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Recensione Earthion

di: Marco Russi

In un’epoca dominata da produzioni iperrealistiche e motori grafici all’avanguardia, Earthion sceglie consapevolmente la strada opposta: quella della nostalgia pura.
Sviluppato da Ancient, il team capitanato dal leggendario Yuzo Koshiro, il gioco nasce come shoot ’em up pensato per girare nativamente su Sega Mega Drive, ma arriva oggi anche su console e PC con un porting che mantiene intatto il fascino del suo DNA retrò.
Non è solo un’operazione nostalgica: è un tributo autentico alla scuola arcade giapponese degli anni ’90, ma con una struttura moderna che sorprende.

Gameplay: classico nella forma, raffinato nella sostanza

A prima vista, Earthion sembra un classico sparatutto a scorrimento orizzontale: si vola, si spara, si schiva.
Ma dopo pochi minuti emerge un equilibrio raro: il sistema di upgrade progressivo costringe a scegliere con attenzione come potenziare la propria navicella. Scudo, armi, moduli secondari — ogni decisione pesa.
La protagonista, Azusa Takanashi, pilota lo YK-IIA in una sequenza di otto livelli che alternano ambientazioni terrestri, orbitali e biomeccaniche.
Il ritmo è calibrato con precisione: mai frenetico al punto da essere frustrante, ma abbastanza serrato da non lasciare respiro.
Il feeling dei colpi è solido, la risposta ai comandi impeccabile, e la curva di difficoltà sale con intelligenza, senza mai risultare punitiva.

Un’estetica retrò che non teme il tempo

Visivamente, Earthion è un piccolo gioiello di coerenza stilistica.
Le palette di colori limitate non diventano un vincolo, ma uno strumento di identità: fondali stratificati, boss enormi e design delle navicelle che ricordano le illustrazioni sci-fi anni ’90.
Nonostante la semplicità del motore grafico, ogni livello trasmette personalità e ritmo, grazie a un uso sapiente degli effetti di parallasse e a un’animazione fluida che non tradisce mai le origini 16-bit.
La colonna sonora, firmata dallo stesso Koshiro, è l’anima del progetto: synth taglienti, melodie ipnotiche e un groove elettronico che accompagna perfettamente l’azione.
Ogni stage ha una propria identità sonora, come un album elettronico che si svela missione dopo missione.

Difficoltà, ritmo e bilanciamento

Uno degli aspetti più riusciti è la gestione della difficoltà.
Il titolo propone una sfida costante, ma mai scoraggiante.
Il sistema di scudo rigenerabile e la possibilità di scegliere upgrade al termine di ogni livello permettono di evitare la frustrazione tipica di molti sparatutto old-school.
Certo, nei livelli più avanzati la schermata può riempirsi eccessivamente di proiettili, mettendo alla prova anche i riflessi più allenati, ma la precisione del controllo salva l’esperienza da ogni ingiustizia.
In alcune sezioni, invece, l’uso del colore per distinguere nemici e sfondo non è perfetto: capita di confondere un dettaglio decorativo con un colpo mortale.

Un’esperienza breve, ma memorabile

La campagna si completa in circa due ore, ma il valore del titolo sta nella sua rigiocabilità.
Ogni run consente di sperimentare combinazioni diverse di potenziamenti, e la caccia al punteggio resta un incentivo forte.
Le modalità di difficoltà più alte richiedono un approccio quasi zen, in cui memorizzare pattern e tempi di movimento diventa parte del piacere.
È un gioco che non si limita a intrattenere: educa alla concentrazione e alla precisione, come i migliori classici del genere.

 

Earthion non cerca di innovare a tutti i costi.
Il suo obiettivo è restituire la sensazione di quando il gameplay contava più dei poligoni, e ci riesce con un equilibrio disarmante tra passione, tecnica e rispetto per la tradizione.
Non è un titolo per tutti: chi cerca grafica spinta o campagne longeve potrebbe sentirlo “datato”.
Ma per chi ama gli shoot ’em up autentici, questo è uno dei migliori esempi moderni di come il passato possa ancora insegnare al presente.