Recensione Kingdoms of Amalur: Reckoning – L’ennesimo successo di EA?
R.A. Salvatore, il celeberrimo scrittore fantasy artefice dell’epopea dell’elfo Drizzt, Todd “Spawn” McFarlane, il leggendario game designer della serie The Elder Scrolls, Ken Rolston ed infine Grant Kirkhope, compositore di colonne sonore di titoli quali GoldenEye, Donkey Kong 64 e Viva Pinata. Quattro cavalieri per una sola grande epopea, quattro talenti per una sola grande storia. Mettetevi comodi, questo è il racconto di Kingdoms of Amalur: Reckoning.
di: REdeiDESIDERIParliamo un attimo di Electronic Arts. Che cosa possiamo dire di questa intraprendente software house che non si sappia già? Si è praticamente lanciato in qualsiasi genere videoludico noto, con la pretesa (talvolta riuscitissima) di volerlo dominare. Ha saputo inaugurare con successo nuove IP per console, ottenendo consensi di critica e pubblico. Ha espanso il proprio marchio accogliendo in seno sviluppatori di un certo calibro riesumando dalle nebbie del passato persino “gentaglia” come American McGee. EA ha insomma messo mano ad idee e portafoglio e, negli ultimi anni, ha dimostrato senza mai peccare di inerzia di avere un motivo più che fondato per essere quello che è, ossia la più grande società di videogame attualmente sul mercato.
Nessuna meraviglia, dunque, che una società come questa una mattina si svegli ed abbia la voglia di radunare, per il suo prossimo videogame, una vera e propria squadra di mostri sacri cosicché, almeno sulla carta, si possa provare a competere con quelli che sono i masterpiece presenti sul mercato. Il masterpiece in questione è ovviamente l’amatissimo The Elder Scrolls V: Skyrim, che in questo momento detiene certamente il titolo di RPG più giocato su console. EA ha però tante frecce al suo arco e, con l’aiuto dei 38 Studios e di Big Huge Game raduna sotto il suo stendardo quattro “mostri”, così da poter creare (almeno idealmente) un videogame ruolistico dalle fondamenta tanto solide da sfidare lo strapotere di Bethesda. All’adunata rispondono allora nientemeno che R.A. Salvatore, il celeberrimo scrittore fantasy artefice dell’epopea dell’elfo Drizzt, Todd “Spawn” McFarlane, il leggendario game designer della serie The Elder Scrolls, Ken Rolston ed infine Grant Kirkhope, compositore di colonne sonore di titoli quali GoldenEye, Donkey Kong 64 e Viva Pinata. Quattro cavalieri per una sola grande epopea, quattro talenti per una sola grande storia. Mettetevi comodi, questo è il racconto di Kingdoms of Amalur: Reckoning.
Senzafato
Piagata da una guerra che dura ormai da anni, la magica terra di Faelandia vive ora il suo momento più buio. Ribellatosi alla sua stessa pacifica natura, l’immortale e malvagio Gadflow ha lanciato per le lande la sua piaga più oscura: i Tuatha. Creati magicamente utilizzando il corpo dei Fae (quel che in Amalur potremmo identificare come elfi di “tolkeniana” memoria), i Tuatha sono creature immortali, a metà tra la malvagia lucidità del loro creatore e l’inarrestabile minaccia tipica di un non-morto. Per la loro natura così particolare, i Tuatha, guidati da Gadflow stanno ormai conquistando il mondo piegando sotto il loro giogo tutte le sfortunate razze mortali in cui si imbattono. Sembra ormai già scritto che Gadflow porterà la vita all’estinzione, o almeno così sembrava. Il destino a quanto pare non è definitivamente scritto e, per quanto le creature di ogni dove pensino che sia così, un uomo (o una donna) risorto dalla tomba sembrerebbe disposto a dire il contrario!
Con queste poche righe abbiamo cercato di darvi un’idea di quello che è l’incipit della trama imbastita da R. A. Salvatore per Kingdom of Amalur: Reckoning. La storia in effetti, per quanto abbastanza canonica nella sua battaglia tra bene e male, può contare su un risvolto abbastanza interessante che trova forma proprio nel suo “indefinito” protagonista, ossia noi. Più che partire dall’inizio, Amalur sceglie infatti di partire con la fine… una drastica fine: deceduti in circostanze non del tutto chiare, ci ritroveremo involontariamente parte di un ambizioso esperimento del Prof. Fomorous Hugues, un bizzarro gnomo che ha dedicato la sua vita alla creazione ed al funzionamento del “Pozzo delle Anime”, un marchingegno a metà tra alchimia e magia grazie al quale spera di poter riportare in vita le innumerevoli vittime dei Tuatha. Neanche a dirlo, il lavoro di una vita è stato, sino ad oggi, un fallimento, tant’è che scopriremo essere proprio noi il primo ed unico successo dello gnomo. Dopo attimi di rivelazioni e dubbi, dovremo sin da subito separarci dal nostro “benefattore”, a causa di un assalto Tuatha al pozzo del tutto inatteso e inarrestabile. Da qui in poi la trama, spezzettata nel corso delle ore di gioco, si farà sempre più intrigante, mettendo il giocatore ed il suo personaggio dinanzi a diverse scelte, alleanze ed ancor più misteri. Non bastasse la sua “rinascita”, il nostro eroe è infatti padrone di una peculiarità unica che lo ha reso, per qualche motivo, “sradicato dal fato”. Il concetto di destino, ed ancor più di un destino scritto, è uno dei pilastri dell’immaginario di Amalur, tant’è che il nostro primo alleato sarà proprio un “tessitore”, ossia una sorta di veggente del fato, capace di capire quale sia il ruolo di un uomo all’interno della propria vita. Ebbene questo concetto per il nostro eroe è del tutto superfluo, cosa che da un lato potrebbe portarlo ad essere un cataclisma ben più terribile di Gadflow, dall’altro potrebbe essere la chiave di una salvezza mai troppo sperata, il maglio con cui distruggere un futuro che sembra scritto sulla pietra.
Amalur si prospetta dunque come un viaggio ricchissimo, in cui si intesserà non solo una vicenda complessa e ben orchestrata, ma anche i miti, le tradizioni, i bisogni, gli usi ed i costumi di una popolazione poliedrica e viva. In tal senso ci sentiamo di applaudire il lavoro del team di sviluppo che ha saputo infondere nella sua opera una passione sufficiente da ammaliare l’utente, magari anche quello già smaliziato dalle produzioni di spessore. A dispetto di un incipit lento e delle prime ore di gioco abbastanza vincolate alla trama, il mondo di Amalur improvvisamente si apre lasciando al giocatore una libertà pressoché assoluta. Tale concetto, seppur già sdoganato da produzioni ben più blasonate, affascina e conquista comunque grazie alla precisa direzione stilistica intrapresa. Unico rammarico in questa epopea del fantasy è forse l’eccessiva frammentarietà della trama, giocoforza schiacciata da una mole di incarichi secondari assolutamente impressionante la cui “logica” è spesso pesantemente staccata da ciò che accade nel mondo. Certo, sarà sempre possibile sentire i cittadini di questa o quella città lamentarsi della piaga Tuatha che incombe su Faelandia, ma a conti fatti ognuno di essi ci sembrerà tutto sommato distratto e poco interessato al futuro del mondo rispetto, piuttosto, alla propria collana persa in un bosco o al sopruso subito da un qualche bandito. A tal riguardo Skyrim si è comportato meglio, con PNG molto più partecipi della leggenda del Dovahkiin e dei draghi, così come produzioni completamente diverse ma parimenti “aperte”, come il bellissimo Red Dead Redemption, hanno dimostrato che anche gli incarichi secondari più infimi possono essere in qualche modo legati ad una logica nello sviluppo di trama e eventi. Ma forse stiamo cercando il pelo nell’uovo.
Tell me a “Fable” (?!)
Per ciò che concerne il gameplay, Amalur si presenta al giocatore con un’identità non meglio definita, ma che è piuttosto la miscela di tante buone idee estrapolate dall’attuale contesto RPG, mescolando il tutto e cercando di tirare fuori un prodotto comunque completo ed appagante. Partendo da quello che è un cliché ormai tipico di titoli simili, Amalur ci metterà alla mano un conciso quanto pratico editor con cui mettere in piedi, sin dai primissimi momenti di gioco, il nostro beniamino digitale. Potremmo allora scegliere tra quattro razze, tutte diverse non solo per estetica ma anche per preferenze di combattimento, caratteristiche sociali e culti religiosi, così che sin da subito si possa creare un alter ego calzante al nostro stile di gioco ed alle nostre preferenze. Fatto ciò ci troveremo dinanzi ad una struttura ludica molto classica, e ben radicata all’interno del genere (come provato anche dal recente e portentoso lavoro di Bethesda). Amalur è infatti sostanzialmente un RPG ad esplorazione di tipo progressiva, in cui l’immenso mondo di gioco (come, per l’appunto, nella serie The Elder Scrolls) si aprirà agli occhi dell’utente non da subito ma per mezzo di una accurata esplorazione, comodamente divisa in cinque macro-aree, dense (ma è dire poco!) di incarichi, città, dungeon, PNG e chi più ne ha più ne metta. Un plauso in tal senso anche alle mappe che, non solo brillano per un’ottima varietà, ma anche per tutta una serie di accorgimenti tecnici – come ad esempio segnali, cursori ed indicatori appositi – capaci di darci un’idea delle cose da fare anche se quest’ultime non fanno parte della missione al momento attiva, addolcendo in qualche modo la progressione all’interno delle aree di gioco e permettendoci sovente di concentrarci anche su più incarichi contemporaneamente. Seppur è vero che questo sistema mitighi di molto quella che è una delle principali esperienze all’interno di titoli simili, ossia la ricerca. Dall’altro non possiamo che apprezzare un lavoro simile, vista soprattutto la consistente ampiezza del mondo di gioco, cosa che spesso, in altre produzioni, proprio per l’eccessiva dispersività, si fatica ad apprezzare.
Per ciò che riguarda invece il fulcro di un titolo ruolistico, ossia la progressione, dobbiamo anche qui constatare come si sia improntato lo sviluppo su cliché molto classici, con qualche novità atta a rendere la personalizzazione del proprio personaggio uno dei punti di forza dell’intera produzione. Come da copione ogni combattimento provvederà a riempire una barra di punti esperienza così che partendo dal primo livello si possa man mano potenziare, fortificare ed affinare il nostro alter ego digitale. Per ogni livello otterremo quindi diversi bonus: un punto da spendere in una lista di dieci abilità quali scasso, furtività, commercio ed altro, la cui linea di progressione si strutturerà a sua volta in dieci livelli, ognuno dei quali sbloccherà una particolare peculiarità (serrature più semplici da aprire per lo scasso, prezzi commerciali in ribasso per il commercio, ecc.) nonché tre punti da spendere in tre alberi di abilità divisi secondo i canoni di Magia, Forza e Destrezza, in cui sbloccare abilità passive ed attive (anche queste ultime con vari livelli di potenza ed efficacia), nonché mosse speciali e nuove combo con cui arricchire il nostro set di combattimento. Proprio in tal senso la bontà dello sviluppo delle caratteristiche del nostro personaggio si sposerà di pari passo agli stili di combattimento che esso potrà intraprendere per mezzo dell’uso delle armi più disparate, molto più che un mero ammennicolo estetico, ma piuttosto foriere di differenze consistenti sia per ciò che concerne portata, danni e velocità, sia riguardo combo e stile di combattimento. Così Amalur si prodiga nel darci un’idea chiara di come stiamo investendo nel nostro personaggio, cosicché l’uso dei punti abilità e progressione non sia mai legato ad una spesa forsennata, ma quanto ad una pianificazione attenta, che ci permetta così di ottenere un personaggio “fisico” piuttosto che uno “furtivo” (con tanto di uccisioni stealth!) o “magico”. Le possibilità che si affacciano sul gameplay sono innumerevoli, tanto che le parole difficilmente rimpiazzeranno una prova approfondita e diretta dello stile di cui è padrone il gioco. Il sunto di tutto è che Amalur sia una riuscita, quanto forse poco fantasiosa, miscela del bellissimo Fable di Peter Molyneux, del più blasonato Skyrim e del sempre apprezzato Dragon Age, tanto che non ci spaventeremmo di scoprire uno studio accurato da parte del team di sviluppo sui tre giochi in fase di pre-produzione.
E non è detto che sia un male!
Il Mazzo ed il Mazziere
Se nonostante qualche variabile, il tutto si affacci quindi ad uno stile molto classico, la novità vera e propria introdotta da Amalur consiste nelle cosiddette “Carte del Fato”, dei veri e propri tarocchi con i quali poter impostare la classe del nostro personaggio. Se al di là del mero fattore estetico, l’idea sembrerebbe non suscitare particolare interesse, è nell’evoluzione del PG e nel corso delle varie ore di gioco che le suddette carte acquistano spessore e, soprattutto, interesse. Il punto fondamentale è che in Amalur il nostro personaggio non deve essere necessariamente associato ad una classe specifica ma, con l’aumento e la spesa dei punti abilità, esso possa far trascendere le proprie caratteristiche tanto in un ramo quanto in un altro creando quelle che, partendo dai giochi di ruolo cartacei (D&D docet) si chiamano “multiclasse”. Una multiclasse è canonicamente intesa come il risultato di due o più classi che si incrociano onde creare un qualcosa di altamente personalizzabile ed inedito. Vincente secondo le originali idee di Dungeons & Dragons, le multiclasse di Amalur sono concettualmente molto simili, con la differenza di essere davvero, ma davvero numerose! Basterà spesso spendere anche una manciata di punti in un ramo piuttosto che in un altro per sbloccare una carta nuova, così che partendo magari da un guerriero, livello dopo livello ci si trasformi in un assassino, uno stregone o una mescolanza più o meno definita di questa o quella classe! Gli ibridi sono moltissimi, tutti diversi per caratteristiche, bonus e malus, e tutti assolutamente coerenti con le scelte che si intraprenderanno nello sviluppare gli alberi di abilità. Creare due personaggi identici in Amalur è in tal senso impossibile! Anche perché non bastasse il già folto mazzo di tarocchi, molte carte “uniche” potranno essere sbloccate solo nel corso di determinate missioni che, oltre ad un cospicuo guadagno di punti esperienza, ci permetteranno anche di ottenere un certo status sociale tra le popolazioni della Faelandia e di conseguenza una apposita Carta del Fato.
Mutafato
Ma non di sole statistiche vive il moderno giocatore, ed ecco allora che il bravo team di sviluppo si è prodigato, come del resto già accennato, nell’imbastire anche un solido e divertente sistema di combattimento, capace sin da subito di mescolare un pizzico di strategia (e di oculatezza) agli stilemi tipici degli RPG più devoti all’azione. Amalur sembra non volersi far mancare nulla, partendo innanzitutto da un bestiario di tutto rispetto in cui la differenza tra le varie creature è evidente tanto esteticamente quanto fisicamente. Ogni mostro ha le sue peculiarità, i suoi vezzi in combattimento e le sue caratteristiche resistenze, con anche diverse variabili all’interno della stessa razza. Imparare a gestire il bestiario (talvolta anche molto propenso alla collaborazione tra le diverse razze di creature) sarà da subito una questione di vita o di morte ed influirà anch’esso sulla piega che potrebbe prendere il vostro sviluppo e, ovviamente, il combattimento. La parola d’ordine resta comunque l’accessibilità con cui il tutto è presentato. Amalur si offre infatti come un prodotto mainstream che, in quanto tale, può essere affrontato anche senza l’adeguata attenzione (o devozione, se vogliamo), questo grazie soprattutto alla semplicità del combat system ed alla già ampiamente discussa versatilità con cui è possibile sviluppare il personaggio. Al nostro eroe, dunque, la possibilità di attingere da un folto set di attacchi melee, alle tipiche parate e schivate, nonché alle abilità proprie della classe equipaggiata, come magie di attacco, di supporto, di evocazione o attacchi più o meno furtivi, con anche la possibilità di mettere fine a certi scontri con delle uccisioni silenziose degne dei migliori assassini. Il tutto infuso in un sistema di gioco molto dinamico in cui il controllo dei colpi e dello spazio di combattimento deve per forza di cose essere pesato di volta in volta, data soprattutto la varietà del bestiario ed una difficoltà generale tutto sommato entusiasmante.
Al dinamismo ed ai combattimenti galvanizzanti, si aggiungono poi molti dei cliché che ci si aspetterebbe da una produzione ruolistica odierna quali, ovviamente, missioni con alleati, boss e mini boss in abbondanza ed anche tutte quelle peculiarità tecniche sdoganate da World of Warcraft come la caratteristica aggressività dei nemici (aggro), la possibilità di uccidere i mostri sulla distanza sfruttando la loro stessa smania di sangue (kiting), nonché dungeons prettamente votati al raccoglimento di determinati oggetti rari, ancora meglio se essi fanno parte di un potente set, come già si saggiò su console ai tempi del bellissimo Dragon Age. Ma non è finita qui! Dulcis in fundo il nostro paladino, in quanto detentore del potere di alterare il fato, è stato dotato di una esaltante quanto potente mossa finale detta “mutafato”. Evidenziata sullo schermo per mezzo di una finisher particolarmente cruenta, ed eseguibile tramite la pressione forsennata di un tasto a schermo (in stile simil-quick time event), la mutafato ci permetterà di sbaragliare in poche mosse un potente nemico o, ancora meglio, una schiera di nemici più piccoli e meno coriacei. Attivabile al caricamento di una apposita barra (il cui riempimento è determinato dalla varietà e dallo stile con cui sconfiggeremo i nostri avversari), la nostra finisher ci donerà una sorta di status di esaltazione in cui riceveremo molto meno danni, ne infliggeremo praticamente il doppio e soprattutto avremo l’azione di gioco leggermente rallentata in nostro favore. Alla fine di tutto ciò, potremo poi scaricare le nostre ultime forze in una esaltante mossa finale che, se adeguatamente caricata, potrà arrivare a darci il 100% di punti esperienza in più, cosicché imparando a sfruttarla come si deve, essa diventerà non solo una preziosa carta da giocarsi nelle situazioni più concitate, ma anche un compendio più che considerevole allo sviluppo del nostro PG.
The reckoning: part 1
Tirando le somme, Amalur si presenta con un impianto ludico estroso e funzionale, la cui unica pecca – a voler essere rigidi – è quella di osare poco o niente per svecchiare il canovaccio tipico del genere ruolistico. Ma a ben vedere non ricordiamo EA avesse questa pretesa. Kingdoms of Amalur: Reckoning è un gioco ben congegnato, divertente e coinvolgente, padrone, tra l’altro, di un bilanciamento della difficoltà eccellente e di una longevità cui anche i titoli più celebri difficilmente potrebbero competere. Alla produzione 38 Studios manca poco o niente, tanto che il team di sviluppo si è prodigato per aggiungere al gameplay anche “inezie”, di cui per forza di cose parleremo brevemente come alchimia, forgiatura, incantamento e crafting. Tutte opzioni riccamente implementate e di semplice accessibilità. Non mancano inoltre situazioni in cui il gioco proporrà scelte di risposta multipla (per mezzo del mai troppo copiato menù radiale à la Mass Effect) capaci di modificare l’andamento della trama e delle sub-quest, così come furto, scasso, omicidio, galera e quant’altro possa contribuire a rendere l’esperienza di gioco il più poliedrica possibile.
Amalur lascia tutto sommato al giocatore una libertà d’azione consistente che, seppur non paragonabile a quanto visto in Skyrim (bug compresi), riesce comunque a divertire e intrigare, fosse anche solo per lo sfizio di forgiarsi una spada o una corazza con le centinaia di reagenti inventate per il mondo di gioco. Ma questa è solo acqua che si increspa, approfondire o no tutte le variabili di gioco sarà, come sempre, una vostra esclusiva prerogativa. Unica pecca in tal senso è forse la cattiva organizzazione dei menù rapidi che permettono di utilizzare oggetti e magie. Infatti, mentre per i primi si è optato per un ampio menù radiale richiamabile per mezzo della pressione del grilletto sinistro, proprio come accadeva per Dragon Age, per le magie si è optato per un piccolo menù con sole quattro opzioni, senza la possibilità di aggiungere altro! Si è quindi costretti sovente a modificare il menù delle scelte rapide, lanciando magari le magie di supporto prima di uno scontro, per poi doversi arrangiare con le striminzite opzioni offerte dalle macro, a dispetto invece di un funzionalissimo menù per pozioni e oggetti. La cosa, a ben pensarci, non ha senso. Non ha senso perchè qualsiasi oggetto può essere usato dall’inventario anche nel corso degli scontri, il che per quanto comodo rende superfluo un menù tanto grande. Non ha poi alcuna logica la scelta di non adottare la stessa opzione per le magie e le abilità attive, il cui numero consistente (supportato dalla natura “multiclasse” dello sviluppo del personaggio), mette spesso il giocatore alle strette, costringendolo a continui cambi tra le macro. Una rifinitura di poco, che una più attenta scelta di sviluppo avrebbe sicuramente potuto cesellare.
Re-Spawn
A questo punto lo avrete capito: Kingdoms of Amalur: Reckoning è un titolo immenso, con un gameplay solo marginalmente semplificato rispetto ad altre produzioni, ma capace comunque di dire la sua e di divertire. Tale grandezza non è riscontrabile solo nella mole di possibilità di cui vi abbiamo già parlato, ma anche nel bellissimo e vasto mondo di gioco. Vi basti pensare che, senza voler necessariamente imbattersi in tutte le quest secondarie, la vostra avventura “principale” potrebbe durare all’incirca 30 ore! Ma è ovvio che questa è solo la punta dell’iceberg in quanto tra quest secondarie, zone segrete, armi rare e mostri di potenza epica, potreste tranquillamente impegnarvi per una cinquantina di ore ed anche più, senza quasi mai annoiarvi o cadere vittima della ripetitività. Molte sono infatti le variabili proposte dalle quest (seppur non manchino clichè abbastanza classici), così come un grande lavoro è stato fatto per diversificare e popolare le cinque macro-aree della mappa. Non manca proprio niente: montagne, castelli, dungeon, laghi e fiumi, arboreti, città magiche e chi più ne ha più ne metta! Il tutto cesellato da un nome del settore artistico che non mancherà di far saltare sulla sedia molti di voi: quel Todd McFarlane che negli anni ’90 se ne uscì con Spawn e che in parte reinventò lo stile di disegno di quegli anni (*coff* Spiderman *coff*). Benché manchi di quel tratteggio frettoloso e ai limiti del dark che ha reso celebre il suo Spawn, la mano di McFarlane è comunque evidente e si è prodigata nel ricreare un mondo che, seppur molto simile – invero – all’immaginario creato da WoW (soprattutto nella colorazione), riesce comunque a tracciare un proprio ricercatissimo canone stilistico. Figlio dei comics anni ’90, lo stile di McFarlane è dunque dettagliato, plastico, spesso monumentale e si ripercuote necessariamente su una modellazione di personaggi, architetture e nemici talvolta sublime. Anche se pregno di uno stile alle soglie del cartoon (come fu, per l’appunto, per Fable), Amalur è comunque molto convincente sotto il profilo della mole poligonale di personaggi ed ambienti, sempre capaci di affascinare con questo o quel dettaglio solo apparentemente di troppo. L’opera finita è una mescolanza di cliché fantasy che attinge un po’ da ogni dove (soprattutto dal mondo dei videogame), ma che sapientemente guidata ha saputo trovare la sua piacevolissima dimensione.
Molti sono certamente i compromessi: su tutto alcuni bug grafici che non deficitano l’esperienza ma che talvolta la “sporcano” con texture slavate o che vengono caricate in ritardo, o un effetto rag doll spesso e volentieri risibile. Non mancano poi diversi problemi nella gestione della telecamera. Concepita per seguire l’azione in maniera funzionale e dinamica, essa è il più delle volte pesantemente in ritardo sui nostri movimenti e non è in grado di seguire la tempistica degli attacchi come dovrebbe. Questo porta a cambi di prospettiva repentini che obbligano il giocatore, soprattutto nelle situazioni più concitate, a dover continuamente sistemare la telecamera in proprio favore, onde evitare inquadrature decisamente ignobili. Tuttavia data la bontà del tutto non ci sentiamo di lamentarci troppo, visti soprattutto scorci inattesi e di rara evocatività. Manca poi sicuramente quella caratterizzazione stilistica cupa e realistica, tipica ad esempio di Skyrim, che forse avrebbe dato al titolo una marcia in più, ma che in virtù di una precisa scelta di stile ci pare del tutto sensata. Certo, siamo ancora ben lontani dalla profondità dell’orizzonte che già si poteva apprezzare in Oblivon, e che è diventata uno dei pallini di Skyrim, così come mai potrete sognarvi di salire a piedi su questa o quella montagna per il puro gusto di farlo. Il mondo di gioco è solidamente delineato nei suoi invalicabili confini, e l’assenza del salto (se non vincolato a determinate zone) rende l’esplorazione certamente “monca”. Tuttavia parliamo, come sempre, di una scelta di gameplay precisa, che porta il giocatore di Amalur a concentrarsi molto più su caratteristiche e combattimenti piuttosto che sull’esplorazione e la scoperta, benché volendo si possa restare comunque appagati. Da lodare è poi il lavoro di motion capture e animazioni che, pur non raggiungendo vette altissime, riesce comunque a dire la sua ed a divertire. In particolar modo si fanno notare i mostri, spesso animati in modo che ci minaccino, ci inveiscano o più semplicemente si vivano la loro bucolica quotidianità.
Non da meno il comparto acustico in cui si percepisce più che nitidamente il lavoro certosino di una mano esperta. Le musiche sono diversificate ad arte e sono pregne di quella sottesa evocatività che ci si aspetterebbe da una produzione fantasy. Il doppiaggio inoltre (esclusivamente in inglese) brilla per le sue qualità di caratterizzazione e recitazione, rivaleggiando senza alcuna difficoltà con le più blasonate produzioni. Lavoro non da poco, soprattutto se si considera la mole di testo che gli sviluppatori hanno inserito anche per il più infimo dei PNG.
The reckoning: Part 2
Attingendo da tante buone idee sviluppatesi in anni ed anni di RPG su console, Amalur si propone come un mix riuscito ed appagante, buono tanto per avvinghiare l’utente più esperto, sia per avviare al mondo dei giochi di ruolo il giocatore alle prime armi. Nonostante la sua natura mainstream, fatta di grandi nomi dell’arte digitale (e cartacea), Amalur si sforza (riuscendoci) di avere una certa profondità ed una propria ben definita identità, mescolando le carte tipiche di action RPG e titoli ben più imponenti ed open world, regalando un prodotto solido, divertente e soprattutto mai noioso. Seppur privo di quella libertà assoluta tipica di prodotti come Skyrim, la produzione Electronic Arts si porta comunque ad un livello di grandezza lontano da gran parte delle produzioni di genere, grazie tanto ad una mole di attività impressionante (e per forza di cose non abbiamo potuto neanche elencarvele tutte!), così come ad una mappa immensa e ad un sistema di gioco coinvolgente e dinamico che fa dell’azione ponderata una componente fondamentale dell’esperienza ludica. Amalur si mostra allora per quello che è: un calderone di ottime idee, quasi nessuna originale ma non per questo da sottovalutare. La sapienza con cui il team di sviluppo ha saputo amalgamare il tutto, unita all’oggettivo divertimento imposto dal sistema di gioco, potrebbe senza problema far breccia anche nel cuore del purista del genere, che magari commetterà troppo presto l’errore di voler paragonare il titolo all’ultima produzione Bethesda. Se è pur vero che Kingdoms of Amalur: Reckoning sia stato lanciato sul mercato come uno dei tanti “anti-Skyrim”, è altrettanto vero che è in grado di dire la sua a prescindere dal paragone diretto con l’ultimo capitolo di The Elders Scrolls, risultando a conti fatti un’esperienza appagante e con le giuste pretese. In virtù di un prosieguo della serie praticamente certo, non vediamo l’ora di scoprire come potrebbe diventare il mondo di Amalur dopo una doverosa quanto fine cesellatura.