Recensione Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta
di: Simone CantiniInventare un genere capace di attraversare con successo i decenni non è certo cosa da poco, però quando una simile situazione si verifica è impossibile non togliersi il cappello in segno di rispetto. Ed è quello che, almeno metaforicamente, faccio ogni volta che mi trovo ad affrontare una delle opere ideate da Yuji Horii, ritenuto giustamente l’ideatore dei JRPG, grazie ad una saga capace di arrivare alla sua undicesima iterazione con Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta.
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Un mondo da salvare. Ancora una volta
Quella di Dragon Quest è una serie che ha attraversato l’accavallarsi dei decenni senza perdere minimamente la propria identità, rifuggendo la volontà di rinnovarsi ad ogni nuovo capitolo ed optando consapevolmente di percorrere sentieri già battuti e conosciuti ad ogni sua uscita. Chi si avvicina ad una qualsiasi delle produzioni che furono all’origine della sola Enix, sa benissimo a cosa andrà incontro, nel bene e nel male, visti i minimi aggiustamenti che sono stati apportati ad una formula che perdura felicemente sin dal 1986. È proprio per questi motivi che il brand ideato da Horii può essere tranquillamente etichettato come l’espressione più pura del genere dei JRPG, del quale è riuscito a codificare e scolpire eternamente nella roccia, quasi come supremi comandamenti, gli elementi cardine. Tra questi abbiamo una storia dai contorni fiabeschi, in cui un eroe muto è chiamato a rivestire i panni del salvatore del mondo, proprio come accade in Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta, in cui andremo a vestire i panni del Lucente, un individuo dotato di misteriosi poteri sulle cui spalle graverà, per l’appunto, il destino del creato. Ad accompagnarlo nella sua avventura, invero alquanto lineare e “blindata” nell’incedere, troveremo il consueto cast di comprimari dotato ognuno di un proprio misterioso passato, oltre che di abilità peculiari la cui utilità sarà ovviamente indispensabile in battaglia. Lontana dai drammi esistenziali e dai complessi intrighi politici, la narrazione scorre fluida e leggera, non disdegnando momenti umoristici, ma non per questo senza riuscire a catturare l’attenzione del giocatore. E questa magia è possibile grazie ad un gameplay che, per quanto ampiamente sperimentato negli anni, risulta ancora una volta avvincente, fresco e così dannatamente adatto al genere che Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta incarna alla perfezione.
Stessa storia, stesso posto, stesso gameplay
Sarò un anziano nostalgico, ma per me JRPG resterà per sempre sinonimo di combattimenti a turni, pertanto non me ne vogliano tutti coloro che non vedono di buon occhio l’apparente staticità che una simile soluzione si porta in dote. Ed essendo una simile prerogativa figlia del primo capitolo di questa serie, per me è proprio difficile scindere tale soluzione ludica dalla concezione nipponica del genere ruolistico. È proprio per questo motivo che non posso non apprezzare la gestione che Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta fa dei combattimenti, in cui le azioni del party e degli avversari si alternano in maniera tutt’altro che frenetica, lasciando al giocatore il tempo di pianificare ogni singola mossa. A sparigliare un poco le carte in tavola rispetto al passato ci pensano, allora, i poteri Pimpanti, ovvero particolari status attivabili in maniera randomica dai nostri alleati, che oltre a potenziare le statistiche base potranno dare vita a particolari tecniche, attivabili sia in singolo che in cooperazione con altri membri della squadra. Interessante anche la possibilità di variare lo schieramento delle forze in campo in qualsiasi momento, utile sia per modificare l’assetto in corso d’opera, sia per rimpiazzare un alleato temporaneamente caduto. Visibili in qualsiasi momento, gli avversari ingaggiabili in combattimento potranno essere colti di sorpresa se colpiti preventivamente, così da avere un piccolo boost di vantaggio, ma occorrerà tenere bene in mente che anche loro potranno fare lo stesso, pertanto occhi bene aperti. Superare indenni gli scontri, come vuole la tradizione, ci permetterà di accumulare denaro e punti esperienza (questo avverrà per fortuna anche per le riserve), con questi ultimi legati all’aumento di livello, con conseguente sblocco automatico di nuovi tecniche. Sarà, comunque, possibile potenziare anche in maniera autonoma i nostri personaggi, attraverso un semplice albero delle abilità peculiare per ciascun membro del party. Fondamentale, inoltre, sarà il reperimento di nuovi pezzi di equipaggiamento, i quali potranno essere semplicemente acquistati oppure creati direttamente tramite la forgia portatile (accessibile presso gli accampamenti), sfruttando un simpatico minigioco che ci vedrà intenti a battere il metallo nel tentativo di riempire nel migliore dei modi alcuni indicatori. A dispetto delle molteplici sfaccettature di gameplay, comunque, l’anima di Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è smaccatamente user friendly, visto come tenta in ogni modo di rendere scorrevole la progressione del giocatore, senza ammorbarlo inutilmente per mezzo di sfiancanti dialoghi, statistiche spesso incomprensibili o meccaniche inutilmente astruse. Lo stesso spostarsi nell’immensa mappa di gioco è reso agevole e piacevole sin dalle prime battute, grazie alla possibilità di richiamare un destriero in grado di accelerare notevolmente l’esplorazione. Lo stesso incantesimo di teletrasporto, così come una comoda imbarcazione, ci vengono consegnati dopo poche ore di gioco, lasciandoci solo il piacere di farne l’utilizzo che meglio riteniamo opportuno.
Un tratto inconfondibile
Semplicità, però, non vuol dire carenza di contenuti, visto che anche sotto questo punto di vista Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta può tranquillamente venire considerato come il migliore e più completo episodio della saga. Lo stesso cast di personaggi giocabili, per quanto non rifugga dagli stereotipi del genere, è estremamente ben caratterizzato e sfaccettato, al punto che risulterà davvero difficile non riuscire ad affezionarsi anche solo ad un elemento. Il tutto, ovviamente, è confezionato sfruttando il consueto, magistrale, lavoro di design affidato ad Akira Toriyama ed al suo Bird Studio, il cui estro è ancora una volta uno dei punti di forza dell’intera produzione, sia che amiate lo stile che ha reso grande Dragon Ball, sia che stravediate per i simpaticissimi Slime. Il comparto estetico di Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è difatti splendido da vedere, nonostante il suo stile semplice, con le città che andremo a visitare che rappresentano un vero fiore all’occhiello del titolo. Delude in parte il sonoro che, pur potendo contare sul solito lavoro egregio di Koichi Sugiyama e dell’orchestra sinfonica di Tokyo, disillude per il modo dannatamente old school con cui finirà per uscire dalle casse del vostro televisore, così come lascerà interdetti il ripetersi sino allo sfinimento di alcuni brani non proprio memorabili (soprattutto nelle zone aperte della mappa). Stellare, invece, la longevità complessiva che grazie ad una main quest corposissima, una miriade di missioni secondarie ed un enorme quantitativo di segreti da scoprire, difficilmente vi vedrà abbandonare rapidamente Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta.
Difficile rimanere impassibili al cospetto di questo atto di amore nei confronti del panorama ruolistico nipponico che risponde al nome di Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta, vista la qualità elevata della produzione Square Enix. Restia ai cambiamenti, ma proprio per questo sicura dei propri mezzi e delle proprie potenzialità, la peculiare visione di Yuji Horii ha tutte le carte in regola per candidarsi al ruolo di migliore JRPG dell’anno, grazie ad una struttura solida ed avvincente, capace di lasciare ampiamente soddisfatti tanto i veterani del genere, quanto coloro che si avvicinano per la prima volta a simili meccaniche. Dragon Quest XI: Echi di un’Era Perduta è un monumentale manifesto di questo peculiare modo di intendere il mondo dei giochi di ruolo, il capitolo perfetto con cui il publisher nipponico ha deciso di sublimare in maniera quasi inattaccabile un sistema ludico che in molti hanno cercato, spesso fallacemente, di imbastardire: signori, piaccia o no questa è l’anima dei JRPG, bella splendente come lo è sempre stata, sin dal lontano 1986.