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Recensione Indiana Jones e l’Antico Cerchio

di: Luca Saati

Un videogioco di Indiana Jones è da sempre stato il grande sogno di Todd Howard, producer tra gli altri delle serie Fallout The Elder Scrolls, e con l’Antico Cerchio è finalmente riuscito a esaudire il suo desiderio con la complicità di MachineGames, uno studio che con la serie Wolfenstein ha già avuto una certa esperienza con i nazisti. E in un periodo come questo in cui Nathan Drake si è dato ormai alla pensione, Lara Croft è ancora alla ricerca della prossima tomba da saccheggiare e intanto guarda al suo passatoIndiana Jones e l’Antico Cerchio (The Great Circle in originale) arriva come una manna dal cielo per tutti quegli aspiranti avventurieri che sentono la mancanza di antiche leggende da scoprire e templi da esplorare.

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L’Antico Cerchio

Indiana Jones e l’Antico Cerchio si inserisce perfettamente tra gli eventi dei primi due film della saga, ovvero tra I Predatore dell’Arca Perduta e Il Tempio Maledetto. La storia vede il celebre professore di archeologia indagare sulla leggenda dell’Antico Cerchio e del potere ancestrale che si cela dietro di esso, il tutto mentre incombe il pericolo della Seconda Guerra Mondiale, motivo per cui anche una squadra di Nazisti, guidati dallo spietato Emmerich Voss, sono sulle sue tracce.

Sin dai primi minuti di gioco, l’opera di MachineGames è riuscita a trasmettermi l’atmosfera dei film e con il proseguo le cose non fanno che migliorare con una storia caratterizzata dall’umorismo tipico della serie e da dei personaggi ben scritti, a partire proprio dal protagonista per poi passare ai comprimari come Gina Lombardi e il villain Voss sempre sopra le righe e carismatico quando esce sullo schermo. Un viaggio emozionante per i quattro angoli del globo a partire da un Vaticano ormai occupato dalle camicie nere, le piramidi d’Egitto e i templi sommersi di Sukhothai. Il tutto alternando momenti riflessivi ed esplorativi, ad altri più adrenalinici mentre si combattono le armate naziste.

Ho impiegato poco più di 25 ore per arrivare ai titoli di coda, dedicandomi a buona parte delle missioni secondarie e collezionabili. Un completista che punta al 100% ci impiegherà abbondantemente le 30 ore, chi invece vuole dedicarsi alla sola storia ci metterà circa 15 ore.

Diventare archeologo

Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un videogioco perfettamente in linea con il know how di MachineGames sebbene vada in direzione opposta rispetto alla saga di Wolfenstein in termini di struttura e ritmi di gioco. Se escludo un attimo dall’equazione quei classici livelli più lineari e scriptati tipici del genere volti a far avanzare la storia, il nuovo videogioco di Indiana Jones condivide con la saga shooter dello studio svedese solo la visuale in prima persona.

Innanzitutto la struttura di gioco è open map, ovvero nelle tre macroaree sopracitate (Vaticano, Egitto, Sukhothai) è disponibile una mappa completamente esplorabile in cui dedicarsi ad attività che vanno ben oltre la sola quest principale. Ci sono missioni secondarie più o meno legate alla storia principale con gli sviluppatori che si sono sbizzarriti inserendoci un po’ di tutto tra puzzle risolvibili leggendo alcuni documenti posti nella zona d’interesse a vere e proprie tombe, segrete e templi da esplorare per scoprire i misteri al loro interno. Ma ci sono anche una lunga serie di collezionabili come documenti da raccogliere, foto da scattare, libri e quant’altro. C’è persino un fight club clandestino a cui accedervi solo con un preciso travestimento.

Travestimenti che si rivelano fondamentali per superare alcune aree o esplorare liberamente un determinato luogo. Ad esempio in Vaticano non è proprio il caso di girare con giacchetto di pelle e fedora, meglio fingersi un parroco o addirittura una camicia nera per entrare negli avamposti fascisti. Il tutto facendo sempre attenzione all’ufficiale di turno che è in grado di smascherare il travestimento e far saltare la copertura con conseguente scatto dell’allarme.

Come intuibile quindi, lo stealth è parte fondamentale dell’esperienza di gioco da favorire ai combattimenti diretti dato che il protagonista non è un esperto di armi da fuoco e gli stessi sviluppatori hanno volutamente reso il gunplay impreciso per trasmettere questa sensazione. C’è di buono che Indy con il corpo a corpo se la cava egregiamente: è possibile sferrare pugni con i due grilletti del pad e caricarli prolungando la pressione, spingere il nemico premendo la levetta analogica destra o trascinarlo verso di sé con la frusta e afferrarlo con il dorsale destro, infine parare i colpi con il dorsale sinistro o schivarli con il tasto A. Il sistema funziona tutto sommato bene con un indicatore di stamina da gestire in queste fasi che scandisce il ritmo delle scazzottate. Il problema è che a una volta compreso pienamente il sistema di parata e contrattacco risulta molto semplice avere sempre la meglio nei combattimenti, specie nelle fasi avanzate in cui ho potenziato le abilità del protagonista.

Lo stealth soffre un po’ dello stesso problema a cui va aggiunta un’intelligenza artificiale non particolarmente arguta e che neanche fa troppo caso ai corpi tramortiti a terra a meno che non si trovino sulla loro ronda. Ben presto ci si rende conto di come sia facilmente aggirabile e i già citati potenziamenti intensificano quella sensazione di onnipotenza.

Ed ora arrivo alla questione potenziamenti e abilità. Tra i tanti collezionabili presenti nell’opera di MachineGames ci sono dei libri che consentono di potenziare il protagonista o sbloccare una serie di abilità passive. Si va dal classico potenziamento della salute, della stamina e dei pugni, alla possibilità di utilizzare la frusta per disarmare i nemici o neutralizzarli alle spalle, aumentare la resistenza delle armi contundenti, stordire gli avversari a mani nude e non per forza con gli oggetti. Insomma c’è un po’ di tutto, basta trovare l’apposito libro (o acquistarlo presso alcuni rivenditori) e spendere poi i punti avventura ottenibili effettuando qualsiasi attività.

La visuale in prima persona, oggetto di tante discussioni sul web, non solo aiuta il videogioco a differenziarsi da altri mostri sacri della scena videoludica, ma contribuisce ad aggiungere una dinamica inedita a questo tipo di esperienze videoludiche. Osservare i templi e tutti gli altri segreti del gioco da una prospettiva più ravvicinata direttamente con gli occhi del protagonista offre un senso d’immersione tutto nuovo che non mi ha mai fatto mancare la terza persona e, anzi, anche nelle sessioni d’arrampicata avrei preferito che il gioco restasse fermo sulle sue convinzioni piuttosto che passare a una terza persona che sembra messa più come un contentino per coloro che vogliono per forza vedere il personaggio.

Il cuore del gioco è dato proprio da quel senso di esplorazione dello scenario. Osservare tanti piccoli dettagli e metterli a fuoco con la fotocamera di cui è dotato il protagonista. E si è bloccati in uno dei tantissimi enigmi, c’è sempre il taccuino in cui consultare tutte le informazioni apprese per arrivare alla risoluzione di un puzzle. Alcuni si risolvono abbastanza facilmente, altri richiedono un po’ più di materia grigia, senza però mai essere così ostici da dover per forza consultare una guida online. C’è una buona varietà di situazioni, complici anche le tre differenti ambientazioni che hanno caratteristiche uniche che si riflettono direttamente negli enigmi e più in generale nel level design che ho trovato brillante mettendo in luce una capacità dello studio svedese passata un po’ in sordina con i ritmi super frenetici nella saga di Wolfenstein

IJ Tech

Indiana Jones e il Grande Cerchio conferma inoltre le ottime potenzialità dell’ID Tech, il motore creato da id Software utilizzato tra gli altri per la saga di DOOM e la già citata saga di Wolfenstein. Su Xbox Series X, il gioco è fisso a 60 fps con una risoluzione dinamica che si alza o abbassa a seconda delle situazioni. Da un punto di vista prettamente tecnico è un gioco davvero stabile con solo qualche sporadico bug che non ha compromesso la mia esperienza di gioco.

Visivamente è davvero un piccolo gioiellino con scenari mozzafiato enfatizzati da un sistema d’illuminazione e una palette di colori che danno risalto a tutti gli scenari: dal caldo sole del deserto egiziano, alle fredde montagne innevate dell’Himalaya, all’umidità della Thailandia. La modellazione poligonale del protagonista è di altissimo livello, merito probabilmente anche di Disney che ci ha messo il suo zampino con il lavoro di digitalizzazione di Harrison Ford per il film più recente della saga. Lo stacco tra il protagonista e gli altri personaggi è piuttosto evidente, e risulta quasi un peccato che il team di sviluppo non sia riuscito a posizione l’asticella della qualità allo stesso livello anche per i comprimari che comunque sono stati realizzati con cura.

La recitazione è eccezionale con un Troy Baker a interpretare il protagonista in quella che è una delle sue migliori performance dopo l’indimenticabile Joel di The Last of Us e il forse troppo sottovalutato Higgs in Death StrandingVoss, d’altra parte, è così sopra le righe in termini di recitazione che risulta un villain assolutamente convincente e anche la nostra italianissima Alessandra Mastronardi è splendida nei panni di Gina Lombardi. Un plauso ci tengo a farlo anche al doppiaggio in italiano che si è rivelato assolutamente all’altezza della situazione. Se ci aggiungiamo a tutto ciò una colonna sonora semplicemente perfetta, ecco che in alcuni momenti mi è davvero sembrato di essere dinanzi a un nuovo film della saga piuttosto che a un videogioco.

Il gioco non setta un nuovo standard grafico, ma è nel loro insieme che la componente tecnica e quella visiva funzionano alla grande con i ragazzi di MachineGames che hanno riversato tutto il loro amore per questa saga e lo trasmettono al giocatore in ogni momento. Senza ombra di dubbio uno dei migliori videogiochi su licenza degli ultimi anni.

“Tutte le leggende hanno un fondo di verità”

Al netto di alcuni piccoli difetti di gameplay, il nuovo videogioco di MachineGames è un’opera che trasmette sempre un bel senso di piacevolezza pad alla mano e riesce a intrattenere il giocatore quando ci si immerge nella sua storia, nei suoi personaggi, nella sua atmosfera e nel suo gameplay. In questo, Indiana Jones e l’Antico Cerchio è un omaggio straordinario a una saga cinematografica con ben oltre 40 anni sulle spalle e, senza ombra di dubbio, la migliore cosa con protagonista l’archeologo più famoso del mondo dopo la prima trilogia di film.