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Recensione Horizon Call of the Mountain

di: Simone Cantini

Lanciare un nuovo hardware, per quanto accessorio come PlayStation VR2, senza un titolo di un certo spessore, a mo’ di richiamo, sarebbe stato quanto mai sciocco da parte di Sony. Certo, non sempre la compagnia giapponese si è presentata ben preparata a simili appuntamenti (Fantavision è ancora là a gridare vendetta), ma nel caso del suo nuovo headset virtuale, è apparsa sicuramente più consapevole dell’importanza della line-up del day one che, grazie ad una serie di produzioni third party, si è dimostrata variegata e corposa. La vera prova del nove, però, almeno in questo iniziale periodo (che mi auguro non sia l’ennesimo fuoco di paglia), è rappresentato da Horizon Call of the Mountain, spin-off VR della saga ideata da Guerrilla Games, per l’occasione affidata ai ragazzi di Firesprite, già autori dell’apprezzabile The Persistence.

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Non chiamatemi Aloy

No, in Horizon Call of the Mountain non vestiremo i panni di Aloy, l’eroina della serie, bensì quelli di un personaggio nuovo di zecca, ovvero il Carja delle Ombre Ryas. Impegnato nella ricerca del fratello Urid, l’uomo verrà catturato dalle forze di Meridiana, ed in cambio della salvezza sarà costretto, suo malgrado, a catapultarsi in un’impresa in odor di redenzione, che lo porterà a scontrarsi con numerose minacce, prima tra tutte la natura selvaggia che da sempre fa da sfondo al mondo tratteggiato in origine da Guerrilla. La storia, ambientata temporalmente tra Zero Dawn e Forbidden West, non brilla certo per scrittura ed appeal, ma nonostante tutto, lungo le circa 8 ore necessarie a giungere al suo completamento, riesce ad intrattenere a dovere, non rinunciando anche ad un pizzico di spudorato fan service, grazie alla presenza di alcuni personaggi già conosciuti in occasione delle esperienze tradizionali. Al di là dei suoi limiti, comunque, il focus principale è quello di stupire e coinvolgere in maniera prettamente sensoriale il player, ed in tal senso Horizon Call of the Mountain non fallisce l’obiettivo, visto il modo in cui riesce a calare efficacemente il giocatore all’interno del suo suggestivo mondo di gioco. Esaurire la narrazione, però, non ci costringerà a riporre il titolo, da spolverare magari per mostrare la modalità Safari (un giro in barca che ci permetterà di vedere da vicino ogni macchina presente nel gioco) agli amici curiosi di testare il visore, senza rischi di motion sickness di qualsiasi genere. Già, perché sebbene non certo all’altezza della campagna principale, le Sfide dei Carja proposte dai ragazzi di Firesprite, riescono a fornire un discreto motivo per tornare ad imbracciare l’arco di Ryas, così da passare qualche momento in più in compagnia dell’ottimo sistema di combattimento messo in piedi dal team.

Il peso della fatica

Ludicamente parlando, si può bonariamente tirare un poco le orecchie a Horizon Call of the Mountain che, a dispetto del suo comparto grafico sicuramente in grado di rappresentare un vero e proprio benchmark, ha scelto di adagiarsi un po’ troppo su strutture sinceramente meno sorprendenti in fatto di coinvolgimento attivo del giocatore. Ryas è un ottimo scalatore e, proprio per questo motivo, passeremo gran parte del tempo di gioco a conquistare le varie alture che scandiscono il flow dell’esperienza. Si tratta di un’esperienza di stampo decisamente un po’ retrò, capace di caratterizzare, almeno nella sua definizione ludica più banale, la prima mandata di produzioni VR. Fortunatamente, al di là del suo essere un po’ banale, la meccanica di scalata riesce a godere di un notevole boost, garantito sia dai controller del PSVR2, sia dal modo in cui il team è riuscita ad implementarla: nel gioco dovremo fisicamente mimare le gesture della scalata, scovando con lo sguardo i vari appigli bene in evidenza, per poi muoverci di conseguenza lungo i vari percorsi. Sicuramente assai prevedibile nelle battute iniziali, tale aspetto va poco alla volta ampliandosi, grazie all’introduzione di un set di strumenti in grado di garantire al tutto il dovuto brio, come piccozze, rampini e molto altro.

Pur non mutando in modo radicale l’esperienza, il feeling tattile garantito dai controller Sense è quanto mai tangibile e galvanizzante come non mai, ed unito alla gestualità richiesta per poter eseguire le azioni, rende tale meccanica sinceramente intrigante. Ryas, comunque, non disdegnerà anche di combattere, ed è qua che il divertimento offerto da Horizon Call of the Mountain ottiene un boost non indifferente, complice il buonissimo sistema di combattimento costruito da Firesprite. Attivato in determinate situazioni, questo andrà a limitare le possibilità di movimento del nostro avatar, dando vita ad arene in cui potremo muoverci in cerchio attorno alle varie minacce, che dovremo sconfiggere prevalentemente grazie al nostro fidato arco. Anche in questo caso, impressiona il modo in cui la gestualità richiesta per recuperare l’arma dalla schiena, così come la necessità di estrarre le frecce dalla faretra, per poi incoccarle, risulti fluida e naturale, conferendo al tutto un’immediatezza ed un senso di immedesimazione davvero palpabile. Così come interessante è il sistema di crafting utilizzato per creare fisicamente le varie punte speciali, che dovremo manualmente comporre combinandone le varie parti, il tutto mentre sarà attivo una sorta di bullet time. Il meccanismo, dopo la necessaria pratica indispensabile per metabolizzare i controlli, da vita a scontri avvincenti, in cui si avverte in modo incredibile il peso della fatica, e che unito alle meccaniche di scalata, rende Horizon Call of the Mountain un titolo dannatamente fisco ed impegnativo, capace di lasciarci piacevolmente stremati in più di un’occasione. A condire il tutto, inoltre, troviamo momenti stealth, che ci chiederanno di muoverci letteralmente accovacciati, per non attirare attenzioni indesiderate, una manciata di enigmi, bersagli nascosti, collezionabili e qualche bivio, utile a garantire un pizzico ulteriore di giocabilità. Ad essere migliorabile, pertanto, è l’equilibrio generale che sorregge il tutto, che ha portato ad abusare forse un po’ troppo delle scalate, sacrificando i momenti bellici puri, ma il quadro complessivo risulta comunque molto godibile e ben confezionato, pur al netto di questo neo (che comunque può essere decisamente soggettivo). È sicuramente da lodare, invece, il modo in cui Firesprite si è speso per rendere estremamente personalizzabile e confortevole l’esperienza di gioco, che può essere modificata in ogni aspetto, a partire da uno degli scogli principali quando parliamo di motion sickness, ovvero il sistema di locomozione. Le opzioni di accessibilità ci consentiranno di impostare tanto lo spostamento libero, per mezzo degli stick, che quello legato ai sensori di movimento, che personalmente ho preferito per il maggiore tasso di coinvolgimento offerto. Scendere nel dettaglio, viste le possibilità, sarebbe sin troppo tedioso, ma è davvero possibile intervenire su di una serie corposa di parametri, così da rendere fruibile il tutto a quanti più stomaci possibili.

Non chiamatela tech demo

A dispetto del titolo del paragrafo, parlare male del comparto tecnico di Horizon Call of the Mountain sarebbe quanto mai sciocco e bugiardo, vista l’indubbia qualità visiva offerta dalla produzione Firesprite, che si basa su asset proprietari di Horizon Forbidden West. Già questo dovrebbe far capire di quale livello di dettaglio stiamo parlando, ma vi posso garantire che è necessario provare il tutto per comprendere in pieno lo stupore che il comparto grafico del titolo è in grado di suscitare. Ovvio come l’essere un’esperienza per certi versi assai blindata e lineare possa aver offerto un vantaggio agli sviluppatori, ciononostante la cura per i dettagli e l’impressionante orizzonte visivo offerto, difficilmente non potranno lasciare a bocca aperta. E poi c’è l’indubbio fascino delle creature meccaniche, capaci di mettere in mostra tutto il loro sfavillante ed ammaliante design, che potremo davvero ammirare in ogni suo lucente dettaglio. Ottimo, senza riserve alcune, anche il comparto sonoro della produzione, forte di un audio 3D impeccabile, capace di far percepire la provenienza di ogni piccolo suono, a cui va ad aggiungersi un ottimo doppiaggio in italiano ed una colonna sonora assai evocativa. Insomma, Horizon Call of the Mountain non è solo divertente da giocare, ma anche fantastico da gustarsi con gli occhi (e le orecchie).

Per rispondere alle righe iniziali della parte precedente, Horizon Call of the Mountain esula dall’essere una triste e dimessa tech demo, buona solo a mostrare i muscoli e a sacrificare sull’altare della spettacolarità il divertimento del giocatore. Non parliamo di sicuro di un titolo perfetto in ogni sfaccettatura, visto lo squilibrio che intercorre tra la somma delle sue parti ludiche, ma al di là di questo sarebbe davvero ingiusto mortificare lo spin-off firmato Firesprite, dato che, al netto di tutto quanto, il suo gameplay funziona e diverte. Un titolo tanto maestoso da vedere, quanto fisico e stancante da domare, complice l’esigenza di calarsi davvero nei panni di Ryas, di cui condivideremo a 360° gli sforzi che dovrà sostenere per poter giungere alla sua personale redenzione. Un titolo che mette in mostra la voglia che ha Sony di credere in questa sua nuova interpretazione della realtà virtuale, e che mi auguro rappresenti solo un piccolo antipasto degli sforzi che il produttore nipponico dovrà, giocoforza, investire nel progetto, se mira davvero a convincere quanti più utenti possibili a compiere questo eccitante (e costoso) salto.