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Recensione NeverDead: quando perdere la testa è un’esigenza…

Bryce è un cavaliere punito con l'immortalità che si ritrova a combattere demoni nel futuro. Rebellion e Shinto Nojiri uniscono le forze per dare vita ad un action dal carattere particolare dove perdere la testa non è per forza una cosa cattiva.

di: Pasquale "corax" Sada

Dopo essersi affrancati da Alien Vs. Predator, serie che li ha consacrati al successo, i ragazzi di Rebellion Developments provano a sfondare con una nuova IP. Si parte da basi completamente nuove, grazie anche al valore aggiunto di Shinta Nojiri, veterano della serie Metal Gear ora alle prese con la sua prima paternità completa. Insomma NeverDead è la bicicletta fiammante per chi fino ad ora ha corso sul triciclo: il principio è lo stesso ma il rischio di cadere e sbucciarsi le ginocchia diventa dannatamente reale.

Ah l’Immortale!

Allora, facciamola breve. Ci sta un tizio di nome Bryce, un cavaliere senza macchia e senza paura che ha la fissa di cacciarsi sempre nei guai. È una prerogativa dei cavalieri impavidi, richiesta anche sul modulo d’adesione al sindacato. Il suddetto impavido eroe, in un giorno di pioggia, incontra per caso Astaroth, il demone Re. Ovviamente la faccenda prende una brutta piega e il demonio col naso a carota disintegra il principe azzurro. Anzi no, lo condanna a vivere per sempre. Una bella seccatura, tant’è che il nostro Bryce vive nel profondo una crisi di identità che lo porta ad una maturazione completa della sua intimità. Eventi siffatti cambiano il modo di vedere di una persona, il suo approccio con il mondo e la capacità di rapportarsi con gli altri esseri umani. Alla fine essere un fenomeno da baraccone non è alla portata di tutti. Bryce si trasforma così in uno sbevazzone incallito, un poco di buono che per vivere è costretto ad uccidere regesti dell’inferno al soldo di una biondona provocante ma un poco frigida. Un salto da uno stereotipo all’altro che dimostra un’agilità invidiabile, comparabile solo al triplo carpiato di Bruce Lee ne I tre dell’Operazione Drago. Il protagonista dell’ultima fatica di Rebellion non ha retto bene al passaggio degli anni e la mancanza dei verdi prati medioevali devono aver distrutto la sua labile psiche, portandolo fino all’autolesionismo. Certo l’ambiente pseudo futuristico poco popolato di gente sana di mente, ma ricco di abomini, non deve aver contribuito ai suoi labili tentativi di riabilitazione. Quindi tra un mostro e l’altro, da una battuta discutibile all’altra, la storia di Bryce e della sua affascinante partner Arcadia volge al termine, lasciandoci una sottile sensazione di vuoto, come se a perdere la testa ripetutamente non fosse stato solo il becero immortale.

Game design – fase 1

Mai titolo fu più azzeccato. Le righe che seguiranno non snoccioleranno semplicemente la struttura di gioco di NeverDead, ma si spingeranno più a fondo. Attraverso una dettagliata analisi, brandello per brandello, del gameplay di NeverDead dimostreremo, signori della corte, che Nojiri è riuscito in modo completo a incarnare come non si fa un videogioco. Rebellion ha creato un manuale su come ripetutamente castrare il divertimento del giocatore, disattendendo le sue aspettative. Partiamo riassumendo la natura del titolo e le sue caratteristiche: NeverDead ci permette di impersonare un cavaliere immortale catapultato ai giorni nostri che dovrà affrontare un’orda di demoni, utilizzando una spada-motosega e una buona quantità di armi da fuoco; non mancheranno sezioni puzzle nelle quali il nostro eroe utilizzerà parti del proprio corpo smembrato per portarle al termine. Figo! Ma è un inganno. Tutto quello che abbiamo descritto è presente nel gioco, ma è impossibile da godere fino in fondo. Procediamo per gradi. Dopo l’epica introduzione che ci mette a parte del passato di Bryce veniamo catapultati nella prima missione. Arcadia si presenta nell’appartamento dell’acchiappamostri e lo accompagna sul sito della missione. Un demone un po’ più grosso degli altri sta gettando il panico in una location deserta, accompagnato da altri demoni più piccoli e da qualche sacca/incubatrice genera demoni. Ordinaria amministrazione, roba che, però, ti butta adrenalina sottopelle, ricordando quella spada-motosega e la doppia pistola. Peccato che, finita la lunga cutscene di intro, ci ritroviamo tra le mani un progetto realizzato davvero in modo sciatto, a cominciare dai controlli. Freddi, poco reattivi e con una mappatura che ha dell’inverosimile, non rispondono per nulla a quella fluidità che ci si aspetta da un titolo così frenetico. Tra mura che esplodono sotto i nostri colpi e orde di bestie che ci inseguono, la vera sfida è mettere insieme i pensieri per controllare Bryce. Gli stick sono adibiti al puntamento delle armi da fuoco quando queste sono equipaggiate, peccato che i movimenti rozzi e poco fluidi non permettano alcuna precisione. “Switchando” sulla spada, avremo la possibilità di parare e menare fendenti, come da tradizione. Un’affetta-carne che potrebbe dare una bella soddisfazione, se non fosse per la scelta di adibire i fantomatici stick al controllo dei fendenti. Dopo poco ci si sente come se qualcuno ci obbligasse a giocare un gioco per Wii su un pad per 360. Una sensazione poco piacevole, quasi infernale per rimanere in tema. Lanciare così tanta carne al fuoco, disperdere sul terreno di gioco così tanta adrenalina per poi castrarne la fruizione è un palese controsenso, sul quale Nojiri e Rebellion devono meditare a lungo.

Game design – fase 2

Già zoppicante nella sezione action, NeverDead non smette di stupire neanche in quella più rilassata del platforming. Mad World per Wii ci aveva mostrato come si possono fare punti con morti creative, Super Meat Boy ci ha insegnato che anche un solo brandello di carne ne può vivere un’odissea… e NeverDead completa l’opera affermando che l’autolesionismo a volte può portare a risultati di tutto rispetto. Bryce, di tanto in tanto, dovrà farsi del male volutamente per superare alcuni punti critici. Per esempio dovrà attaccarsi a cavi elettrici per cortocircuitare cancelli chiusi o staccarsi la testa lanciandola in luoghi altrimenti irraggiungibili, oppure farla rotolare su piattaforme, scivoli e cunicoli per accedere ad aree protette. Insomma uno smembramento che dà un colore del tutto particolare alle solite sezioni puzzle. Il problema è che il più delle volte queste sezioni sono elementari, basate su un level design ingenuo e infantile tanto da stonare in un gioco dall’appeal così “badass”. Un’altra promessa infranta che si accoppia a quella dell’immortalità solo a mezzo mantenuta. Sì, perché il nostro protagonista, anche se fatto a pezzi, rimane in vita, ma non per sempre. Qua e là ci sono dei modi, come gli odiosi aspirapolvere demoniaci, che ci costringeranno a ricominciare il livello dall’ultimo salvataggio automatico. Essere smembrati diventa una seccatura durante la quale, nel caos totale, saremo costretti a girovagare per la mappa alla ricerca dei nostri arti nella speranza di non essere rismembrati e resi così di nuovo impotenti. Meccaniche di gioco che sulla carta sembrano scintillanti ma che alla fine si riducono a davvero poca roba. A questo punto potremmo citarvi gli stage disponibili in cooperativa multiplayer, le varie sfide e le classifiche. Potremmo dirvi che mai un netcode così stabile si è dimostrato uno strumento di tortura per partite davvero poco interessanti, colpa della struttura di gioco in sé più che della modalità online. Potremmo raccontarvi, insomma, questa prolungata agonia in rete, ma non lo faremo. Non siamo mica sadici.

Game design – fase 3

In conclusione abbiamo imparato da NeverDead che avere idee sfavillanti serve a poco se non si riesce a creare un’esperienza di gioco degna di questo nome. Poco contano i personaggi e il loro carisma, poco conta l’ambientazione affascinante e meno ancora il taglio della storia se poi l’intero titolo risulta ingiocabile. Salutiamo Nojiri e Rebellion con l’augurio che il prossimo lavoro tenga presente gli errori fatti e cresca su questo. Altrimenti saremo noi a strapparci la testa e lanciarla contro lo schermo a mo’ di granata…