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Recensione Homefront: The Revolution

di: Luca Saati

Prima di iniziare a scrivere la recensione di un videogioco è cosa buona e giusta arrivare ai suoi titoli di coda. Lo facciamo praticamente sempre, è una questione di correttezza nei vostri confronti che leggete i nostri articoli e anche nei confronti degli sviluppatori che hanno lavorato per anni sul loro videogioco. Purtroppo con Homefront: The Revolution non siamo potuti arrivare alla fine del gioco e ci sembra giusto dirvelo all’inizio di questa recensione, il perchè ve lo spiegheremo poco più avanti.

Lo sviluppo di Homefront: The Revolution non è stato dei più facili. Dopo un discreto primo capitolo ad opera di Kaos Studio, THQ ha deciso di affidare lo sviluppo del sequel a Crytek che mise al lavoro la sua divisione inglese, ovvero gli ex Free Radical Design, team di sviluppo che ha creato la serie Timesplitters. Purtroppo però sappiamo tutti la fine che ha fatto THQ, la compagnia ha dichiarato bancarotta e molte delle sue IP e dei suoi studi sono stati acquistati da altre case. Crytek decise di non buttare al vento il lavoro svolto con il sequel di Homefront decidendo così di acquistare i diritti sul brand e di siglare un accordo con Deep Silver per la pubblicazione. Neanche il team fondato dai fratelli Yerli però navigava in buone acque e dopo poco tempo si trovò costretto a vendere la serie. Deep Silver quindi tentò di salvare baracca e burattini, acquistò l’IP di Homefront e gli sviluppatori che stavano lavorando su The Revolution fondando Dambuster Studios. I lavori sul gioco sono durati ben quattro anni, gli sviluppatori però non hanno mai potuto lavorare con serenità e il gioco ne ha risentito eccome.

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Quattro anni e sentirli tutti

Quando scriviamo una recensione di solito l’aspetto tecnico è l’ultimo che viene preso in analisi, ma facciamo anche in questo caso un’eccezione. Il perché di questa scelta si ricollega a quanto vi abbiamo detto in apertura di questo articolo. Homefront: The Revolution è semplicemente ingiocabile. L’impatto visivo offre un buon colpo d’occhio, ma non riuscirete mai a godervi nulla Iniziamo dal frame rate, uno dei peggiori che abbiamo visto su questa generazione di console con i 30 fotogrammi al secondo fissi che sono praticamente un sogno visto che troviamo cali di fluidità ogni due per tre che rovinano moltissimo l’esperienza di gioco. I caricamenti sono piuttosto lunghi e inoltre a ogni checkpoint il gioco va in freeze per qualche secondo. Le compenetrazioni poligonali sono all’ordine del giorno così come gli effetti di pop-in e pop-up, i glitch e i bug. Se siete tra coloro che si stanno ancora chiedendo perché non siamo riusciti a finire il gioco, sappiate che a un certo punto (verso la metà del gioco) siamo incappati in un bug che ha reso praticamente inutilizzabile la mappa impedendoci di orientarci nel mondo di gioco e trovare le varie missioni. Gli sviluppatori hanno già dichiarato di essere al corrente dei problemi del gioco e di essere al lavoro per risolverli, ma lanciare un prodotto in queste condizioni è assolutamente inaccettabile. Lo sviluppo è stato lungo e travagliato, di conseguenza non capiamo la fretta di rilasciare nei negozi il gioco in questo stato invece di prendersi qualche mese aggiuntivo per ottimizzare il tutto e offrire per lo meno un’esperienza godibile.

Di Homefront: The Revolution salviamo solo l’atmosfera. La città di Philadelphia del gioco infatti trasmette un forte senso di oppressione grazie a una palette cromatica che va sul grigio e ambienti in decadenza. Peccato che non riuscirete mai a godervi pienamente il tutto a causa dei problemi tecnici sopracitati. Il comparto sonoro invece fa il suo compitino senza eccellere né in positivo e né in negativo.

Viva la revolución

Con il precedente episodio, Homefront: The Revolution oltre ad avere in comune il nome e il concept della trama non ha nessun altro punto di congiunzione. Per comprendere appieno la trama del videogioco di Dambuster Studios quindi non bisogna aver giocato per forza all’originale Homefront, infatti già all’inizio ci viene fatta un’introduzione che permette di capire perché gli Stati Uniti d’America sono in ginocchio.

La Korea è diventata una potenza economica incredibile grazie all’APEX, una compagnia che domina il mercato della tecnologia, gli americani compravano qualsiasi dispositivo da loro, dalle televisioni fino agli smartphone. Quando APEX ha iniziato anche la produzione di armi il governo americano non riuscì a resistere per poter così portare avanti le sue guerre in Medio Oriente. Arrivati al 2025 però il dollaro crolla, gli Stati Uniti d’America si trovano dinanzi a una crisi economica mai vista prima d’ora e il debito con la Korea era ormai impossibile da pagare. Così APEX blocca le armi vendute agli americani tramite uno speciale sistema di sicurezza installato al loro interno e la Korea entra in territorio americano con la promessa di inviare aiuti umanitari. Il tutto però si rivela una scusa per permettere alle forze dell’EPC di occupare il suolo americano e dare inizio a un clima di terrore. Per contrastare l’armata coreana nasce il movimento di rivoluzione, il giocatore veste i panni di un membro della ribellione il cui compito è liberare la città di Philadelphia, uno dei punti nevralgici per iniziare ad affrontare le forze dell’EPC. La storia di Homefront: The Revolution si rivela essere abbastanza interessante grazie alle già citate atmosfera e all’ambientazione piuttosto convincenti. Peccato solo che ci ritroviamo per l’ennesima volta a controllare un personaggio senza voce e privo di qualsiasi tipo di caratterizzazione.

Smonta e rimonta le armi

Homefront: The Revolution cambia completamente la struttura di gioco rispetto al suo predecessore. Non ci troviamo più dinanzi a un videogioco lineare, ma dinanzi a un open world in cui girovagare liberamente per i vari quartieri che compongono Philadelphia e svolgere una serie di missioni principali accompagnate da un buon numero di missioni secondarie. L’ispirazione agli ultimi esponenti della serie Far Cry sembra ovvia, nella mappa ci sono una serie di punti di controllo da conquistare per liberare la città dall’oppressione dell’EPC e sbloccare sulla mappa ulteriori missioni. I punti di controllo sono di vario tipo, troviamo basi coreane da sabotare, luoghi in cui attivare i generatori elettrici e così via. A spronare il giocatore a completare le varie missioni secondarie troviamo la meccanica “Cuori e Menti”. In pratica svolgere le quest permette di “infiammare” i cuori e le menti della popolazione di Philadelphia, raggiunto il 100% in un quartiere si può dare inizio alla rivoluzione eliminando così da quel luogo le forze armate coreane.

La struttura sandbox permette di approcciarsi alle missioni seguendo lo stile che più ci aggrada, dallo stealth all’assalto frontale. Il problema è che nessuno dei due modi funziona in modo egregio, lo stealth è mal calibrato a causa di una densità dei soldati nemici gestita piuttosto male, l’assalto frontale invece ne risente sia a causa dei già citati problemi di frame rate che di un gunplay abbastanza raffazzonato, specie nei conflitti alla lunga distanza. L’intelligenza artificiale dei nemici poi non brilla così come la calibrazione del livello di difficoltà con alcune sequenze frustranti sempre a causa dei vari problemi tecnici.

Una meccanica interessante e ben adatta al contesto riguarda la personalizzazione delle armi. Dato che la Korea ha praticamente bloccati gli armamenti dell’APEX, gli americani hanno dovuto improvvisare un pochino costruendo una serie di armi modificabili al volo. In Homefront: The Revolution è ovviamente presente un sistema economico con cui accedere al negozio e acquistare vestiari migliori come un giubbotto antiproiettile per subire meno danni, delle ginocchiere per muoversi più velocemente quando si è accovacciati, uno zaino più capiente e così via. Per le armi invece il sistema è un pochino più profondo. Una volta acquistata una bocca da fuoco è possibile sbloccare anche la sua versione alternativa, ad esempio possiamo trasformare una pistola in una mitraglietta, una balestra in un lanciafiamme o un fucile a pompa in un lanciagranate. Il passaggio da una versione all’altra di un’arma può essere fatto in qualsiasi momento premendo la freccia in su del d-pad. Qui possiamo anche montare alcune mod delle armi come mirini e silenziatori che vanno ovviamente acquistati prima di poter essere utilizzati. Questo sistema riguarda anche gli oggetti lanciabili come le bombe e le molotov permettendoci ad esempio di trasformare una comune granata in un dispositivo a detonazione manuale oppure in un macchinina radiocomandata da infiltrare in una base nemica prima di farla esplodere. Il sistema di personalizzazione è senza ombra di dubbio l’aspetto migliore di Homefront: The Revolution.

Oltre alla campagna singleplayer troviamo anche una modalità cooperativa che permette di affrontare insieme ad altri tre amici una decina di missioni. Ritroviamo in queste missioni la stessa libertà di approccio del singleplayer e l’ottimo sistema di personalizzazione delle armi accompagnati da un sistema di progressione che permette di far specializzare il nostro personaggio in uno dei quattro rami disponibili. Si tratta di una gradevole aggiunta, gli sviluppatori hanno inoltre promesso che arriveranno nuovi contenuti gratuiti per questa modalità con la speranza però di vedere prima risolti tutti i problemi tecnici.

Commento finale

Consigliarvi al momento l’acquisto di Homefront: The Revolution è praticamente impossibile. Il gioco presenta sicuramente delle buone qualità come un’atmosfera interessante, un buon numero di contenuti, un gameplay variegato (seppur con qualche imperfezione) e un sistema di personalizzazione delle armi molto interessante. Il problema è che non riuscirete a godervi niente di tutto ciò a causa di un comparto tecnico atroce che, tra continui problemi di frame rate, caricamenti continui, glitch e bug, trasforma l’esperienza di gioco in un vero e proprio incubo. Proprio per questo motivo al momento ci troviamo costretti a dare l’insufficienza al gioco di Deep Silver e Dambuster Studios con la speranza di poterci tornare presto quando tutti i problemi tecnici saranno risolti.