Recensione Humanity
di: Donato MarchisielloV’è qualcosa di mistico in quel di Humanity: non solo per l’estetica onirica ma anche il per messaggio altrettanto rarefatto, quasi spirituale, che porta con sé. E di già le premesse estetiche, basiche, potrebbero essere sufficienti per taluni affinché il gioco divenga uno dei preferiti della propria collezione. Ma al di là di quel che Humanity vuol dire, probabilmente ergersi a metafora dell’esistenza della stirpe umana, fatta di poche luci, tante ombre e percorsi irti di difficoltà, il gioco in sé presenta delle meccaniche specifiche sicuramente interessanti. Il titolo, per dovere di cronaca, è di già stato rilasciato nel maggio scorso per diverse piattaforme, approdando solo negli scorsi giorni in quel di Meta Quest. Ma andiamo con ordine.
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Humanity è un gioco del genere rompicapo piuttosto unico nel suo genere, che mescola elementi puzzle, platform e morbidamente action. Già le premesse iniziali, introdotte in modo diretto, lento e senza particolari fronzoli dalla modalità campagna, potrebbero essere sufficienti per orientare l’acquisto: in Humanity, infatti, guideremo una folla di persone attraverso percorsi a ostacoli sempre più complessi e densi di pericoli, nei panni di un etereo Shiba Inu. Nei panni dell’iconico quadrupede, dovremo obbedire ad una pseudo voce divina, portando a termine istruzioni di vario tipo in paesaggi astratti, nel mentre un infinito mare di persone, grazie alle nostre direttive, si trasforma, salta, si arrampica, spinge, nuota, combatte e si fa strada senza sosta. Se volessimo esser riassuntivi sino all’osso, potremmo tranquillamente affermare che Humanity sia, a tutti gli effetti, una rivisitazione moderna ed eterea di Lemmings, con un’attenzione particolare ai puzzle spaziali. Nel gioco vi sarà anche una trama, seppur anch’essa sarà piuttosto rarefatta e leggera, che tocca alcuni dei temi classici e dei crucci che ha accompagnato l’umana stirpe nel corso del gioco.
Nel corso del gioco, sbloccheremo nuovi comandi da impartire alla fiumana di persone senza volto di cui ci dovremo occupare. Inizialmente, si potrà dire ai flussi di persone di girare o saltare, aiutandoli a evitare degli ostacoli semplici. Per farlo, in sostanza, ci muoveremo in un ambiente colmo di cubi (ogni stage è essenzialmente una griglia 3D) e impartiremo il comando che, solitamente, si tradurrà in una icona levitante piazzata in un punto specifico dello stage. Tutti gli umani che calpesteranno quel quadrato, seguiranno alla lettera il comando impartito (anche se, a causa di una nostra svista logica potrebbe significare sparire nell’etere digitale). Ma facendo le scelte giuste, è possibile portarli sani e salvi fino alla fine, ovvero verso la luce. In totale, la campagna si articolerà in ben 90 livelli dalla difficoltà crescente, non solo logica ma più concretamente fattiva: infatti, in Humanity non saremo unicamente chiamati a spianare la strada all’infinito flusso di persone in stile platform ma, dopo un po’, persino a dover affrontare strategicamente delle battaglie con “gli altri“. Una presenza mistica anch’essa, che si oppone (innanzitutto, a livello cromatico) ai nostri protetti e che, spesso, si tradurrà in vere e proprie battaglie. Dunque, oltre a livelli più squisitamente puzzle, nel gioco vi saranno segmenti più action e, addirittura, vere e proprie boss battle.
In generale, potremmo affermare che Humanity sia, ad un prezzo un po’più basso della media per Meta Quest, un prodotto originale, impegnativo e piuttosto intrigante a livello sia squisitamente atmosferico, sia più concretamente logico e videoludico. Una generale e complessiva validità esponenzialmente amplificata dalla presenza di un editor, con cui creare i propri livelli e addirittura scaricarne di originali creati da altri giocatori. Anche da un punto di vista estetico, non v’è molto da cambiare: Humanity è un gioco minimalista, ma elegante e rarefatto. I livelli divengono, via via, più complessi ed intricati visivamente, toccando alcune punte che rasentano concept degni d’un dipinto o, in generale, d’un’opera d’arte dei nostri tempi. Una coerente presenza/assenza di elementi che si mescola, appunto, in modo più che soddisfacente con la generale oniricità delle premesse e delle concrete azioni che andremo a compiere. Va, però, considerato che, in quanto porting da piattaforme di gioco canoniche, Humanity non è esattamente un gioco per realtà virtuale ma, piuttosto, un titolo ordinario adattato per i visori. Ci spieghiamo meglio: chi usa la VR è abituato ad usare le mani nello spazio che lo circonda per navigare una scena senza sforzo, al contempo vivendo all’interno dello stage stesso.
In Humanity, invece, non c’è nulla di tutto ciò: giocheremo godendo di una visuale esterna, quasi fossimo attorno ad un tavolo alla prese con un classico gioco di società, nel mentre giocheremo in modo altrettanto canonico al titolo, usando i pulsanti e la levetta analogica dei controller Meta Quest. Un’opportunità mancata, probabilmente una rivoluzione troppo complessa da concretizzare, soprattutto in un gioco come Humanity in cui la prospettiva e la scala giocano un ruolo così importante (e non solo a livello ludico). In ultima istanza, il comparto sonoro: non particolarmente esteso o particolareggiato, ma sicuramente di alta qualità e in grado di soffiar ancor più forte sull’aura mistica del titolo che, barche in tempesta, ci trascinerà all’interno del suo navigare.
Humanity è un prodotto eccelso, senza se e senza ma: nella sua semplicità concettuale, il prodotto di Enhance ci trasporterà in un mondo mistico, alle prese con meccaniche di gioco ispirate a Lemmings ma, naturalmente, originali e più evolute del titolo del ’91. Un campagna lunga che, ad un tratto, si svincola persino dai classici canoni dei puzzle per divenire più action, unitamente ad una modalità creativa in cui poter plasmare livelli propri o scaricarne di nuovi, rendono l’esperienza di gioco intrigante e longeva. Unica pecca, il suo non essere un vero e proprio port per realtà virtuale ma, piuttosto, una traslazione nuda e cruda sulla piattaforma Meta.