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Recensione Genotype

di: Luca Saati

Con Genotype l’intento di Bolverk VR Games è chiaramente quello di proporre un Metroid Prime per la realtà virtuale. L’ispirazione al classico Nintendo è chiara e nei primi momenti sembra essere abbastanza all’altezza, ma non riesce a reggere il peso di questa ambizione sul lungo periodo.

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Esplora, adattati, sopravvivi

Protagonista di Genotype è Evely, una stagista presso una stazione meteorologica situata in Antartide. Durante una spedizione di routine, una bufera di neve la blocca nei laboratori della Snowdrop Initiative. Il suo collega è morto, e dopo pochi istanti trova aiuto in William, unico sopravvissuto della struttura che informa Evely di essere stata infettata da delle spore che presto la uccideranno e che deve trovare una cura per salvare sé stessa e l’intero pianeta. Peccato che l’intera struttura sia stata invasa dalla minaccia di pericolose creature che si porranno tra Evely e la sua ricerca di una cura.

Quello di Genotype è un classico racconto sci-fi  che con il suo incipit riesce a generare sufficiente interesse per arrivare ai titoli di coda dopo circa 6-8 ore. Un plot che, pur non raggiungendo chissà quali vette di eccellenza, si rivela godibile grazie a dei dialoghi tra i due personaggi tutto sommato riusciti.

Genotype è uno shooter in prima persona con elementi tipici dei metroidvania. Tutta la particolarità del gioco ruota attorno a due guanti che la protagonista indossa sin dai primi momenti dell’avventura. Il guanto destro è una sorta di stampante 3D che crea un’arma tramite l’uso di una corda che va tirata in vari livelli per creare l’oggetto desiderato. Si parte con una sorta di pistola dalle sembianze aliene, per poi sbloccare col tempo nuovi progetti come un gancio per sbloccare alcune porte, un lanciafiamme o gadget più esotici che trasformano la protagonista in un insetto per poter così passare nei condotti. Il guanto sinistro oltre a fornire informazioni come la salute, serve per interagire con gli oggetti dell’inventario: ad esempio un’arma è a corto di munizioni, si apre l’inventario, si prende l’apposito caricatore e lo si posiziona nel guanto sinistro e lo si attiva con la pressione del grilletto per ricaricare l’arma. Il guanto sinistro funziona allo stesso modo con tutti gli oggetti, come i medikit, potenziamenti e collezionabili come i file audio.

Il sistema di gameplay basato sui guanti risulta interessante, ma non funziona benissimo nei momenti più concitati. In Genotype si combatte, e anche tanto ed è proprio durante questi momenti molto frenetici che alle volte si fa fatica a gestire al meglio tutte le possibilità offerte dal gioco. Spesso mi è capitato di passare a un’arma sbagliata per aver tirato troppo o troppo poco la corda, così come spesso mi è capitato di finire senza salute senza rendermene conto un po’ per le hitbox sballate e un po’ perché ad eccezione dell’indicatore posto sul guanto sinistro il gioco non avvisa mai quando si è in fin di vita. E quando ci si ritrova in questo stato con diversi nemici davanti, non è proprio comodissimo e immediato aprire l’inventario, prendere il medikit e posizionarlo sul guanto sinistro per attivarlo.

L’altro problema è di ritmo di tutta l’avventura. Dopo un buon inizio, Genotype non fa niente per uscire dal suo solito schema: trova le chiavi di sicurezza, trova un aggeggio, usa l’aggeggio e aggiorna i guanti. Non sembra che si stia accelerando o alzando la posta in gioco (e dovrebbe esserlo invece considerando che la protagonista è stata avvelenata), sembra solo di fare una vera e propria manutenzione su una base piena di creature. Una mancanza di profondità che a lungo andare colpisce anche i combattimenti dato che i loro attacchi sono sostanzialmente due e non richiedono chissà quale inventiva per metterli KO. C’è una buona varietà di armi, ma non viene mai sfruttata come si deve per rendere più interessanti questi momenti.

Il design dei livelli è funzionale, ma abbastanza generico, con una serie di corridoi che si ripetono l’uno dopo l’altro che non incentivano più di tanto l’esplorazione. La situazione migliora un po’ con i puzzle, ma non è niente di così memorabile da migliorare come speravo l’esperienza di gioco. C’è anche un sistema di progressione molto basilare con cui migliorare presso degli appositi terminali le armi e non solo spendendo un’apposita valuta reperibile nel corso dell’avventura.

Ciò che non delude davvero in Genotype è il comparto tecnico, specie dopo il recente aggiornamento che migliora la grafica su Meta Quest 3 introducendo luci volumetriche e effetti d’illuminazione migliorati. E proprio alla luce  di questo che resta un po’ di amaro in bocca per un comparto artistico povero e non all’altezza di quello grafico. Buono invece l’audio con un buon doppiaggio dei personaggi e una buona effettistica.

 

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Commento finale

Genotype sa un po’ di occasione sprecata per quello che non è riuscito a essere. Parte con premesse ottime, ma col tempo lo shooter sci-fi di Bolverk VR Games mostra tutti i limiti di una produzione che è caduta sotto il peso delle sue stesse ambizioni. Il gameplay non sfrutta le potenzialità dei due guanti indossati dalla protagonista e si limita a fare il compitino, e la struttura e il ritmo di gioco non fanno niente per uscire da dei binari già tracciati. Peccato perché con un po’ di inventiva in più, Genotype avrebbe potuto essere uno dei giochi con cui godersi al meglio la realtà virtuale.