoio. Sono passati circa vent’anni dal primo Painkiller, pubblicato nel 2004 da People Can Fly e DreamCatcher Interactive e, dopo un’onorata carriera, la serie sembrava destinata a rimanere una divertente alternativa a Doom e Serious Sam del passato. Ma, grazie al lavoro archeologico di Anshar Studios e 3D Realms, possiamo oggi metter mano ad un nuovo capitolo della saga, un vero e proprio reboot. Varrà la pena tornare a combattere contro le demoniche manifestazioni di Painkiller? Ecco a voi la review della versione PS5!

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Painkiller è uno sparatutto in prima persona vecchia scuola, basato sull’estrema velocità e sul quantitativo spropositato di nemici da abbattere. L’influenza di Doom è evidente (ma chi non ne subisce il “malefico” fascino? ndr), sia nel suo esser particolarmente sanguinolento, sia al contempo per il suo animo folle e veloce. Se l’ossatura ludica e meccanica è rimasta piuttosto fedele al passato, ciò che cambia radicalmente è l’impostazione del gioco: Painkiller, infatti, non è più un titolo single player only ma, nella visione di Anshar Studios, ma un’esperienza attentamente pianificata e votata al cooperativo online (per un massimo di quattro giocatori). Nonostante in giochi del genere la trama non sia mai particolarmente intricata, nel gioco avremo un sostrato narrativo: l’angelo caduto Azazel si prepara a scatenare le sue forze demoniache infernali. Noi saremo chiamati a vestire i panni di una delle quattro anime condannate al purgatorio, alle quali il Creatore ha offerto una possibilità di redenzione. In cosa consiste? Nello sterminare gli sgherri di Azazel e mandare all’aria il suo piano di invasione.

Partiamo dal cuore pulsante dell’esperienza confezionata da Anshar Studios: se volessimo ridurre all’osso l’offerta ludica, potremmo affermare che Painkiller è uno sparatutto ad arene old school piuttosto classico, in cui la “campagna” è suddivisa in una serie di stage all’interno dei quali saremo chiamati a svolgere delle missioni prefissate (che, tendenzialmente, sono prese dalla “tradizione” multiplayer degli shooter). Ad esempio, saremo chiamati ad uccidere i nemici in una determinata area o attorno a un barile che raccoglie il loro sangue, che può essere infilato in una cavità per proseguire una volta riempito. Spesso e volentieri, le stesse meccaniche saranno parte integrante delle boss fight che, seppur tendenzialmente impegnative, non offriranno una grande divagazione sul tema. Una scelta sicuramente votata all’altare della “semplificazione per divertire” e che strizza l’occhio visibilmente alla componente cooperativa ma che, in concreto, riduce sensibilmente la varietà e la profondità di gioco del titolo.

Potremo scegliere con chi affrontare le orde demoniache che ci si frapporranno tra quattro personaggi, ma a parte il loro design e alcuni brevi dialoghi tra loro durante il gioco, essi non sono particolarmente interessanti né dal punto di vista delle meccaniche né della trama. L’unica differenza sarà legata ad una particolare statistica passiva che, a dirla tutta, ben presto sarà tranquillamente trascurabile. Painkiller offre nove mappe, dal design old school seppur sufficientemente intricato, 3 per ogni bioma il quale culmina con un boss. L’intero gioco può essere completato in meno di 10 ore al livello di difficoltà “normale” e, successivamente al completamento, l’intera esperienza confluisce nel macinare risorse per continuare a potenziare il nostro alter ego. Oltre la modalità campagna cooperativa, c’è una modalità Roguelite opzionale che, nonostante non sia “capovolgente”, aggiunge comunque del contenuto di un certo spessore. In generale, se non si è dei veri e propri completisti, Painkiller potrebbe finire piuttosto velocemente in quanto a varietà di contenuti.

Painkiller offre un sistema dedicato alle armi piuttosto ben sviluppato. Ci sono diversi strumenti di morte, tra lancia paletti di legno e fucili a pompa, a nostra disposizione, anche se non sono così tanti come ci si aspetterebbe (sono sette in totale). Oltre al loro “ruolo” primario, ogni arma avrà anche un fuoco secondario che, se usato su nemici più grandi con barre della salute “speciali”, riempirà il loro indicatore di stun. Una volta pieno, potremo caricarli e annientarli completamente con il nostro amato Painkiller, l’iconico shuriken rotante che è un po’ il “ragazzo immagine” della saga. È disponibile un ampio sistema di personalizzazione delle armi per ciascuna delle sue sette armi, e sono tutte divertenti da usare. I power up offriranno diverse “prospettive” sull’arma, andando a cambiare anche completamente il senso stretto della bocca da fuoco in sé rispetto a quello iniziale. I potenziamenti delle armi possono essere sbloccati completando sfide e guadagnando valuta, entrambe le cose non richiedono molto grinding.

Un altro aspetto interessante del gameplay, seppur non privo di alcuni “dubbi” concettuali, è relativo al sistema dei tarocchi: avremo a disposizione una serie di carte che potremo acquistare e che saranno distrutte dopo il completamente degli stage. Le carte concederanno bonus utili come una maggiore salute, una rigenerazione più rapida del fuoco secondario ecc., seppur il sistema utilizzerà le stesse risorse necessarie per il potenziamento delle armi che, ben presto, scopriremo esser prioritario. Il risultato è che, almeno nelle battute iniziali, le monete faticosamente guadagnate saranno investite principalmente sulle bocche da fuoco, lasciando le carte un po’ abbandonate sé stesse.

Anche il movimento è ottimo e funzionalmente dinamico: non avremo un vero e proprio scatto, ma una scivolata quasi “eterna” con cui potremo far cadere i nemici in modo comico quando ce ne sono molti in giro. Avremo a disposizione anche un pulsante per schivare, che ha due cariche ciascuna con un tempo di recupero. La combinazione di questo sistema di movimento con armi potenti e creative è fantastica, facendoti sentire davvero potente anche mentre stai lottando disperatamente per la tua vita contro un’orda di bestie. Ed è questo il punto di forza di Painkiller: un gameplay veloce e dinamico, unito ad una certa “spensieratezza” sanguinolenta di base.

Tecnicamente parlando, l’esperienza offerta da Painkiller è di buon livello: le prestazioni sono fluide e scorrevoli praticamente sempre su PS5, mentre l’estetica di gioco, seppur non faccia gridare al miracolo (specialmente perché l’engine di base è l’Unreal 4, ormai “vetusto” seppur “magico” a livello di ottimizzazione), fa il suo dovere. Le armi sono ben realizzate, i nemici vanno dal sufficiente (i demoni “ordinari”) al ben fatto (quelli “straordinari”) mentre gli ambienti, seppur gradevoli, offrono un quantitativo di dettagli limitato e spesso ripetuto ossessivamente. Naturalmente, la produzione urla doppia A da tutti i pori, quindi il paragone con produzioni più blasonate non è tecnicamente possibile. Buono il suono, grottesco ed esagerato, tipico della saga e che ben adempie al suo ruolo di catalizzatore del bagno di sangue a schermo.

Painkiller è un shooter old school cooperativo tutto sommato divertente e piuttosto adrenalinico, venduto ad un prezzo lontano dai lidi dei tripla A. Ha un buon sistema di armi dalla sua, oltre che ad un’esperienza cooperativa che, in linea di massima, risulta gradevole e sufficientemente appagante. Al momento, il prodotto di Anshar Studios ha alcune evidenti limitazioni, concettuali e contenutistiche, che minano nel complesso l’esperienza. Detto ciò, un prolungato supporto potrebbe rendere il prodotto, alla lunga, una delle migliori opzioni per chi cercasse un’esperienza leggera e frenetica.