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Recensione Last Days of Lazarus

di: Simone Cantini

L’est Europa è oramai da tempo una consolidata realtà del panorama videoludico, basta pensare a Bloober Team, CD Projekt RED o 4A Games. Tra i nuovi attori del mercato, però, si fa largo oggi anche una nuova, per quanto piccola, realtà che proviene dalla Romania, e che con l’intrigante Last Days of Lazarus ha dimostrato di avere delle buone idee da dare in pasto ai giocatori. Per quanto ci sia ancora bisogno di un deciso processo di crescita autoriale.

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Tutto in famiglia

Siamo sul finire del 1999 e Lazarus, un uomo che ha lasciato da anni la famiglia per svolgere un lavoro non meglio identificato, riceve una telefonata dalla sorella Lyudmila, che lo informa del suicidio della madre e lo prega di ritornare per prendere parte al funerale. Troppo impegnato in questioni che richiedono la sua presenza, oltre che spinto dal desiderio di non rivedere la sua patria, l’uomo declina l’invito, preferendo rimandare questo doloroso ricongiungimento all’approssimarsi del Natale. Tornato sul luogo della sua infanzia e giovinezza, nuovi dolori sono pronti ad accogliere a braccia aperte il nostro Lazarus che, finirà per assistere all’omicidio della sorella e si ritroverà coinvolto in una spietata guerra e nelle cospirazioni di una mistica setta. Una storia sicuramente intrigante e ricca di spunti quella che tira le fila di Last Days of Lazarus, opera che segna il debutto dello studio indipendente rumeno Darkania Works, che affonda le proprie ispirazioni proprio nel retaggio postcomunista e nel folklore del paese in questione. Un amore nei confronti della propria terra che emerge con prepotenza nel corso delle circa 6 ore necessarie a giungere ai titoli di coda, ma che purtroppo non è riuscito a veicolare con completezza e coesione gli eventi che fanno da sfondo al gameplay. Se è vero che i temi e le situazioni trattate, capaci di mescolare momenti horror e splatter (mai comunque troppo spinti) a riflessioni sociali e politiche, risultano interessanti e non banali, è il modo in cui le varie situazioni si susseguono sullo schermo a tradire l’inesperienza del team di sviluppo, che ha portato a repentini cambi di direzione, non sempre appoggiati ad un cast di personaggi ben tratteggiati. Gli attori virtuali, per quanto non privi di spunti di interesse, tradiscono una caratterizzazione sin troppo abbozzata, accompagnata da una recitazione digitale non sempre all’altezza. A restituire una maggiore compattezza al tutto, pertanto, ecco che ci pensano i vari documenti di cui il gioco è ricco, capaci di fornire uno sguardo sicuramente più completo ed esaustivo sul mondo ideato dallo studio.

A caccia di indizi

Last Days of Lazarus si propone come un’avventura narrativa con elementi presi dal mondo dei punta e clicca, sebbene tali declinazioni ludiche siano quanto mai elementari. Tutto è scandito attraverso singoli atti, che ci porteranno ad esplorare ambienti ben circoscritti, siano la casa del protagonista o altri luoghi, all’interno dei quali saremo chiamati a raccogliere alcuni oggetti, indispensabili per risolvere i vari puzzle che regolano la progressione. Questi ultimi presentano una buona varietà di situazioni, oltre ad una manciata di intriganti meccanismi di risoluzione, ma sono in definitiva fiaccati dall’estrema semplicità (almeno concettuale) necessaria per poterli superare. In pratica non dovremo fare altro che esaminare le varie location, in cerca degli elementi interattivi e raccoglibili che, una volta in nostro possesso, verranno abbinati automaticamente al luogo deputato al loro utilizzo, rendendo di fatto secondario l’intervento intellettivo del giocatore. In definitiva passeremo il tempo a cercare di individuare i vari spot sensibili, non certo aiutati da un puntatore che sembra voler fare di tutto per mettere i bastoni tra le ruote al giocatore, complice una dimensione davvero microscopica. A mitigare il tutto, pertanto, ci pensa la costruzione generale dell’esperienza che, pur al netto delle criticità evidenziate, riesce a mantenere desto l’interesse e a spingerci a giungere al termine dell’avventura. Molto, in tal senso, è dovuto alla caratterizzazione estetica del mondo di gioco che, soprattutto negli interni, offre un colpo d’occhio ed una cura per il dettaglio notevole, soprattutto per quanto concerne le espressioni religiose di cui Last Days of Lazarus è colmo. Tutto cede un po’ negli esterni e nei modelli degli sparuti personaggi che popolano la scena, ma considerando la natura della produzione ci attestiamo su livelli più che convincenti. Meno incisivo il comparto sonoro, che ha soprattutto nel doppiaggio in inglese (scordatevi la localizzazione, anche solo testuale, nella nostra lingua) un campionario di alti e bassi recitativi un po’ troppo marcato.

Last Days of Lazarus rappresenta un debutto dolceamaro per I ragazzi di Darkania Works, che si sono dimostrati in grado di costruire un intreccio sicuramente intrigante, oltre che accompagnato da dei concetti ludici che, pur nella loro semplicità, risultano comunque ben oleati. Il rovescio della medaglia è rappresentato, però, proprio da questa esile struttura interattiva, le cui complicazioni maggiori (per il player) risiedono nel puntatore ai limiti del fastidioso, oltre che nel modo a tratti sconnesso con cui la storia procede sotto gli occhi del giocatore. In definitiva ci troviamo al cospetto di una produzione dal potenziale indiscusso, in cui traspare tutta la passione profusa dal team di sviluppo, ma che avrebbe necessitato di un maggiore spessore per spiccare pienamente il volo.