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Recensione Layers of Fear 2

di: Donato Marchisiello

Secondo capitolo della serie, Layers Of Fear 2 continua lungo la strada del suo predecessore, uscito nel 2016 e che risultò essere uno dei titoli horror più apprezzati del periodo. Anche in questo nuovo capitolo, impersoneremo un artista che, attorniato da un orrore puro e che trascende la realtà, man mano comincia a perderne proprio lo stretto legame con essa. Mentre il gioco originario ci consentiva di esplorare una sfarzosa villa vittoriana nelle vesti di un pittore, Layers Of Fears 2 sposta la sua inquadratura principale per raccontare la storia di un attore Hollywoodiano mentre intraprende un nuovo ruolo in un film girato a bordo di un transatlantico decadente.

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Durante il corso dell’avventura verrà raccontata la storia del protagonista come se fosse in un film suddiviso in atti, con tanto di titolo ed immagine per ognuno di essi come si usava nelle vecchie pellicole cinematografiche. Attraverso note, puzzle ambientali, registrazioni sonore ecc, il gioco ci fornirà dettagli sul passato problematico del personaggio. Il motivo chiave del turbamento del protagonista è un trauma infantile costruito attorno al rapporto avuto con la sorella. Il nostro alter ego diviene così un attore-spettatore della sua vita che, guidato da una figura informe, ripercorrerà i propri turbamenti legati alla sua infanzia attraverso déjà vu o flashback improvvisi, con il passato dell’attore che ci verrà svelato tramite delle vere e proprie scene di una opera teatrale. Gli attori sono dei manichini, il regista la figura informe e il nostro personaggio spettatore-attore, appunto, di quello che accade. In linea di massima, Layers of Fear 2 ci offrirà una storia piuttosto elaborata, con la possibilità di finali multipli che ci consentiranno di ributtarci nuovamente l’orrore pregando all’altare del “what if”.

Sul lato gameplay, non ci sono grandi stravolgimenti rispetto al predecessore: infatti gran parte del tempo verrà impiegato nell’esplorare le varie aree di gioco, raccogliendo i vari oggetti che vanno a riempire quello che è il puzzle legato alla storia, e risolvere enigmi per progredire innanzi con la trama. Parlando di quest’ultimi, gli enigmi non particolarmente memorabili o stimolanti, ma semplicemente indizi elementari come trovare un codice all’interno dell’ambiente per sbloccare una serratura o manipolare dei rotoli di pellicola per creare una porta. Un po’ frustranti le sezioni dove, invece, si verrà rincorsi dalla creatura, dove finiremo spesso per avere la peggio grazie ad una interazione con gli oggetti non proprio immediata. Alla fine di ogni atto poi, il gioco ci catapulta in quella che sembra essere la cabina del personaggio all’interno del transatlantico, che assume il ruolo di una sorta di hub centrale.

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Dalla cabina sarà possibile rivedere tutti i collezionabili raccolti nel gioco; si potranno ammirare appesi alle pareti quelli che sembrano i poster dei vari film interpretati dall’attore nella vita (a patto che li abbiamo raccolti durante il nostro percorso), vedere le diapositive raccolte su di un proiettore e scorgere una parola su di una lavagna che prende forma progredendo nella storia(partendo da dei semplici trattini per poi svelare le lettere che la compongono). Gran parte del level design è ispirato a capolavori di registi noti come Stanley Kubrick e Alfred Hitchcock, e sin dai primi minuti di gioco si può vedere come l’influenza artistica dei tre registi abbia condizionato l’opera dello sviluppatore Blooper Team. Ci sono decine e decine di corridoi che si ispirano palesemente a opere come Shining, in un corridoio è persino possibile scorgere un triciclo simile a quello visto nel film.

Il gioco è pervaso da una buia atmosfera, in linea con quanto visto nel primo capitolo: anche il semplice esitare nel girarti di spalle è stato creato per far rimanere alta la suspance. Sfortunatamente però, man mano che si progredisce nel gioco viene sempre meno questa sensazione di ansia dovuto a meccanismi di spavento ripetuti più volte: ad esempio i manichini che si trovano all’inizio del gioco sono impressionanti a causa del loro movimento stop-motion-esque di quando si gira la visuale, ma sono presenti così spesso che il loro effetto va scemando. Ansia che viene alimentata solamente dalla creatura informe che spesso ci inseguirà e creerà quella classica “urgenza” tipica degli horror, in cui saremo chiamati a compiere con più velocità quelle azioni che fino a poco prima portavamo a termine con relativa calma. In linea di massima, Layers of Fear 2 sarà completamente incentrato sulla stessa formula ludica del suo predecessore, di sicuro impatto ma che sarà delineata da limiti piuttosto marcati e da una certa ripetitività.

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Tecnicamente parlando, Layers of Fear 2 si attesta a livelli qualitativi medio/alti. Nel complesso il lavoro profuso sia a livello artistico che più meramente computazione sarà molto pregevole, con modelli poligonali dell’ambiente, il quale sarà piuttosto vario anche grazie ai continui “stati alterati” del protagonista, e dei pochi personaggi ben fatti. Quello che però riesce molto bene a Layers Of Fear 2 è lo straordinario lavoro fatto sull’ ambientazione e la regia, al fine di creare un’atmosfera e un senso di terrore sempre crescente grazie anche un comparto sonoro che riesce a far respirare appieno l’inquietante mondo che serpeggia nell’oscurità, con il cigolio delle assi di legno e rumori sinistri di varia natura che riempiono le sale buie del gioco. L’Unreal Engine 4 fa bene il suo lavoro, specialmente su PS4 Pro, dove il gioco scorrerà fluidamente senza nessun calo di frame degno di nota.

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Layers of Fear 2 è un buon titolo horror con una trama ben strutturata, con un design artistico degno di nota e che riesce a catturare per la bellezza delle immagini e per la qualità del sonoro. Peccato per il gameplay un po’ troppo limitato e la ripetitività di alcuni puzzle. Chi ha giocato al primo, dovrà tenere in conto che il Layers of Fear 2, in sostanza, non introdurrà nessuna reale novità alla formula vincente del primo episodio.