Recensioni

Recensione Lords of the Fallen

di: Simone Cantini

È tutta una questione di equilibrio, un concetto non certo semplice da mettere in pratica, ma che può davvero fare la differenza quando parliamo di soulslike. Il profano, o anche semplicemente l’hater del genere, potrebbe pensare che per creare una simile esperienza sia sufficiente tarare semplicemente la difficoltà verso l’altro, riempire i livelli di mob e boss overpowered e, magari, piazzarli anche a tradimento, così da causare la morte improvvisa dell’incauto giocatore. Condite il tutto con una progressione lenta e snervante, ed ecco che avrete il soulslike perfetto. In realtà non c’è niente di più sbagliato, ma i ragazzi di HexWorks sembrano proprio convinti del contrario, come dimostra quel pastrocchio a tratti incomprensibile che è risultato essere il loro Lords of the Fallen, seguito dell’omonimo titolo del 2014, che fu bersaglio di innumerevoli critiche da parte dei fedeli di Miyazaki-san per aver anche solo osato cercare di proporre una prima alternativa ai titoli di From Software.

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1000 anni dopo…

Non è certo un compito semplice tentare di proporre un’alternativa ad un genere che, in pochissimo tempo, ha finito per dare vita ad un culto spasmodico nei confronti del suo fautore (e del suo team), ma quasi 10 anni Deck 13 tento ugualmente di sfidare i fasti del meraviglioso Dark Souls (mio soulslike preferito di sempre). E lo fece scegliendo la strada più sicura, ovvero ripercorrendo in modo quasi pedissequo quella già tracciata da From Software, sfiorando in parte il bersaglio, ma consegnandoci ugualmente un titolo più che piacevole e dignitoso. Sicuramente meno complesso e contorto, il Lords of the Fallen sviluppato dallo studio teutonico pescava a piene mani dall’immaginario dark fantasy reso un must dalla casa giapponese, dando vita ad una mitologia che ritorna nell’omonimo lavoro di HexWorks, che a dispetto del nome è un vero e proprio sequel ufficiale di questa prima installazione. La trama, per quanto si possa pensare se si è dei malati della lore occulta, è quanto mai semplice e lineare, e vedrà il mondo di Mournstead minacciato dal ritorno del dio Adyr, di cui credevamo di esserci sbarazzati nel 2014. Dopo un pregevole filmato, che non a caso strizza molto l’occhio al solito Dark Souls, daremo quindi vita al nostro alter ego, per mezzo di un editor del personaggio tra i più caotici e inconcludenti che mi sia mai capitato di sperimentare (perché non posso creare una donna, mio genere di riferimento per simili produzioni?).

Scelta la classe, al solito una piccola etichetta iniziale, che andrà a caratterizzare loadout ed abilità di partenza, ovviamente modificabili in corso d’opera, avrà quindi inizio la nostra complicata avventura. Al solito, nonostante una ricca mole di dialoghi con numerosi NPS, il tutto rimarrà nel complesso fumoso, dando così libero sfogo alle teorie più assurde della solita fanbase, capace di sostituirsi al lavoro degli sceneggiatori per il quantitativo di impensabili ed arzigogolate evoluzioni narrative supposte, tali da andare oltre la banale linearità dell’intreccio. E se penso che c’è anche chi, con simili deliri di onniscienza, si è pure costruito una carriera nel settore, non possono che venirmi i brividi. In soldoni impersoneremo un Crociato Oscuro, divenuto possessore della mistica lanterna Umbral, un magico artefatto in grado di squarciare il velo della realtà e farci viaggiare tra le due dimensioni che regolano Mournstead, nonché unico strumento in grado di purificare i pilastri necessari a fermare il ritorno di Adyr. Non mancheranno, come prevedibile, numerosi personaggi e piccole sotto trame, utili a dare vita a varie subquest opzionali, ma il grosso, piaccia o no, resta questo. E non è certo un difetto, dato cha cercare scritture complesse in un soulslike l’ho sempre trovato assai pretenzioso, proprio come sforzarsi di apprezzare la sceneggiatura di un porno, tanto per citare un vecchio classico. Ed in tal senso, Lords of the Fallen fa il suo, intessendo un canovaccio utile a portare avanti il gameplay e, soprattutto, a dare vita ad un mondo visivamente affascinante e dotato di uno charm malato e disturbante come non si vedeva da tempo.

Non finiscono mai!

Pur essendo a tutto tondo un soulslike, Lords of the Fallen non si è limitato a riproporre 1:1 le meccaniche del genere, ma ha visto bene di contaminarle con alcune trovate davvero ben studiate e riuscite, per quanto solo a livello concettuale. Il combat system è l’aspetto più standard della produzione, e ci metterà al cospetto della consueta accoppiata attacco normale/caricato, legati alla gestione della barra della stamina. Da NiOh ed omologhi riprende la presenza della postura, che porterà al barcollamento dei nemici in seguito alla sua rottura. Tornano in pompa magna i consueti equipaggiamenti (armature, anelli e simili), la possibilità di lanciare magie se in possesso di catalizzatori ed incantesimi, così come di utilizzare armi da lancio e proiettili, oltre ad un nutrito set di lame, naturalmente accompagnate dal consueto sistema di scaling legato allo sviluppo delle varie caratteristiche. Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, se non fosse per la presenza della citata Umbral: la lanterna in questione, difatti, apre la strada ad una sorta di ibridazione con quanto visto nel compianto Soul Reaver, data la sua possibilità di farci accedere al mondo dei morti, in pratica una versione alternativa del livello in questione. Sarà possibile usarla per brevi istanti, semplicemente sollevandola (magari per passare oltre una grata non presente nell’oltretomba), ma se attivata attuerà in tempo reale il mutamento della conformazione dello stage, con conseguente apertura di nuovi percorsi altrimenti inaccessibili. Si tratta di una trovata in grado di dare un respiro decisamente più ampio al level design, data la presenza di numerose porzioni inedite capaci di farci apprezzare ancor di più l’estro costruttivo di HexWorks. L’accesso al regno di Umbral, inoltre, sarà legato anche alla morte del nostro protagonista che, una volta esauriti i propri punti vita, non tornerà all’ultimo checkpoint visitato, ma continuerà il proprio percorso in questa dimensione alternativa, da cui potrà uscire attivando le varie effigi presenti nell’area, oppure riposando presso un punto di salvataggio standard. Si tratta, in definitiva, di una sorta di continue ultraterreno, una seconda possibilità che, soprattutto negli sconti con i boss, fornisce un notevole aiuto al giocatore. Se non fosse, però, fiaccata da un problema di design quanto mai discutibile: accedere ad Umbral non farà scomparire i nemici presenti in Axiom (la dimensione terrena di gioco), anzi, li andrà ad affiancare a nuove creature che continueranno a spawnare all’infinito, la cui potenza ed efficacia sarà legata alla nostra permanenza nell’aldilà. In pratica, oltre a dover tenere a bada i nemici responsabili della nostra morte, ci troveremo ad affrontare orde infinite di altri mob, che diventeranno sempre più forti con il passare dei minuti. Si tratta di una scelta quanto mai assurda, capace di amplificare a dismisura il senso di frustrazione del player, già messo a dura prova dalla difficoltà di avanzamento su Axiom. Una decisione che va anche ad azzoppare l’esplorazione dei livelli, dato che non saranno presenti tempi morti, ma saremo costantemente braccati da decine di nemici che sarà inutile uccidere, dato il loro continuo rigenerarsi. Ecco, quindi, che giungere, o semplicemente scegliere di accedere ad Umbral, si trasformerà in una mera corsa ad ostacoli, con il giocatore che nella maggior parte dei casi si vedrà costretto a raggiungere il punto di ripristino più vicino con quanta più rapidità possibile, impedendo di sviscerare con la dovuta calma ogni anfratto del mondo di gioco.

La situazione, comunque, non cambia poi molto quando saremo in vita, dato che il posizionamento dei nemici, nonché la loro efficacia e quantità, è risultato essere quanto di più frustrante mi sia capitato di sperimentare in un soulslike, tale da rendere i maledetti arcieri di Anor Londo un gruppetto di simpatici scolaretti in gita. In Lords of the Fallen avremo sempre a che fare almeno con 4-5 avversari alla volta, tutti rapidissimi e letali (oltre che dotati di un corposo numero di punti vita), spesso accompagnanti da alleati in grado di scagliare attacchi a distanza dalla precisione millimetrica. A complicare il tutto ci pensa anche il loro piazzamento infame, tale da rendere imprevedibile la loro presenza anche al player più avvezzo, a cui si accompagna in molti casi l’impossibilità di reagire agli assalti iniziali, situazione che spesso ci porterà ad una inevitabile dipartita (ciao Umbral!). Unite il tutto a nemici invisibili mimetizzati come oggetti lootabili (in grado di effettuare instakill non contrastabile), mob che compaiono dal nulla alle nostre spalle, stage basati su passerelle strettissime poste a strapiombo ed una lentezza del nostro avatar, a prescindere dal peso dell’equipaggiamento, ed avrete ben chiaro come spesso l’unica opzione possibile sia la fuga disperata. Ho trascorso più tempo a sfrecciare tra i nemici, nel tentativo di trovare la strada giusta, che ad affrontarli a viso aperto nel tentativo di sgombrare il passo: tanti bei livelli, dal design affascinante, buttati così alle ortiche mi hanno fatto salire un’incavolatura che mai mi era capitato di provare in un soulslike. A complicare le cose ci pensa anche la gestione schizofrenica dei checkpoint, la cui disposizione ha davvero del sadico: è buona norma, in simili titoli, piazzarne uno subito dopo aver fatto fuori un boss, o magari nelle sue immediate vicinanze, ma Lords of the Fallen sembra voler fare di testa sua, e se ne è sbattuto di questa convenzione non scritta, come ho scoperto a mie speso dopo aver fatto fuori una delle minacce iniziali. Certo, c’è la possibilità di creare checkpoint secondari in determinate zone, ma quando me ne sistemi uno a due metri da uno dei boss e me lo rendi utilizzabile solo se in possesso di un consumabile non acquistabile, ma reperibile unicamente nel mondo di gioco, mi sento davvero preso in giro. E dire che l’alternanza Umbra/Axiom, caratterizzata da layout differenti ed enigmi ambientali interessanti, aveva ben altro potenziale, ma quando in un titolo del genere sono a tratti più abbordabili i boss del percorso che porta ad essi, è segno che qualcosa non è andato per il verso giusto.

Orrori schizofrenici

Non potersi godere liberamente (nei limiti del genere, sia chiaro) la bellezza del mondo di gioco di Lords of the Fallen, è uno degli aspetti che più mi ha infastidito della produzione. Già, perché a livello visivo e stilistico, il titolo in questione ha un fascino ed un carisma che, nonostante il dark fantasy sia stato sdoganato in ogni modo possibile, non è secondo a nessuno. Certo, le fonti di ispirazione che gridano a gran voce From Software e Kentaro Miura sono evidentissime, come indicato anche dagli autori stessi all’interno dell’artbook digitale presente nella versione deluxe, ciononostante l’immaginario sviluppato dai creativi dello studio è quanto mai apprezzabile per cura ed inventiva. Ogni creatura, ogni anfratto ed ogni boss (alcuni davvero impareggiabili come design, vedi ad esempio la Progenie Rinnegata o il Volto Falso) trasuda un fascino malato e disturbante, capace tanto di causare un fisiologico senso di repulsione, quanto un desiderio di osservarli da vicino e sviscerarne ogni più minuscolo dettaglio. E al cospetto di tale ispirazione si può chiudere un occhio sul framerate non sempre impeccabile, anche in presenza del preset Prestazioni, mai comunque davvero fastidioso da rendere il tutto ingiocabile, per fortuna. Nella norma il sonoro, che vanta una soundtrack tutto sommato efficace ed un doppiaggio non certo sconvolgente ma puntuale, oltre che accompagnato dalla localizzazione testuale nella nostra lingua. Ad essere davvero fastidioso e necessario di un fix in tempi rapidi, invece, è il sistema di lock dei nemici, impreciso e mai puntuale, caratterizzato da agganci mancati e perdita del bersaglio, oltre che incline a non fissarsi mai sull’obiettivo più vicino (quando funziona), preferendo elementi spesso anche fuori dal nostro raggio visivo. Una pecca davvero imperdonabile per un titolo che punta forte sulla presenza massiccia di avversari, già ostici da affrontare quando tutto funziona a dovere. Sul fronte online, invece, non si registrano particolari scossoni, data la presenza della canonica co-op, sia tramite invito che matchmaking, oltre al PvP, il tutto fruibile anche tramite crossplay: le rare volte in cui ho incrociato il cammino con altri player, tutto ha funziona a dovere, indice di un netcode molto buono.

Ne ho giocati tanti di soulslike, sicuramente la stragrande maggioranza di quelli usciti sul mercato (sia belli che brutti), ma mai mi sono trovato al cospetto di una produzione così inutilmente frustrante e sballata come Lords of the Fallen. I ragazzi di HexWorks sembrano quasi aver sottovalutato l’essenza dei soulslike, soffermandosi unicamente sul concetto di difficoltà, qua reso esasperante da una gestione delle forze nemiche quanto mai sconclusionata, capace di affossare i lati positivi della felice intuizione in fatto di level design. A brillare, difatti, è la presenza delle meccaniche legate all’utilizzo di Umbral, capace di dare vita ad un mondo di gioco ancora più sfaccettato ed intrigante, ma che finisce per passare rapidamente sullo sfondo a causa dell’impossibilità di incedere con passo ragionato lungo le strade, fisiche e spirituali di Mournstead. Ci troviamo, in definitiva, al cospetto di un soulslike dal fascino e dal potenziale indiscusso, elementi che hanno però finito per essere affossati da un’intransigenza ludica che avrebbe avuto senso nel 2014, ma che dopo tutti questi anni di affinamento del genere suonano quasi come un puro e semplice anacronismo.